Ermal Meta

Ermal Meta, un sognatore a occhi aperti

Ermal Meta, dopo il successo a Sanremo è giudice ad “Amici” e in tour con il nuovo album. Un successo, il suo, arrivato dopo una lunga gavetta. «Ma se pensassi davvero di averlo raggiunto» dice «probabilmente sarei già finito»

«Non so se giocherò mai più a calcio» confida Ermal Meta dopo l’infortunio durante una partita per benficenza della Nazionale Cantanti. E ride: «Non è da tutti farsi male dopo 20 secondi». Comincia così l’incontro con il cantante che al Festival di Sanremo, con la sua “Vietato morire”, ha conquistato tutti. Ermal, albanese di 35 anni da oltre 20 in Italia, è ora anche giudice del talent show Amici di Maria De Filippi.

Come sei arrivato ad Amici?

Maria mi ha chiamato dopo avermi sentito cantare durante una puntata pomeridiana. Mi ha chiesto cosa ne pensassi di una mia partecipazione all’edizione serale. Le ho risposto che la proposta arrivava come l’estate in inverno. Pensavo di dover sudare di più per meritarmi un ruolo del genere. Ma ho fatto tanta gavetta e mettere a disposizione la mia esperienza ai ragazzi che sognano di fare questo lavoro mi è sembrata una cosa giusta.

Su cosa basi il tuo giudizio?

Le mie sono opinioni. Guardo se una persona mentre si esibisce sta raccontando una storia. Per me le parole sono al servizio dell’emotività.

Ti fa effetto essere in tv?

Non mi rivedo mai sullo schermo, non l’ho mai fatto nella mia vita. Mentre sono in studio non faccio caso nemmeno alle telecamere.

Dopo tanti anni di gavetta stai vivendo un grande successo, come ti senti?

Non mi sento arrivato da nessuna parte. Sono del partito che se pensi di aver raggiunto il successo probabilmente è perché sei finito. Continuo ad arrampicarmi, non guardo mai giù, ma neanche su. La vita è un’altalena, si tratta solo di prendere le misure e di fare i passi giusti. Ora sono solo consapevole di essere fortunato.

Sei un sognatore?

Sono talmente sognatore che ho le occhiaie di debito da sonno, perché sogno sempre e non dormo mai!

Negli ultimi 2 anni sei stato primo in classifica con le canzoni che hai composto per i tuoi colleghi. Meglio scrivere per te stesso o per loro?

Non c’è differenza, in quei testi ci sono sempre io. Il giorno in cui scriverò pensando a chi deve cantare il brano, smetterò.

Tua madre si sta godendo il tuo successo?

Mia mamma è una musicista, non era lì ad aspettare niente. Sa benissimo cosa vuol dire provarci, ha suonato per 30 anni. È felice per me come ogni mamma per suo figlio. La sento una volta ogni 2 settimane. Sono da sempre un tipo solitario e indipendente.

Fra le tue canzoni più intense c’è l’autobiografica “Lettera a mio padre”. Con lui hai tagliato i ponti da adolescente. Pensi mai a cosa sarebbe successo, se lui e il vostro rapporto fossero stati diversi?

Non riesco a vedere un’alternativa: sono quelle cose ti danno una forma.

Com’eri da piccolo?

Un bimbo battagliero. Avevo la musica, che per me è sempre stata una boccata di ossigeno. A 6 anni ho iniziato un corso di pianoforte, ma l’ho mollato in fretta: ero troppo indisciplinato. Ho continuato da solo.

E poi?

A 16 anni suonavo tutti i giorni. Andavo a scuola, i compagni di classe giocavano in cortile, io preferivo il mio pianoforte. La verità è che mi annoiavo a stare con gli altri. Poi ho studiato Lingue all’università. Ho sempre voluto fare il musicista: suonavo la chitarra con la band Ameba 4, e nel frattempo studiavo per trovarmi un lavoro come interprete. Poi un giorno è arrivata una telefonata. Era Caterina Caselli che voleva far incidere un album al mio gruppo. Ho lasciato tutto a un esame dalla fine.

Lo darai mai, questo esame?

Quando sentirò la chitarra più pesante del solito probabilmente finirò l’università, per sfizio. Per avere qualcosa da appendere al muro.

Quante lingue parli?

All’epoca ti avrei risposto 4. Oggi lo spagnolo l’ho un po’ dimenticato.

Scrivi anche in inglese. Ti viene facile?

Non è difficilissimo, serve solo un po’ di pratica. Non si può pensare di tradurre, deve venirti una frase in lingua: è la prima cosa che ti insegnano alla scuola interpreti. “Big Boy”, la canzone con cui Sergio Sylvestre ha vinto Amici, lo scorso anno l’ho pensata in inglese.

La tua fidanzata gioisce o soffre per i tuoi mille impegni?

Silvia e io siamo abituati da sempre a girare tantissimo e a non vederci per settimane. Non cambia nulla.

Cambia invece il tuo pubblico: ora è aumentato di colpo. Senti la responsabilità?

Sono solo più contento, aumenta l’amore. Io sono per la qualità, ma anche per la quantità: un abbraccio più grande è solo più bello.

Sei uno che manifesta facilmente i propri sentimenti?

No, non dico molto a parole; ma quando lo faccio, lascio il segno.

Con i tuoi fan sei molto attivo anche sui social e ogni tanto rispondi a tono…

Vivo i social network in maniera sana, ma quando qualcuno deve per forza rompere, rispondo. I social fanno sentire tutti in dovere di dire qualcosa e quasi sempre è una critica. Io penso che ognuno sia libero di esprimere le proprie opinioni, ma si potrebbe evitare di inondare il web di castronerie. Ed evitare di crocefiggermi. Per fortuna, comunque, c’è tanta gente che mi mostra affetto e io ne sono molto felice.

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