Elezioni 2018: ma i giovani andranno a votare?

Secondo i sondaggi, metà dei nostri 18enni diserterà le urne. E tra i millennials regna l’indecisione. «Non trovano partiti né proposte credibili» dice il demografo Alessandro Rosina. Abbiamo chiesto a 2 ragazze, una impegnata e una disillusa, di spiegarci la loro scelta

Un 18enne su 2 potrebbe astenersi dal voto il 4 marzo a causa dello scarso interesse per la politica, dice un sondaggio dell’Istituto Piepoli. Per questo l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, in una lettera aperta, ha invitato i ragazzi a «non astenersi », perché è vero che «non cambierà tutto in una tornata elettorale, ma con l’astensionismo non si cambia niente». Se guardiamo più in generale ai millennials, la situazione non è diversa. Secondo il Rapporto dell’Istituto Toniolo, oltre il 40% dei giovani tra i 20 e i 34 anni è disaffezionato alla politica e non si sente rappresentato dagli attuali partiti. E chi è intenzionato a recarsi alle urne è più orientato al voto di protesta (il 30% guarda con interesse al M5S, il 20,4 alla Lega).

Hanno un peso elettorale inferiore

Per Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e Statistica sociale all’università Cattolica di Milano, «i giovani non vedono tra le forze in campo una proposta credibile, convincente e coinvolgente. E la reazione è di astenersi o di votare per chi interpreta il disagio, rivolgendosi in maniera più timida ai partiti tradizionali che finora si sono limitati a cercare soluzioni mirate a singole questioni come il lavoro o la casa, senza cambiare il modello di sviluppo sociale e rimettere al centro le nuove generazioni». Ma il probema è anche nella “domanda” politica: «I giovani oggi sono di meno, hanno un peso demografico inferiore agli anziani» aggiunge Rosina. Per questo le campagne elettorali si concentrano più sulle pensioni che sugli incentivi al lavoro: gli elettori tra i 18 e i 24 anni sono l’8%, mentre quelli con più di 65 anni sono il 22.3% della popolazioni (dati Istat).

Hanno meno ideali e sono stati messi al margine

Nel 1968 i ragazzi riempivano le piazze inseguendo grandi ideologie. C’era il boom economico e chi studiava otteneva condizioni di vita migliori dei genitori. Poi, in mezzo secolo, la società è cambiata, l’ascensore sociale si è bloccato. «I millennials hanno meno ideali, ma sono attenti a temi di giustizia sociale e disponibili a operare per il bene comune. Purtroppo si sono scontrati con crisi, globalizzazione, trasformazioni nel mercato del lavoro. E l’Italia non ha saputo fornire loro opportunità e strumenti per farli diventare forza trainante, finendo per metterli al margine» conclude il docente.

Le testimonianze

Beatrice Semplici 20 anni: «Forse mi asterrò: alla fine nessun governo riesce a fare vere riforme» Ecco ci racconta la studentessa di Biotecnologie all’università Statale di Milano: «Queste saranno le mie prime elezioni politiche, ma sono molto indecisa e disillusa. Mi sono cancellata da Facebook, era una distrazione troppo grande durante la maturità, così per informarmi guardo i siti di news come La Repubblica. In università non c’è un vero e proprio dibattito politico, ci confrontiamo al massimo su chi potrebbe essere il candidato giusto da votare: mi sono fatta un’idea di come funzionano le istituzioni e il sistema elettorale solo durante l’ultimo anno di liceo. Ho come la sensazione che qualsiasi governo venga eletto alla fine non riesca comunque a portare avanti le sue riforme. Per esempio, la legge sullo “ius soli”: dalle elementari in poi ho sempre avuto amici stranieri nati in Italia a cui però viene ancora negata la cittadinanza fino a 18 anni. È assurdo. Prima di iniziare l’università a Milano ho passato un mese da fuorisede a Ferrara e ho conosciuto altrettanti ragazzi con le idee confuse: la mia è una generazione concentrata su se stessa, cui interessa solo il riconoscimento sui social network. Forse non sappiamo chi votare perché non sappiamo cosa vogliamo. C’è stato un candidato che aveva avanzato la proposta di abolire le tasse universitarie e mi aveva incuriosita, ma l’idea è apparsa subito irrealizzabile. Votare mi sembra una cosa più grande di me, forse non è un valore così importante».

Laura Aguzzi «Voterò di certo: sono una militante della Lega e consigliere di zona» Laura ha 23 anni, lavora in una concessionaria d’auto e studia Scienze Politiche. «Ho una laurea triennale in Lingue per le relazioni internazionali e frequento i corsi magistrali di Scienze politiche alla Statale di Milano. In quest’ultimo anno ho iniziato anche a lavorare full time in una concessionaria d’auto. Di sera, faccio politica. Ho cominciato a interessarmene nel 2013, alle ultime elezioni nazionali: i miei genitori non sono mai stati militanti di partito, però a casa abbiamo sempre seguito il dibattito politico. Era il periodo in cui Matteo Salvini iniziava ad apparire in televisione e sui social: il programma della Lega era il più convincente. Un anno dopo ho incontrato un gruppo di ragazzi del Movimento Giovani Padani che distribuivano volantini a un gazebo, mi sono tesserata come sostenitrice. Mi sono trovata a dare, poco alla volta, il mio contributo volantinando, partecipando a riunioni, incontri e congressi: nel 2016 sono stata eletta consigliera al Municipio 8 di Milano. Quello che cerco di far capire ai ragazzi, oggi, è che la politica influenza la vita di tutti i giorni, dal problema dell’immigrazione irregolare alla crisi del lavoro: anche mia sorella di 18 anni non si pone il dubbio di chi andare a votare, i suoi orizzonti sono l’università e l’esame di maturità. Invece ci sono questioni, come la disoccupazione, fondamentali: ho amiche laureate da anni, con master e titoli di studio, ancora senza un impiego».

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