Le chiamate dal telefono fisso

Le chiamate dal telefono fisso

Scordatevi sms, chat, notifiche di Whatsapp e tornate con la mente a quelle temutissime telefonate dal telefono fisso: mani che sudano, cuore in fibrillazione e il terrore che a rispondere non sia la persona con cui desiderate parlare, ma un genitore con cui inizierete inevitabilmente a balbettare e a impappinarvi. Più che un apparecchio, gestivate un vero e proprio call center, fatto di orari in cui era lecito chiamare e farsi chiamare, linee che se risultavano occupate rischiavano di scatenare una crisi diplomatica e bollette paragonabili al PIL di un paese in via di sviluppo. Col senno di poi, quando ora aspettate che la doppia spunta da verde passi a blu, non vi viene da pensare che una volta le cose erano molto più semplici?

I problemi di chi è nato e cresciuto negli anni ‘80

Non esistevano i telefoni cellulari, Internet somigliava più a un’utopia e vedere un film al computer non era lontanamente immaginabile

Negli ultimi trent’anni la vita di ognuno di noi ha subito una radicale trasformazione tecnologica: basti pensare all’avvento dei telefoni cellulari, di Internet e dei social network.

Senza smartphone, pc e tablet, ad esempio, l’adolescenza negli anni ’80 era completamente differente da quella di oggi e i nostri ragazzi probabilmente non riescono a farsi un’idea di com’era crescere in quel periodo.

A volte perciò tuffarsi in un nostalgico amarcord e ripensare a “come eravamo” è, oltre che doveroso, anche salutare: ecco perché ci siamo divertiti a stilare una lista di cose che può capire soltanto chi è nato e cresciuto in quel periodo.

Il “callo” della scrittura

Il “callo” della scrittura

Erano due classiche situazioni che hanno segnato la vita di chiunque sia nato e cresciuto negli anni ‘80: da un lato, la scrittura di lettere per mantenere i contatti con gli amici lontani, o magari con quel fidanzatino incontrato al mare e con il quale ci si illudeva – almeno per i primi mesi – di poter costruire una storia epistolare a distanza. Dall’altro, i bigliettini che ci si passava in classe, durante un compito o semplicemente per ammazzare il tempo durante noiose lezioni di chimica. Tutti venivano conservati come preziose reliquie, perché il lasso di risposta che intercorreva nello scambio era la variabile principale in grado di far sopravvivere un’amicizia, o un amore. Con buona pace del tipico callo che si formava sul dito medio a forza di consumare fogli e penne Bic.

Le foto mai in tempo reale

Le foto mai in tempo reale

In un’epoca in cui gli smartphone non erano manco lontanamente immaginabili, ci si doveva accontentare di macchine fotografiche usa e getta o – per chi era più fortunato – di rudimentali aggeggi in cui il rullino si inceppava otto volte su dieci. Quando ciò non accadeva, si doveva aspettare almeno una settimana (sì, lo sviluppo express è un ritrovato più recente di quanto si creda) per poi scoprire che la maggioranza delle immagini scattate era mossa, fuori fuoco, o comunque venuta male. Ma ovviamente non era previsto alcun rimborso che risarcisse la scarsa abilità del fotografo.

Il senso del (dis)orientamento

Il senso del (dis)orientamento

Cartine, post-it scarabocchiati, piantine disegnate in modo approssimativo su fogli di carta trovati per caso: ecco come ci si orientava negli anni ‘80. E, manco a dirlo, il più delle volte le richieste di informazioni non solo non riuscivano ad essere risolutive, ma aumentavano il senso di disorientamento nel quale ci si trovava. Alle mappe degli smartphone va dato un grande merito, e adesso sembrerebbe impensabile ritrovarsi a girovagare in un luogo sconosciuto senza di loro, ma non è forse vero che alcune tra le più belle scoperte di viaggio, o della propria città, sono state fatte smarrendo la via che si stava cercando?

L’incubo di “dare buca”

L’incubo di “dare buca”

Negli anni ‘80 ci si dava appuntamento con un anticipo che definire largo è (quasi) un eufemismo, e soprattutto si confidava sull’affidabilità dell’amica o del fidanzato che si doveva incontrare. La possibilità di un ritardo o di un contrattempo non era comunicabile in tempo reale con un messaggio su WhatsApp, e quei momenti trascorsi ad aspettare la persona in questione, mentre l’orologio scandiva implacabile i minuti che si accumulavano, erano vissuti con un misto di ansia e preoccupazione che adesso parrebbe inaccettabile. Nessuno farebbe un salto nel passato per rivivere la paura di un potenziale bidone passato sotto silenzio, ma – d’altro canto – non è forse vero che ora si è diventati un po’ tutti dei potenziali control freak?

Reperire informazioni top secret

Reperire informazioni top secret

Detto in altre parole, la versione all’acqua di rose dello stalking moderno da social network. Chi è nato e cresciuto negli anni ’80 ovviamente non possedeva Facebook, Instagram, Twitter e in generale tutti quei ritrovati della scienza e della tecnica che permettono di carpire informazioni fondamentali sulle persone oggetto del proprio interesse. Appostamenti, controlli incrociati, richieste insistenti agli amici in comune erano all’ordine del giorno, e di solito il loro responso non era mai univoco, con l’unico risultato di gettare il potenziale pretendente nel più bieco sconforto.

Essere schiavi del palinsesto televisivo

Essere schiavi del palinsesto televisivo

Chi è nato e cresciuto negli anni ’80 sapeva benissimo che non essere a casa nel momento in cui andava in onda alla TV il proprio programma preferito o il film che si desiderava vedere, equivaleva matematicamente a perderselo. A meno di non porre fiducia in repliche a orari improbabili che costringevano ad alzatacce o a ribaltamenti della routine quotidiana. La programmazione televisiva dettava legge, ma quel senso di attesa e trepidazione che accompagnava ogni visione ora (fortunatamente) non è che un vago ricordo, rimpiazzato dalla libertà di guardare ciò che si vuole, quando lo si vuole.

Conquistare le dediche alla radio

Conquistare le dediche alla radio

Riuscire a prendere la linea – che manco a dirlo, era perennemente intasata – e lasciare nelle mani di uno tra i tanti dj la propria canzone munita di dedica era una delle più grandi conquiste di chi è nato e cresciuto negli anni ’80. L’attesa della programmazione, il tentativo di avvertire più amiche possibile circa l’avvenuta vittoria, la speranza che la persona alla quale era rivolta la richiesta fosse sintonizzata in quel momento erano parte del gioco. Manco a dirlo, il tentativo di registrare tempestivamente l’agognato trofeo il più delle volte risultava fallimentare: la voce dello speaker di turno veniva tagliata e la dedica in questione non riusciva a essere inclusa nelle preziose compilation che venivano sfornate con precisione chirurgica.

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