Ragazza protesta l'8 marzo per chiari obiettivi: più diritti per le donne

Vogliamo la parità di genere: 8 obiettivi per l’8 marzo

Ci vorranno 300 anni per raggiungere una vera parità di genere. Lo denuncia l'ultimo rapporto della Banca Mondiale. Ecco perché bisogna agire subito. A partire da qui

Più lavoro

In Italia, dice l’Istat, il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni nel secondo trimestre del 2023 è salito al 52,6% (+1,2 in un anno), ma rimane ben lontano dalla media Ue del 69,3. Resta comunque un pesante gap rispetto agli uomini in tutta l’Unione europea, dove risulta occupato l’80% della popolazione maschile. Tra gli obiettivi per l’8 marzo, e per tutti gli altri giorni dell’anno, c’è questo: più lavoro.

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Scuola per tutte

L’educazione dovrebbe essere un diritto, ma non lo è. Gli ostacoli, guerre a parte, sono due. Primo: le mestruazioni. Mezzo miliardo di donne non ha acqua, servizi igienici, prodotti per l’igiene intima, così durante il ciclo le ragazze perdono fra il 10 e il 20% delle lezioni. Secondo: i matrimoni precoci, a cui ogni anno sono costrette 15 milioni di giovani, 28 al minuto, di cui il 17% in Africa.

Pari stipendio

In Italia la differenza salariale tra uomini e donne ha raggiunto i 7.922 euro nel settore privato. Secondo il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum, la parità in busta paga tra uomini e donne arriverà nel 2154: fra 130 anni. L’alternativa è trasferirsi in Islanda, Paese al primo posto nel mondo per parità di genere per il 14° anno consecutivo e l’unico ad aver colmato oltre il 90% del divario salariale tra uomini e donne. L’Italia è al 79° posto, tra l’Uganda e la Mongolia. Va meglio nel settore pubblico dove, in base ai dati Eurostat, il gender pay gap è “solo” del 4-5%.

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Cure giuste

Nel nostro Paese esiste da 5 anni il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di genere, che prevede la personalizzazione delle cure in tutti i percorsi diagnostico-terapeutici. Purtroppo non è sempre attuato, come testimonia il ritardo con cui sono diagnosticate molte patologie femminili. Un esempio: per l’endometriosi, di cui soffre il 10- 15% delle donne in età fertile, occorrono in media 7 anni. Esiste un “ritardo di genere” anche nel riconoscere malattie che colpiscono entrambi: l’infarto spesso non viene subito diagnosticato nelle donne perché presenta sintomi diversi da quelli che di solito vi sono associati, primo fra tutti il dolore al petto.

Aborto sicuro

Anche se formalmente riconosciuto in tutti i Paesi europei (a Malta e in Polonia la legislazione è molto restrittiva), è spesso ostacolato. In Italia il diritto all’aborto è sancito dalla Legge 194/78, che permette di interrompere volontariamente la gravidanza in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni. Eppure, secondo l’ultima relazione del ministero della Salute, i ginecologi che si rifiutano di praticarlo per obiezione di coscienza sono il 64,6%, molto più della metà. A loro si aggiungono gli anestesisti (44,6%) e il personale non medico (32,6%). Non va meglio in America, dove nel 2022 la Corte Suprema ha abolito il diritto federale all’interruzione di gravidanza stabilito nel 1973. Ora l’aborto è garantito dalla legge in 21 Stati più il Distretto di Columbia (sede della capitale Washington), mentre è fortemente limitato o proibito in 26.

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Giustizia mestruale

In pochi Paesi esiste il congedo mestruale per le lavoratrici. Quattro sono in Asia: Cina, Corea del Sud, Giappone, Taiwan. E in Europa? In Spagna è stato approvato un anno fa, in Germania si chiede il certificato al medico di famiglia, in Francia è partita la discussione politica. In Italia alcune aziende e scuole lo prevedono, ma non è riconosciuto dalla legge. Questo è uno degli aspetti su cui intervenire per garantire la giustizia mestruale, assieme all’abolizione dell’Iva sugli assorbenti e all’inserimento delle patologie legate al ciclo nei Lea, come sottolinea un manifesto appena lanciato dalla onlus WeWorld.

Genitorialità condivisa

L’empowerment delle donne non può prescindere da un’equa distribuzione dei carichi familiari. Che al momento nel nostro Paese ancora non c’è. A dirlo è un report di Openpolis secondo cui, in base ai dati Inps, il 79,5% di chi utilizza i congedi parentali è ancora donna. Tra il 2017 e 2020 la quota di beneficiari uomini tra i dipendenti del settore privato è stata del 20,5%. Un passo in avanti, ma ancora troppo piccolo.

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Stop alla violenza

In questi primi mesi del 2024 i femminicidi – 16 di cui 14 in ambito familiare mentre scriviamo – restano invariati rispetto all’anno scorso. Nonostante le leggi e le battaglie. Cosa servirebbe davvero per invertire la rotta? La possibilità di denunciare senza essere colpevolizzate; processi più veloci (oggi durano anche 3-4 anni); il reinserimento nel mondo del lavoro. A confermarlo sono i numeri: il 64% delle donne che intraprende un percorso di uscita dalla violenza è disoccupata o ha un’occupazione precaria. Ed è per questo che servono colloqui orientativi, corsi di formazione qualificanti, tirocini professionalizzanti ben pagati. Un sogno? Speriamo un diritto che presto abiteremo.

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