Un babbano alla mostra di Harry Potter

  • 08 06 2018

Dopo aver girato il mondo, la spettacolare esibizione sul celebre maghetto è arrivata in Italia. Lo scrittore Alessandro Mari si è intrufolato nel pubblico. Tra figlie impazienti e fidanzati trascinati, ecco il suo (prodigioso) reportage

Secondo il calendario è quasi estate, ma oggi il cielo su Milano è autunnale. Una pioggia grossa ti sorprende a tutte le ore. Non sembra di stare a un passo dal Mediterraneo ma più su, oltre il Canale della Manica, in Inghilterra. E se i capricci del clima sono la conseguenza metereologica delle infiltrazioni atlantiche, io preferisco la spiegazione dei tantissimi in coda con l’ombrello davanti alla Fabbrica del Vapore, lo spazio scelto per la tappa italiana della grande mostra Harry Potter: The Exhibition. I capricci del clima sono magia.

Madre single, J.K. Rowling resiste alle difficoltà coltivando la magia che le cresce dentro

Per colpa di scettici e babbani, mi tocca ricordare che questa magia capace di radunare fulmini e pioggia sopra Milano viene dal vecchio millennio. L’anno è il 1997, il mese è giugno e forse c’è uno sprazzo di sole quando nelle librerie del Regno Unito fa la sua timida comparsa il romanzo di una 30enne che si firma J.K. Rowling, e il cui nome all’anagrafe è Joanne. Madre single, Joanne resiste alle difficoltà della vita coltivando la magia che le cresce dentro, e nel 1997 sfodera la bacchetta per lanciare Harry Potter e la pietra filosofale, che in meno di 2 anni diventa un caso planetario. Il decennio successivo è scandito dalla pubblicazione degli altri 6 volumi della saga, cui si aggiungono i libri collaterali e gli 8 capitoli della trasposizione cinematografica conclusa nel 2012, la più redditizia di Hollywood. Un franchise che dal 2009 vanta anche questa mostra itinerante giunta a Milano dopo aver toccato i 4 angoli del globo. Nel frattempo Harry, Hermione e Ron, combriccola di maghetti da scuola media, sono diventati dei giovani adulti tormentati da sfide intime e fatali, mentre babbano è assurto a offesa che unisce generazioni. In coda all’ingresso, è così che le figlie impazienti apostrofano le madri, che 20 anni fa apostrofavano le loro allo stesso modo.

Se non ricordo male, a mia mamma non ho mai dato della babbana, ma a una fidanzata sì, e questa parola racchiude una delle ragioni per cui siamo centinaia qui sotto il cielo che tuona. Babbano indica chi è sprovvisto di poteri magici, e nella sua accezione peggiore è sinonimo di cretino, babbeo, ma chi conosce la saga sa che il vocabolo rimanda direttamente a Harry: affidato a una famiglia di babbani che lo detesta per via delle sue doti eccezionali, a Hogwarts il maghetto dagli occhiali tondi potrà diventare chi è già. La sua è un’avventura di formazione e maestri, riscatto e amicizia dove la magia rappresenta il talento, il coraggio, le cicatrici, la virtù o – viceversa – il male in tutte le sue forme. Ma la cornice fantastica della saga, così british per tradizione, è solo una meravigliosa cornice d’infinita cura – e inventiva – per i dettagli. A costo di perdere l’incanto, tutto si può ridurre a babbano. Detto da una figlia che abbraccia la madre: «Grazie che mi hai letto il libro quand’ero piccola». Detto con risentimento, invece: «Tu non mi capisci perché non hai dentro la mia magia».

In “Harry Potter” tutti possono trovare un eroe o un sentimento in cui rispecchiarsi

Eppure, già nella prima sala dove il Cappello Parlante fruga nei visitatori per destinarli alle 4 case di Hogwarts, anche i babbani – mogli e fidanzati, amici e genitori costretti forzosamente a venire – cominciano a intuire la natura sottile della magia. Sfilano scettici accanto alla locomotiva sul binario 9 3⁄4, storcono il naso davanti a chi tira fuori una mandragola urlante da un vaso, si rilassano nell’immane poltrona di Hagrid, sogghignano con una palla da Quidditch in mano e infine, al cospetto della tunica spettrale di Voldemort, capiscono. Forse è tardi per appassionarsi a questa saga fantasy per ragazzi, a questo franchise che strega gli adulti, ma ora capiscono che in Harry Potter – classico e fiaba – tutti possono trovare un eroe o un sentimento in cui rispecchiarsi. Anche in segreto: mica è facile dirsi un Serpeverde quando tutti vogliono essere un Grifondoro.

L’allestimento regala il brivido di camminare dentro la propria fantasia

Nella penombra che ammanta le teche e i perimetri invalicabili dentro cui c’è il corpus della mostra (quintali di oggetti di scena, abiti e ambientazioni provenienti dai set cinematografici) ogni tanto lampeggia un flash e un custode ricorda: “Niente flash”. Ma a starci attenti, quei flash fanno brillare la vera anima della mostra. Gli occhi dei visitatori. È lì, negli occhi, che accade la magia. Per 20 anni chini sui romanzi, milioni di fan hanno creato dentro i loro occhi il mondo fantastico di Harry Potter. Poi ci sono stati i film, che lo hanno precisato. E ora vuoi mettere il brivido di camminare dentro la propria fantasia, magari mano nella mano con chi, quella fantasia, l’ha condivisa con te? Perciò quando esci dalla mostra e trovi un cielo autunnale anche se è maggio, ti dici che va bene: non può esserci altro cielo. Ci vuole un cielo british, sopra Hogwarts. La mostra chiude il 9 settembre. Speriamo che Harry ci porti anche la magia dell’estate.

Una mostra da record

4,5 i visitatori che hanno partecipato alla mostra, in tutto il mondo: l’anteprima è stata lo scorso febbraio a Chicago. 1.600 i metri quadrati della superficie allestita, divisa in 9 stanze. Nella prima, il Cappello Parlante “smista” i visitatori nelle 4 case di Hogwarts. 250mila le presenze previste nella tappa italiana, la 18esima dell’esibizione.

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