Alberta Marzotto

L’abito fa il monaco? È una guida, un vademecum, un dizionario con più di 100 parole chiave per capire le tante e nuove facce del mondo della moda. L’ha scritto la giornalista Alberta Marzotto ed è appena uscito in libreria per Mondadori.

L'abbiamo incontrata durante la settimana della moda di Milano...

Le 10 domande sulla moda che nessuno ha mai osato fare

Ammettiamolo: se per essere trendy sopportiamo zeppe altissime, compriamo borse costosissime e ci lasciamo sedurre da marche furbissime, ci sarà un perché. Come spiega una super esperta di tendenze nel suo libro appena uscito (e nel questionario-verità qui pubblicato)

Scarpe alte con plateau, amiche o nemiche delle donne?

Le scarpe con il plateau sono state inventate da un amico o da un nemico delle donne?
Negli anni Settanta si chiamavano zeppe o zatteroni, oggi le scarpe con il platform (nella foto, un modello Jimmy Choo) sono il must delle “vestali del fashion”, come le definisce Alberta Marzotto, autrice di L’abito fa il monaco? (Mondadori): «Sicuramente il plateau è stato inventato da un nemico, e pure acerrimo, delle donne, ma con un grande occhio per il look. La suola alta e massiccia crea una sorta di piedistallo sotto la persona: rende tutte sensazionali, ma appesantisce la figura e impedisce i movimenti. I plateau non donano molto: stanno bene solo a poche e sono pensati più per il loro potere di fascinazione visiva che per la loro praticità».

Diesel

Perché il nero è diventato una tinta indispensabile?
«Perché è rassicurante, confortante, toglie d’impiccio, è svelto» risponde Alberta Marzotto (qui, la sfilata Diesel a/i 2011-2012 a New York). «Va bene da mattina a sera, snellisce, ha bisogno di poche cure. Tuttavia, il nero rischia anche di diventare una uniforme. Vestirsi solo di questo colore, come fanno in troppe,  significa rinunciare a quel tanto di spasso e di sorpresa che rende l’esercizio del vestire quotidiano divertente e personale: è una decisione rinunciataria. A mio avviso andrebbe adottato e interpretato a modo proprio: senza personalità non c’è vera eleganza. E se è vero che il nero è il colore dei modaioli, anche a colori la moda è bella. Dei diktat non ha più voglia nessuno».

Coco Chanel

L’abito fa il monaco… o no?
«Lo fa, fino a un certo punto» risponde Alberta Marzotto. «Ci sono in giro tante sante vestite da peccatrici almeno quante meretrici camuffate da lady. L’abito è un oggetto inerte e a volte può ingannare. A portarlo in vita è un modo di indossarlo, di muoversi, di porgersi, di stare insieme agli altri: sono caratteristiche che non ingannano mai. “La moda passa, lo stile resta” era solita sostenere Coco Chanel (nella foto). La moda urla, lo stile sussurra aggiungerei io. La vera eleganza, a mio avviso, è essere memorabili, senza che si ricordi alcun particolare. È l’arte di non esserci, pur essendoci. Difficile, ma eccitante».

Gucci

Perché nella moda tornano sempre i Sessanta, i Settanta, gli Ottanta…?
«La moda è una storia di eterni ritorni» dice la giornalista Alberta Marzotto. «È come se fosse strabica: mentre guarda al passato immagina il futuro e avanza “rinculando”. In questo movimento trasforma ciò che è già stato in qualcosa di nuovo. È sempre andata così: nel periodo napoleonico le signore andavano in giro con mussole leggerissime ispirate alla Grecia classica, nel 1947 il New Look di Dior strizzava l’occhio alle silhouette del 1800. In un caso e nell’altro, però, si trattava di novità assolute». Anche alle ultime sfilate di Milano il revival è tornato di moda (come dimostra il modello stile Seventies a/i 2011-2012 di Gucci). «Ecco perché non bisogna mai buttare nulla e saper aspettare» dice l’esperta. «I nostri figli ci ringrazieranno».

Baguette di Fendi, borsa icona

Perché prima era solo una borsa firmata, oggi è una “It Bag”?
«Perché oggi si ricorre a qualsiasi trucco e dicitura pur di far tornare la voglia di comprare» dice Alberta Marzotto. «Con la democratizzazione del lusso, dovuta anche all’ascesa rapida della fast fashion, l’acquisto-investimento si è spostato sugli accessori perché si pensa durino più degli abiti. Se la giacchetta si può trovare ovunque, la borsa no: ecco spiegata la legge del marketing della “It Bag”, la borsa-feticcio, la borsa come oggetto di culto, quella di cui proprio non si può fare a meno. Le prime? La Kelly e la Birkin di Hermès, la 2.55 di Chanel, la Speedy di Vuitton. Poi, negli anni Novanta, tutte le altre spinte dal successo planetario della Baguette di Fendi (nella foto)».

Sarah Jessica Parker, esempio di fashionista

Che differenza c’è tra una fashionista e una fashion victim?
«È la stessa che passa tra il capitano e il soldato semplice» spiega l’esperta. «Il fashionista è l’esemplare più testardo ed entusiasta di quella specie che va sotto l’etichetta di “modaiolo”. Vive la moda con convinzione ed entusiasmo e ne fa il proprio modo di essere, come l’attrice Sarah Jessica Parker (nella foto). La fashion victim è invece figlia degli anni Ottanta, del total look e dell’esplosione del culto della griffe. È passiva: subisce la moda in maniera acritica, è vittima consenziente dello strapotere dei marchi. Compra di tutto, quasi istericamente, ma è la negazione della moda come ricerca, invenzione, espressione di personalità».

Armani e Lady Gaga

Sono nate prima le celebrities che vestono le griffe o le griffe che vestono le celebrities?
«Il rapporto tra star e stilisti è stretto, inestricabile e a volte inspiegabile: un po’ come l’eterna querelle sull’uovo e la gallina» dice Alberta Marzotto. «Ma non è una relazione nuova: la moda ha sempre corteggiato i divi e i divi la moda. Ciò detto, vedere Giorgio Armani che abbraccia la discussa Lady Gaga non è un cattivo segno. Trovo, anzi, che lo stilista abbia avuto un vero colpo di genio a lavorare con lei, dimostrando di sapersi mantenere al passo con i tempi e di accettare le nuove sfide. È una qualità rara, ancora più apprezzabile perché Lady Gaga non sembra affatto un personaggio armaniano».

Orologio con il logo-cult D&G ben in vista

Perché alcuni brand diventano un cult e altri sono dimenticati?
«La storia e l’heritage, l’eredità, hanno un ruolo determinante nel successo di un marchio: il lungo passato è percepito dal pubblico come garanzia di qualità e giustificazione dell’alto prezzo» spiega Alberta Marzotto. «La ragione, invece, per cui uno stilista viene ricordato e uno dimenticato è un mistero. Sono tante le variabili che si incrociano, dal tempismo alla fortuna, dalla capacità di comunicare all’impegno. Il bello è che nella moda domina la regola dell’eterno ritorno: perciò accade che anche stilisti e marchi dimenticati vengono riscoperti decenni dopo, come è successo al grande Walter Albini, “padre” del prêt-à-porter».

H&M

Perché la fast fashion ci sta cambiando la vita?
«La fast fashion come Zara, Gap, H&M ha permesso a tutti, indipendentemente dal budget, di vestirsi all’ultima moda e di cambiare spesso» spiega la giornalista Alberta Marzotto. «È la moda democratica che si compra e si consuma come un hamburger al fast food: è anche della stessa qualità, non eccellente ma dall’aspetto invitante. La fast fashion è un bel fenomeno con un effetto letale: ha abbassato nel pubblico la percezione del prodotto. Un capo fast, infatti, sembra bello però è realizzato in fretta, è l’apparenza senza sostanza: fa figura ma dura poco e si basa su una idea di consumo come accumulo. Gli oggetti ben fatti, invece, richiedono tempo e durano di più».

Dita Von Teese con abito vintage di Dior

Perché un Dior del 1954 è vintage e un maglione scolorito di 10 anni fa è vecchio?
«Vintage, che poi vuol dire d’annata, è solo un oggetto eccellente che è sopravvissuto al test del tempo per qualità stilistica e fattura» spiega l’autrice di L’abito fa il monaco?. Un Dior degli anni Cinquanta come quello indossato dalla star Dita Von Teese (nella foto) è dunque d’annata, mentre il maglione scolorito di dieci anni fa è vecchio. «Vintage, in ogni caso, è un termine che andrebbe usato con cura» avverte Alberta Marzotto. «La regola vuole che sia definito tale solo ciò che ha più di 25 anni. Molto del cosiddetto vintage che c’è in giro è parecchio più recente».

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