«Le famiglie sono discriminate dal punto di vista fiscale» spiega Luigi Golzio, ordinario di Organizzazione aziendale all’università di Modena e di Reggio Emilia. «Vengono equiparate alle imprese per gli oneri che devono sostenere: per esempio, i contributi, le ferie, la tredicesima e la liquidazione. Non usufruiscono, però, degli stessi vantaggi».
Un’azienda registra il lavoratore assunto come un costo e, di conseguenza, può scaricare quella voce dalle tasse. Una mamma affronta spese simili ma non le è consentito detrarle. «Le famiglie assumono colf, badanti e baby sitter per necessità: per conciliare tempi di vita e di lavoro e supplire alle carenze dello Stato nell’assistenza ai bambini e agli anziani» dice Teresa Benvenuto, segretario nazionale di Assindatcolf.
«È un forma di welfare fai-da-te. Nelle consultazioni che abbiamo avuto con il governo per il Jobs Act e la Legge di stabilità, abbiamo chiesto di estendere ai datori di lavoro domestico gli incentivi all’occupazione previsti per le imprese» dice Benvenuto. Non se ne è fatto nulla, per ora. Eppure è questa la direzione da prendere per favorire la conciliazione.
«Con la detrazione dello stipendio della baby sitter dal proprio reddito e la possibilità di dare l’anticipo mensile del Tfr in busta paga, le spese per le famiglie sarebbero più leggere. Ciò porterebbe a un doppio vantaggio: oltre a ridurre i casi di lavoro nero, invoglierebbe molte donne a ricorrere a un aiuto domestico per avere un impiego. E, così, si creerebbe nuova occupazione».