Perché “The Post” è un film importante

Arriva il 1° febbraio al cinema The Post di Steven Spielberg: un film che racconta uno degli episodi più cruciali per la libertà di stampa negli Usa. E che ritrae una donna coraggiosa che ha saputo imporsi in un mondo prevalentemente maschile

«La libertà di stampa è un diritto» sono queste le prime parole di Steven Spielberg davanti a una sala strapiena di giornalisti accorsi all’anteprima di The Post, il film di cui tutti parlano e che vedremo al cinema dal primo febbraio. Racconta i retroscena di uno dei momenti più importanti nella storia del giornalismo. Siamo nel 1971, nella redazione del “Washington Post”, e un agguerrito gruppo di reporter, sostenuto da un coraggioso editore – sì una donna – sceglie di sfidare il potere. Il senso di questo film, e sullo schermo lo sentirete direttamente dalla voce di Tom Hanks, «è il diritto dei lettori alla verità».

Se avete visto Tutti gli uomini del Presidente (1976), pellicola cult con Robert Redford e Dustin Hoffman, vi sarete fatti un’idea. In The Post siamo nella stessa redazione. Solo alcuni anni prima. Il direttore è Ben Bradlee (il bravissimo Tom Hanks), uno squalo, uno che non si accontenta di una notizia: lui vuole “La Notizia”. Il suo boss è Katharine Kay Graham (Meryl Streep in una delle sue interpretazioni più intense), la prima donna a imporsi in un mondo, quello del giornalismo e della grande industria, dove regnavano i maschi. Fu lei a dare il via alle rotative a mezzanotte inoltrata per la pubblicazione dei Pentagon Papers, i documenti che svelavano come il governo avesse insabbiato le notizie riguardanti la verità sulla Guerra in Vietnam. Inimicandosi così la Casa Bianca e rischiando la prigione. E fu lei, insieme a Ben Bradlee, a rivendicare il diritto alla libertà di stampa, senza abbassare la testa davanti alla prepotenza del potere. Un esempio di coraggio, e di onestà intellettuale.

Il film è ambientato nel 1971, ma è straordinariamente attuale. «Oggi la libertà di stampa è sotto attacco» nota Spielberg con una punta di amarezza: «ogni giorno vediamo etichettate come “fake news” tutto quello che non piace al Presidente. Forse è anche peggio.» Il film è stato accolto molto bene negli Stati Uniti. Meryl Streep ha ricordato quando il pubblico statunitense ha esultato davanti alla scena clou: Katharine Graham che dice: «Procediamo, si stampi». Ma The Post è amato non solo per il contenuto politico, tiene a sottolineare il regista, quanto per la forza dell’editore: «una donna al vertice capace di trovare una sua, propria voce in mondo governato in modo esclusivo da pochi uomini».

Era sola, a eccezione del direttore Bradlee, che per lei aveva una sconfinata ammirazione. Eppure, a modo suo, con grande coraggio la signora Graham riuscì a rompere il soffitto di vetro, a imporsi. Lo stesso coraggio lo ritroviamo oggi nelle donne che hanno rotto il silenzio per denunciare le molestie e le ingiustizie: le donne di #MeToo e di Time’s Up.

The Post è un film che parla del passato per aiutarci a capire il presente. Un film che fa rimpiangere un periodo in cui il potere era concentrato in qualche palazzo e si poteva raggiungere la verità con un coraggioso lavoro di scavo e di puntuale verifica delle notizie (l’ultima scena, non a caso, ci introduce nello scandalo Watergate). Parla di tutto questo, parla a tutti, e in fondo parla di oggi. Ci dice che la verità è necessaria, che la passione per un lavoro e per la propria professione non devono sottostare al potere o alle amicizie.

E’ un film su una pagina gloriosa del giornalismo, ma che parla anche di donne e della loro capacità di tenere il comando quando la posta in gioco è grande, insomma del loro – del nostro – saper anche andare contro il sistema. Di saper affrontare situazioni difficili e di saper tener testa al gruppo più agguerrito di maschi alfa (i politici di Washington e i signori della Borsa di New York).

C’è un bell’articolo di un’altra Kate, Katharine Viner, la direttrice del “Guardian”. Descrive con lucidità qual è la missione del giornalismo ai tempi delle piattaforme social, del risentimento diffuso, delle fake news, del deficit di fiducia e del potere che ha svuotato i palazzi per chiudersi nelle sue torri: «Se la gente desidera creare un mondo migliore, noi dobbiamo usare le nostre piattaforme per nutrire l’immaginazione, le idee piene di speranza, le nuove alternative». Insomma, «dobbiamo costruire speranza». Un film come questo, mostrandoci il coraggio di certe scelte in certi momenti, forse può aiutarci ad aprire gli occhi, a creare speranza.

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