Fatto salvo il sacrosanto diritto di ognuno a cambiare idea e fare del proprio corpo ciò che ritiene più giusto, la discussione è ampia e sfaccettata. Curvy non significa obeso, magro non significa anoressico.
Nell’epoca delle paranoie alimentari diffuse – basti pensare alle crociate, spesso scientificamente improbabili, contro il glutine e l’olio di palma, per citarne le più eclatanti – dell’esaltazione dell’attività sportiva a tutti i costi (ormai va a correre anche la nonna) e della parallela sovraesposizione del cibo (che è ovunque), la discussione sugli standard estetici si sono fatte accanite, quasi militanti.
La moda è “colpevole” di proporre un ideale di donna che sfiora l’anoressia, spogliata di quelle caratteristiche considerate “femminili” – leggasi le curve – a favore di una silhouette che svetta di molto sopra i comuni mortali e si identifica in un prototipo efebico nel quale spesso i sessi si confondono.
Bisogna tenere conto che suddetto ideale da una parte è il riflesso di tutte le ossessioni della nostra società (la magrezza, la giovinezza, il sesso) e dall’altro è, molto meno poeticamente, il frutto dei cambiamenti del mercato.