Il nostro esperto ci spiega perché il papà è tanto importante nella nostra vita

In occasione della festa del papà, il Professor Roberto Pani, psicoterapeuta e docente di Psicologia Clinica e Psicopatologia all’Università di Bologna, ci spiega quanto è importante la figura del papà nelle diverse fasi della nostra vita

Parliamo sempre di mamme ma, oggi, vogliamo dedicare uno spazio ai papà. Quanto è stato importante il papà nella vita di ciascuno di noi? Quanto è importante per i nostri figli? C’è chi ha ricordi di infanzia bellissimi, chi no e vorrebbe solo dimenticarli. C’è chi si è sempre scontrato con il proprio padre e continua a farlo nell’età adulta; chi lo ha sempre avuto nel cuore e continua ad averlo.

Per capire qualcosa di più, abbiamo chiesto al Professor Roberto Pani, di spiegarci quanto è importante la figura del papà nella nostra vita, dall’infanzia all’età adulta.

Alla nostra nascita “il papà gioca una funzione importantissima” – ci spiega il Professor Pani – “sia nel buon funzionamento della moglie, sostenendola ed aiutandola ad esprimersi al meglio nel suo ruolo, ma anche nell’incontro sensoriale e nei contatti fisici iniziali con il bambino”.

Comunque, entrambi  “i genitori” – ci spiega il Professor Pani – “rappresentano i primi riferimenti psichici che i bambini incontrano, introiettano, ossia interiorizzano come interlocutori interni. Questi, mediano con l’Ego, producendo vissuti, comportamenti, decisioni: tali sistemi operazionali si stabilizzano nel mondo del bambino per sempre, anche se vengono continuamente modificati alla luce dei nuovi incontri che essi faranno”.  

Intorno ai due anni, il papà comincia ad avere un’importanza sempre maggiore. Spiega il Professor Pani: “Intorno ai due anni il papà dovrebbe affiancare la madre e di solito, comincia a rappresentare un modello che media la realtà esterna con quella interna alla famiglia, introduce normative, leggi etiche, protegge dalle difficoltà logistiche, aiuta ad integrare le azioni materne e costituisce anche un’alternativa alla madre anche mentre dovrebbe essere a lei complementare”.

“A circa tre anni, il padre diventa oggetto d’amore per la bambina (complesso di Elettra secondo Freud), mentre la madre appare una concorrente. Il padre diventa invece oggetto di amore e odio (conflitto edipico per Freud) per il bambino, il quale vorrebbe competere con il padre stesso anche se inevitabilmente con insuccesso. In seguito, il maschietto idealizzerà il padre e cercherà di imitarlo per di diventare un giorno come lui o di superarlo nelle sue virtù che sono state precedentemente idealizzate”.

“Dopo i tre anni e fino all’adolescenza, il padre diventa un solido modello con il quale identificarsi e dal quale apprendere molti atteggiamenti adulti di tipo maschile e virile e valorizzazione delle parti femminili della figlia”. Questa è però anche l’età in cui possono sorgere i conflitti: “tuttavia possono acuirsi certi conflitti, specialmente quando il padre impone che i figli si comportino con azioni che rappresentano prevalentemente bisogni, aspirazioni e desideri del padre, ad esempio vedere i figli laureati in una certa disciplina o ambiscano agli sport, mentre i figli di entrambi i sessi cercano di differenziarsi da lui in scelte diverse”.

“Nell’età adulta, il padre dovrebbe divenire un compagno alla pari e condividere con i figli ciò che è possibile condividere, mantenendo però con grande rispetto le scelte di entrambi i figli cercando di valorizzarne le azioni. Non sempre questa cooperazione risulta facile, perché vi sono molte differenze di personalità che nel frattempo si sono formate”

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