alessio boni

Alessio Boni: elogio dell’incoscienza

È quella che lo ha spinto a studiare recitazione. A dire parecchi no dopo "La Meglio Gioventù" (ma sì alla serie "Il Metodo Fenoglio"). E ad attraversare mezza Italia solo per dormire con i suoi bambini

«Dopo “La Meglio Gioventù”, secondo lei, quanti commissari mi hanno proposto?» attacca Alessio Boni con una risata. «Li ho declinati tutti, erano un po’ troppo rassicuranti, come prevedeva la Rai di una volta». Ora è cambiata la Rai, dice l’attore, ed è cambiato lui: a 57 anni – e a 20 dalla miniserie che l’ha consacrato – ha detto sì al maresciallo protagonista di Il metodo Fenoglio – L’estate fredda, serie ispirata, ai romanzi di Gianrico Carofiglio dal 27 novembre su Rai 1.

L’intervista ad Alessio Boni

Perché questo sì, soprattutto ora che di marescialli, commissari e ispettori in tv ce ne sono tantissimi?

«Proprio per il personaggio. Tre anni fa, appena usciti dal lockdown, i produttori mi invitano a pranzo e mi parlano di questo progetto. Mi dicono di leggere i romanzi, io di Carofiglio avevo letto altro ma non questi. La cosa che mi colpisce è che questa non è una storia alla Romanzo criminale o Suburra: Fenoglio praticamente non spara mai. Però tutt’attorno c’è una criminalità vera, che fa paura. Siamo nella Bari di inizio anni ’90, in cui si sta organizzando la nuova mafia pugliese. Fenoglio arriva da Torino e porta, appunto, questo suo metodo. Voleva fare l’insegnante di Lettere diventa carabiniere per caso dopo la morte del padre. A Bari si ferma per amore di una professoressa (interpretata da Giulia Bevilacqua, ndr) e inizia a penetrare in quella matassa criminale, ma a modo suo, senza mai alzare le mani e le armi».

Carofiglio firma anche le sceneggiature.

«È un ex magistrato, conosce quel substrato da vicino. Ci diceva: “Questo non si fa, in un processo o in un arresto una cosa del genere non esiste”. Per questo la serie è così attinente alla realtà».

Una nuova Rai

La Rai è cambiata, mi diceva.

«Lavoro in Rai da più di 20, anni e una volta certe cose non le potevi neanche ipotizzare. Ora invece osano di più, sanno che il pubblico va sulle piattaforme di streaming. È una grande possibilità».

Alessio Boni e Giulia Bevilacqua in una scena di “Il Metodo Fenoglio”

Ha detto no a tanti commissari anche perché, in gioventù, ha avuto un periodo in Polizia?

«No, quello no. È solo che mi arrivavano personaggi troppo simili a quello di “La meglio gioventù”. Bisogna indirizzare il proprio percorso. Contano la fortuna, gli incontri, certo, ma anche i no che uno riesce a dire ed è su quello che si costruiscono le carriere. Quando hai un boom iniziale e ti arrivano 10-15, proposte l’anno, devi saper scegliere. Poi puoi fare degli errori, nessuno ha il segreto del successo. Ma per me conta il messaggio che vuoi lanciare. Il metodo Fenoglio torna su quello che abbiamo tristemente visto con il caso di Stefano Cucchi: volevo che passasse forte e chiaro che le forze dell’ordine non devono mai alzare le mani».

Alessio Boni: il percorso dell’attore

Da ragazzo ha fatto di tutto: il piastrellista, il barman, il babysitter, l’animatore. Come immaginava il suo futuro?

«Non lo immaginavo, ero sempre dentro il momento, con l’incoscienza della gioventù. Poi, vedendo a teatro La gatta Cenerentola di Roberto De Simone, mi si è scoperchiata la testa. Avevo 21 anni e non ero mai stato a teatro, pensavo fosse una palla mostruosa un po’ come andare in chiesa, dove infatti non mettevo più piede. Ero a Roma, sarei dovuto restare una settimana e invece non sono più andato via. Ho preso una camera, mi sono messo a fare il cameriere e ho trovato una scuola di recitazione: “Se mi prendono bene, se no torno a casa”. Mi hanno preso. Per 7 anni non ho avuto neanche una particina al cinema, pensavo che avrei fatto teatro per sempre. Poi le cose sono andate diversamente».

Alessio Boni e Nina Verdelli al Festival del Cinema di Venezia nel 2020 (IPA)

L’amore per il teatro

Il teatro però non l’ha mai lasciato.

«Non lo lascerò mai: ora sono a Roma per le prove dell’Iliade, il mio nuovo spettacolo. Il teatro ti dà tantissimo. La macchina da presa fa la tua radiografia e, se dietro non hai niente, non prende niente. Perché grandissimi come Al Pacino bucano lo schermo? Non basta il talento: hanno l’arricchimento dei libri, delle parole, del teatro. Il teatro ti porta a studiare, a sviscerare, e quello ti rimane. Il cinema mi porta via tutto, il teatro mi dà: è uno scambio continuo».

Il suo percorso sembra un misto di programmazione e imprevedibilità.

«È così, e quell’imprevedibilità, quell’incoscienza, devi mantenerla. Il pensiero analitico è nemico dell’erotismo e della passione e il mio mestiere è fatto di questi due elementi: se li togli è finita, diventi un critico teatrale, un professore, un intellettuale. Anna Magnani quella follia bella, quella passione estrema, se l’è portata nella tomba. Dei grandi attori mi colpisce la violenza delle emozioni messe in scena. È un mettersi a nudo totale e non è facile, ma per me solo così ha senso lavorare».

La paternità: un nuovo tipo di amore

Ha due figli piccoli, il primo nato nel 2020 e il secondo nel 2021. Posso chiederle se la paternità ha dato un indirizzo ancora diverso al suo percorso?

«Allora (fa una pausa, ndr)… Devo centellinare col contagocce le energie da incanalare nel lavoro, perché il resto è tutto per loro. La tua vita cambia, serve una diversa organizzazione del quotidiano, ma è un’esperienza che ti sposta l’asse, un’altra forma d’amore che non conoscevi. Ti porta dentro una porticina, entri e vedi 50.000 Cappelle Sistine tutte insieme e vai fuori di testa, sei totalmente rincoglionito (ride). È un mondo in cui vorresti stare sempre. Ora sto facendo le prove a Roma e i miei figli mi mancano da morire, quindi la domenica salgo a Milano, sto con loro solo per una notte, a volte anche solo per 5 ore e il lunedì torno giù. È dura, ma lo fai perché è vita, vita che ti entra dentro e che rientra nel tuo lavoro anche se non te ne accorgi. Se a 30 anni mi avessero proposto di partire per un set di 6 mesi in Australia, ci sarei andato di corsa, ora non so se ce la farei a non vedere i miei figli per così tanto tempo. Però… L’altra sera ho visto, l’ultimo film di Scorsese, Killers of the Flower Moon, un capolavoro assoluto. Ecco, se mi chiamasse lui, allora direi a tutta la famiglia: “Vi porto là con me”».

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