Compiti a casa: sì o no?

  • 11 10 2016

"Mio figlio non ha fatto i compiti perché..." l'ennesima giustificazione postata sui social riaccende il dibattito, asprissimo, tra i genitori. Perché il tema è davvero controverso: facciamo chiarezza

L’ultima in ordine di tempo è una mamma che ha scritto per sua figlia una giustificazione alla maestra, postata sui social e diventata immediatamente virale: «Gentili maestre, Mariasole non ha potuto studiare storia perché dopo 8 ore di scuola, dalle 17 alle 19.30 ha dedicato il suo tempo libero restante ad attività ricreative e sportive».

Ma anche la scorsa estate sul tema “compiti a casa” era scoppiata una vera e propria bufera a seguito della lettera di un padre che spiegava perché non aveva fatto fare al figlio i compiti delle vacanze, anch’essa pubblicata su Facebook: “Voi avete nove mesi per dargli nozioni e cultura, io tre mesi per insegnargli a vivere” così si conclude la giustificazione alle maestre.

Insomma le discussioni (asprissime) riempiono le piazze virtuali tra chi sostiene l’inutilità dei compiti a casa (il gruppo pubblico creato su Facebook Basta compiti! conta più di 8.000 membri) e chi pensa che i compiti siano necessari. Anzi siano indispensabili per insegnare ai bambini a prendersi delle responsabilità.

Secondo la dottoressa Velia Bianchi Ranci, psicologa e psicoterapeuta esperta in età evolutiva del centro Santagostino, la strategia migliore sta un po’ nel mezzo della diatriba, facendo una grande distinzione tra età del bambino e grado scolastico: «Le decisioni riguardanti i compiti sono degli insegnanti, e degli insegnanti rimane la responsabilità del loro corretto svolgimento. Ai genitori spetta tutto il lavoro necessario a creare ogni giorno le condizioni che permettono ai figli di mettere le loro energie al servizio degli apprendimenti, supportarli nelle difficoltà che incontrano, comunicare con gli insegnanti per un confronto utile a conoscere reciprocamente aspetti importanti della vita del bambino».

Ma per quanto riguarda i bambini più piccoli, la dottoressa Ranci specifica che «in una scuola a tempo pieno e negli anni della scuola primaria, non si può parlare di necessità di dare compiti da svolgere a casa». Diverso il discorso per la scuola secondaria, inferiore e superiore, dove il tempo pieno di fatto non esiste: gli adolescenti dovrebbero aver acquisito un’autonomia al lavoro tale da consentire loro un approfondimento a casa degli argomenti trattati in aula.

E per quanto riguarda le vacanze? Secondo la dottoressa Ranci «Le vacanze estive sono così estese in Italia da far temere a genitori e insegnanti l’oblio di quanto appreso durante l’anno. Ma un’informazione “capita” entra nel magazzino mentale della memoria chiamata “a lungo termine”, e può essere richiamata facilmente quando la situazione lo richiede. Mentre quello che deve essere mantenuto durante i periodi di vacanza è l’interesse ad accogliere gli stimoli ambientali offerti. Questo naturalmente si può fare utilizzando gli strumenti appresi a scuola».

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