Lilli Gruber: “Il nostro è un mondo maschilista”

Nel suo nuovo libro la giornalista parla di donne e uomini, di discriminazioni, ma anche di famiglia e carriera con aneddoti personali e un’esortazione alle 60enni

“Non esistono in natura limiti che i maschietti non possano superare e che quindi – sottinteso – dobbiamo superare noi per loro. Per esempio, raccogliendo il loro disordine perché è un lavoro da donne o evitando di vestirsi in un certo modo perché l’uomo è cacciatore”. Lilli Gruber va dritta al punto nel suo nuovo libro Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone (Solferino Ed.). Secondo la giornalista il tempo dei proverbi è finito ed è arrivato quello del cambiamento. Non per una questione di femminismo, ma di civiltà: la giornalista, conduttrice di Otto e mezzo su La7 e già volto noto della Rai, ha come primo bersaglio il leader leghista Matteo Salvini, insieme al presidente americano Donald Trump e ad altri leader mondiali, tutti modelli di un nuovo machismo: “I potenti dell’Internazionale del Testosterone non fanno mistero del loro disprezzo per le donne: dagli insulti sessisti, sul web e non solo, alle vere e proprie aggressioni sessuali come nel caso di Trump, un presidente americano accusato di stupro. Il femminismo non c’entra e la minaccia non è solo per le donne” spiega Lilli Gruber a Donna Moderna.
Nel libro, però, ci sono anche aneddoti e storie personali, a partire dalla dedica alla madre: A Herlinde. Che è un modello, ma senza farmelo pesare.

Dalla madre Herlinde alla carriera

“Mia madre è cresciuta in una famiglia tradizionalista e in una terra profondamente attaccata alle tradizioni, il Sudtirolo – ci racconta Lilli Gruber – La rispetto perché è una donna che non si lamenta, che non perde tempo su ciò che sarebbe potuto essere e su ciò che non ha, ma guarda sempre avanti, con determinazione ma con il sorriso. Questo atteggiamento me l’ha trasmesso, insieme a un’esortazione: che conquistassi la mia indipendenza, professionale ed economica”. Lilli Gruber è diventata una donna affermata, prima conduttrice femminile nella fascia serale del telegiornale della tv pubblica, ma anche impegnata in politica (è stata europarlamentare PD). Oggi, a 62 anni, spiega l’importanza delle madri e della sua in particolare: “Sì, le madri contano, e anche i padri. In famiglia bisogna educare le figlie femmine a valorizzarsi e i figli maschi a non pensare che tutto sia loro dovuto”. Oltre alla madre, la Gruber parla anche della sorella maggiore Micki (“che di mestiere è una bravissima coach”) e a donne come Carola Rackete, Luciana Littizzetto e Michela Murgia, vittime di attacchi “bifolchi”. Lei ne ha subiti nella sua carriera? “Ne subisco come tutte, ma le urla dei bifolchi meritano di annegare nel silenzio” ci risponde caustica. Eppure alcuni episodi ci sono stati.

I “no” detti per farsi rispettare

Uno degli aneddoti risale agli esordi della professione di giornalista per Lilli Gruber, alla Rai di Bolzano: “Avrò avuto 25 anni ed ero appena stata assunta nella redazione locale del servizio pubblico. L’intervistato era il dirigente di una grande azienda, io ero accompagnata dalla mia troupe, un cameraman e un fonico. Non c’erano ambiguità possibili, nessun dubbio sul fatto che si trattasse di un appuntamento di lavoro. L’uomo mi venne incontro, tendendomi la mano, e chiese: ‘Prima di tutto signora o signorina?’. Risposi: ‘E lei, signore o signorino?’. Impertinente, forse, ma decisa a tenere il punto. Nello sguardo dell’intervistato vibrò un po’ di sorpresa, forse anche di disappunto” racconta la giornalista. “Altra scena, alla Rai di Roma. Avevo un colloquio con un direttore di rete: altra stretta di mano, altro sorriso. La sua battuta d’inizio stavolta fu: ‘Buongiorno, che buon profumo!’. Risposta, piuttosto fredda: ‘E lei, che profumo usa?”.
Ma c’è un episodio che secondo Lilli Gruber è ancora più significativo delle discriminazioni sul posto di lavoro. Per anni la conduttrice del Tg1 delle 20 non ha “osato” chiedere aumenti di stipendio, fino a che da uno studio è emerso che lei era la più popolare: “Mi sentivo a disagio, quel giorno, come se stessi avanzando delle illecite pretese e la trattativa è stata faticosa. Per questo solidale con le tante che devono superare crisi di ansia e affrontare il disappunto o a volte il disprezzo dei superiori, persino l’umiliazione, solo perché rivendicano i propri diritti”.  

La famiglia, il marito Jacques e le “madri supereroine”

Nella sfera privata, invece, Lilli Gruber ha trovato la serenità con il marito Jacques, giornalista francese con cui si è sposata 19 anni fa. Femminista convinto, con lui Lilli Gruber ammette di essersi confrontata spesso nello scrivere il libro, nel pieno di un trasloco: “Jacques è un grande sparring partner, il primo con cui discuto idee e progetti: facciamo da decenni lo stesso mestiere e c’è tra noi una grande complicità intellettuale. Per questo libro in particolare, potermi confrontare con un punto di vista maschile è stato prezioso”. Nel libro ricorda anche l’età media in cui le donne hanno il primo figlio in Italia e il record di quelle ultraquarantenni rispetto all’Europa (6,2%, raddoppiato in 5 anni). “Non si tratta di ‘marcio egoismo’, ma di istinto di sopravvivenza: nella patria della sacra famiglia, diventare madre è una sfida da superoine” scrive Gruber, che confessa: “ “Io non ho mai davvero desiderato e non ho fatto figli, quindi non ho vissuto in prima persona il peso aggiuntivo della maternità. Ma i dati sono lì a dimostrare che in Italia la mancanza di servizi penalizza le madri molto più che i padri. Davvero ci sembra una grande conquista pensare di allungare il congedo di paternità a sette giorni?”

Le tre “m” di una donna (e la menopausa)

Lilli Gruber individua tre “m” nella vita di una donna: mestruazioni, menopausa, maledizione (conseguenza delle prime due). Proprio alla menopausa sono accompagnate discriminazione e disinformazione. Eppure dopo i 50 anni molte donne sono più vitali. “Oltre ai bambini c’è di più. C’è un sacco di lavoro, di relazioni e di vita. E di sesso” osserva Gruber, che poi si domanda: “Perché un uomo di sessant’anni può sentirsi sexy anche se ha la pancia e alle donne non perdoniamo qualche ruga? Io trovo questa età molto ricca di soddisfazioni e protesto sempre quando le amiche si deprimono o annunciano che chiuderanno le serrande del piacere sessuale: basta! Riprendiamoci la vita, tutta quanta. Anche dopo i 60”. Nel libro spiega anche che esiste una discriminazione “sanitaria”. Ad esempio, il sildenafil, la stessa molecola alla base del Viagra (prodotto per la disfuzione erettile maschile), è efficace per i dolori mestruali, eppure le case farmaceutiche non vi investono. È maschilismo anche questo? “Se non è maschilismo questo! Dai farmaci ai sistemi di sicurezza sulle auto, tutto è a misura d’uomo. E il risultato è che le donne muoiono: di patologie non diagnosticate, di medicine non efficaci, di incidenti automobilistici: ne fanno quanto gli uomini ma hanno il 46% di possibilità in più di restare ferite”.

“Siamo in guerra”

Il suo Basta! arriva da una donna over 60 che come altre “nell’epoca della longevità si sono accorte che hanno molto da dare e tutto sommato poco da perdere”. Le più giovani, invece, rischiano di non capire che i diritti acquisiti si possono perdere: “Siamo in guerra – ci dice – non contro gli uomini ma contro un sistema ingiusto. Chi pensa che basti la diplomazia per risolvere un conflitto si illude: serve anche la forza. E le over-60, che i campi di questa battaglia li hanno visti, hanno molta forza e molta esperienza da offrire alla causa”.

I consigli alle donne

Sono sette i consigli dati alle donne. Tra questi, non mescolare amicizia e sesso, non avere paura del potere, imparare a dire di “no”, ma anche uscire in gruppo e divertirsi (“conoscenze personali e occupazione del territorio ci rendono più forti, i maschi lo sanno da sempre”). Tra le proposte, invece, Gruber insiste sulle quote rosa: convinta che occorrano più “volti femminili nelle stanze dei bottoni”, in tv e in politica, chiarisce però che lei con questo mondo ha chiuso: “Amo molto il mio lavoro e non lo scambierei con un incarico politico, ho persino rinunciato al vitalizio del Parlamento Europeo, non avrei potuto concludere l’esperienza in modo più netto!” conclude Gruber.

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