Il dimagrimento di Adele

La notizia del drastico dimagrimento di Adele ha fatto velocemente il giro del mondo, suscitando un clamore che sarebbe stato giustificabile solo se la stessa avesse pubblicato un nuovo album, magari a sorpresa, come hanno fatto Beyoncé e Miley Cyrus.

Ne ha parlato in un post molto condiviso e discusso Annarita Briganti sul blog di redazione Giorni Moderni, dove in un passaggio si legge: "Adele sta per lanciare il suo terzo cd, le pressioni dell’ambiente dello spettacolo sono mostruose e i paparazzi possono essere spietati. Se non si riconosceva in un corpo “curvy”, ha fatto benissimo, ma quando capiremo che vere siamo più belle?".

Le lettrici, neanche a dirlo, si sono divise tra chi giustificava la scelta della cantante, chi la rimproverava per essersi "piegata al sistema" e chi denunciava la pericolosa equazione (peraltro non sottintesa dall'articolo originario) donna vera = donna grassa.

Troppo magra, troppo grassa: perché il corpo delle donne non va mai bene?

Il dimagrimento di Adele è l'ultimo degli argomenti che ha (nuovamente) infiammato la discussione sul modello di bellezza imperante, che non è mai stato così contraddittorio

La discussione su Facebook

Fatto salvo il sacrosanto diritto di ognuno a cambiare idea e fare del proprio corpo ciò che ritiene più giusto, la discussione è ampia e sfaccettata. Curvy non significa obeso, magro non significa anoressico.

Nell’epoca delle paranoie alimentari diffuse – basti pensare alle crociate, spesso scientificamente improbabili, contro il glutine e l’olio di palma, per citarne le più eclatanti – dell’esaltazione dell’attività sportiva a tutti i costi (ormai va a correre anche la nonna) e della parallela sovraesposizione del cibo (che è ovunque), la discussione sugli standard estetici si sono fatte accanite, quasi militanti.

La moda è “colpevole” di proporre un ideale di donna che sfiora l’anoressia, spogliata di quelle caratteristiche considerate “femminili” – leggasi le curve – a favore di una silhouette che svetta di molto sopra i comuni mortali e si identifica in un prototipo efebico nel quale spesso i sessi si confondono.

Bisogna tenere conto che suddetto ideale da una parte è il riflesso di tutte le ossessioni della nostra società (la magrezza, la giovinezza, il sesso) e dall’altro è, molto meno poeticamente, il frutto dei cambiamenti del mercato.

Kim Kardashian e le altre

Le modelle però non sono le uniche protagoniste delle copertine e delle campagne pubblicitarie: a contendere loro lo scettro di reginetta del reame ci sono le celebrity come (appunto) Adele, Beyoncé, Kim Kardashian: quelle che sono diverse dalle altre al punto da diventare quasi fumettistiche, come nel caso della reality star Kardashian, che del suo posteriore esagerato ne ha fatto un fruttuosissimo marchio di fabbrica.

Piaccia o meno, in parte è anche merito suo se un certo tipo di fisicità è stato definitivamente sdoganato, anche dall’industria moda, che si è dovuta “piegare” ai suoi milioni di followers. E se il “modello Kardashian” è quantomeno controverso – e per nulla naturale – ci sono altre personalità che hanno raccolto la sfida.

L'esempio di Amy Schumer

Basti pensare all’attrice e comica Amy Schumer, in arrivo nelle sale italiane con Un disastro di ragazza, che al critico che la definiva “troppo cicciottella per essere considerata attraente” ha risposto con un selfie senza veli su Instagram, accompagnato dalla didascalia “Sono così e non ho nessuna intenzione di cambiare. Gli altri si adeguino”. Oltreoceano si è parlato moltissimo di Schumer anche grazie al successo del suo show Inside Amy Schumer, partito nel 2013 e ancora in corso, che l’ha consacrata definitivamente.

Stefania Ferrario e la campagna #Droptheplus su Instagram

Body confidence, sicurezza di sé, accettazione: sono parole che rimbalzano sempre nelle periodiche campagne di sensibilizzazione che attraversano i social ogni volta che quest’argomento viene sfiorato. Le parole, d’altronde, sono importanti, diceva qualcuno: così la modella Stefania Ferrario si è resa protagonista dell’hashtag andato virale qualche mese fa su Instagram #Droptheplus, ovvero “abbandoniamo il plus”: non modella plus size, ma piuttosto, semplicemente, modella. È così difficile?

Le bellissime Candice Huffine e Myla Dalbesio

Perché le donne sono tante, così come i canoni di bellezza, e il prototipo efebico di cui sopra ne rappresenta solo una parte. Per questo l’immagine di Candice Huffine (a destra) sul calendario Pirelli e quella della splendida Myla Dalbesio nella campagna di lingerie di Calvin Klein sono una boccata d’aria fresca: bellissime come solo le modelle sanno essere, certo, eppure differenti dalle loro colleghe che calcano le passerelle. Bella la diversità, no?

Il giudizio social

D’altra parte, non è che alle longilinee vada meglio, eh, beninteso: nel salotto perennemente avvilito che è il calderone Internet, infatti, nessuno si salva dalle critiche. Nemmeno le seguitissime blogger Chiara Biasi e Chiara Ferragni, che sono state sommerse da commenti ben oltre la pubblica decenza a causa di alcuni scatti in cui apparivano “troppo magre”. Siamo sicuri che gli eventi Facebook “Diamo da mangiare a Chiara Biasi” o i commenti sprezzanti su Instagram (“Fai schifo, mangia un panino”) siano il modo giusto di affrontare la discussione? Ogni tanto bisognerebbe ricordarsi che i social non sono il bar sottocasa.

Il caso Tess Holliday

Allo stesso modo, in moltissime pensano che il modello Tess Holliday – la 29enne assoldata dalla MiLk Model Management e promotrice dell’hashtag #effyourbeautystandards (al diavolo i vostri canoni di bellezza) – sia ben oltre quello che è considerato “curvy” o salutare. Ed è proprio questo, forse, il punto: l’accanimento da social network di certo non aiuta a sbrogliare la matassa dal verso giusto.

Il ruolo dei media è in questo caso fondamentale, soprattutto nella scelta della terminologia da adottare e in quella delle storie da raccontare: la responsabilità maggiore è nei confronti della fascia più giovane dei lettori/fruitori delle notizie, preadolescenti e adolescenti, mai come in questo periodo storico bombardati da un flusso di informazioni spesso contraddittorie.

La promozione dell’accettazione serena di sé e, allo stesso tempo, di uno stile di vita sano e equilibrato, dunque, dovrebbe rappresentare quel compromesso aureo che troppe volte viene calpestato dalla voracità di campagne chiassose e superficiali. Ovvero, non tutto è riconducibile ad un hashtag su Instagram, e forse è meglio così.  

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