Guerra in Siria: le cause e cosa succede ora

Non c’è pace per la Siria. Un paese in guerra con se stesso, ma anche al centro di influenze esterne: un vaso di coccio fra tanti vasi di ferro. Quello che si consuma sul terreno siriano non è solo un scontro fra forze interne al paese, non è più solo guerra civile – e lo abbiamo visto in questo ore, con l’intervento americano contro il regime di Assad. In Siria, ci sono interessi diversi, perché le diverse fazioni sono appoggiate da attori esterni, ognuno dei quali vuol accrescere la sua influenza sull’area mediorientale. Che cosa sta succedendo in Siria? Ripercorriamo la storia.

Marzo 2011. L’inizio

Il conflitto in Siria comincia nel marzo del  2011. Sono proteste spontanee contro il regime del presidente Bashar al Assad. «Sono cominciate senza l’intenzione di abbattere Assad. Chiedevano solo riforme in campo sociale ed economico. Ben presto queste sono state sfruttate da Stati esterni che hanno sostenuto questi ribelli al regime. E si è passati presto alla guerriglia armata. La risposta del regime è stata subito molto repressiva e a quel punto, due mesi dopo, è scoppiata guerra civile” ci spiega Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano.

Il regime di Assad e le altre forze in campo

Si scontrano sul campo: le milizie filo governative del presidente Bashar al Assad (appartiene alla setta degli alawiti, affiliati agli sciiti), che vuole continuare a controllare il paese. Contro: un esercito di ribelli, una resistenza interna, inizialmente compatta sotto la sigla ‘Fsa’, Free Sirian Army, ma oggi scomposta e variegata, e che ha l’obiettivo di rovesciare il presidente. Nel conflitto, in funzione anti-regime, ci sono anche i curdi-siriani, che vivono lungo il confine con la Turchia: vorrebbero creare un loro Stato autonomo, assieme agli omologhi turchi e iracheni. Contro anche, i gruppi jihadisti, cioè i fondamentalisti islamici: il gruppo al-Nusra, che è vicino ad Al-Qaeda, e Isis, che nel frattempo ha proclamato la creazione di un Califfato, cioè di un suo “stato” dove regna la legge islamica, che ha la sua base nella città siriana di Raqqa.

Aprile 2013. L’Iran entra in gioco

Spiega Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano: «La Siria è l’alleato strategico dell’Iran: sono sciiti. Quando sono scoppiate le prime rivolte, l’Arabia Saudita (sunniti) ha subito visto in esse un opportunità per eliminare Assad e anche diminuire l’influenza dell’Iran, suo storico nemico, nella regione. E infatti, con la Turchia ha sostenuto tutte le opposizioni al regime, dove c’erano anche movimenti radicali». Con il presidente-dittatore in difficoltà, l’Iran è arrivato in aiuto. «Da quel momento, quello che sembrava una guerra civile, si è trasformata in un conflitto regionale, “per procura”, dove ogni attore esterno cerca di appoggiare chi gli fa più comodo» chiarisce Torrelli.

Agosto 2013. Le armi chimiche e la “linea rossa”

Il 21 agosto 2013 viene sferrato un attacco con armi chimiche contro i ribelli alla periferia di Damasco. 1.400, i morti. Secondo gli ispettori dell’Onu furono usati razzi terra-terra contenenti 350 litri di gas Sarin. Gli Usa  saranno sull’orlo di una guerra contro il regime di Bashar al Assad. Il presidente Barack Obama, infatti, aveva affermato in precedenza che proprio l’uso di armi chimiche era la “linea rossa” che Damasco non avrebbe potuto superare, pena un intervento Usa. La guerra fu scongiurata da un accordo tra la Russia e l’America che portò il regime siriano ad ammettere il possesso di armi chimiche e ad accettare la loro eliminazione.

Come aiutare concretamente le persone in Siria: qui i link e le informazioni utili per donare

29 giugno 2014. Nasce il Califfato

Dal 2014, quando Isis proclama la nascita del Califfato proprio sul territorio siriano allo sbando, altre nazioni avvertono esigenza di intervenire. Usa, Gran Bretagna e Francia mandano droni e aerei. «La strategia di questi paesi è bloccare Isis attaccando le sue postazioni dall’alto, appoggiandosi, sul campo, ai ribelli curdi, che vengono armati. Queste potenze vorrebbero anche destituire Assad, ma di fatto il presidente – dittatore non viene toccato.

30 settembre 2015. L’intervento della Russia

Ed è a questo punto che interviene anche la Russia, altro alleato strategico della Siria. «Le relazioni economiche e di cooperazione fra i due paesi sono state sempre molto intese, dai tempi della guerra fredda», aggiunge Torrelli. «La Russia interviene con il pretesto di attaccare l’Isis, ma nel suo mirino ci sono i ribelli di Assad. Il quadro si complica con la Turchia, anche essa intervenuta con il pretesto di colpire le basi del Califfato, ma che in verità attacca i Curdi, acerrimi nemici, andando paradossalmente a indebolire lo stesso fronte anti-Isis, perché i ribelli Curdi sono quelli che fronteggiano le milizie estremiste sul terreno di battaglia, sostenuti da una coalizione internazionale a guida americana».

In foto: un bambino dopo un bombardamento ad Aleppo il 17 agosto scorso 2016

Dicembre 2016. L’assedio di Aleppo

Il 22 dicembre 2016, dopo un assedio lungo e sanguinoso, l’esercito di Assad riesce a strappare i quartieri orientali di Aleppo ai ribelli. La città ripassa nella mani del regime, dopo che un accordo garantito da potenze estere, permette l’evacuazione di civili e combattenti.

4 aprile 2017. L’attacco chimico di Idlib e la reazione americana

Martedì 4 aprile un attacco chimico, a opera del regime di Assad e diretto contro i ribelli, ha ucciso almeno 74 persone, la maggior parte delle quali civili. Le foto delle vittime hanno creato un grande scalpore nell’opinione pubblica internazionale. Fino a questa data gli Stati Uniti avevano solo attaccato Isis e le sue basi. Mai Assad. Il 7 aprile, per la prima volta da quanto è iniziata la guerra, gli Stati Uniti colpiscono il regime con una serie di raid sulla base al Shayrat vicino a Homs, in Siria. Questa è la base da cui sarebbero partiti gli aerei siriani per bombardare la città di Idlib, due giorni primi. 

In foto: Abdul-Hamid Alyousef e i suoi figli gemelli di 9 mesi, Aya e Ahmed, vittime dell’attacco del 4 aprile insieme ad altre 33 persone della sua famiglia

Cosa succede ora?

Il presidente Usa, poche ore dopo averlo minacciato a parole, ha autorizzato un attacco missilistico contro una base aerea siriana. Era la “punizione” per il presidente Assad, accusato di aver usato volontariamente gas sarin in un villaggio a nord ovest del Paese, controllato da ribelli antigovernativi, provocando la morte di molti civili e bambini. Una mossa che ha fatto infuriare la Russia, alleata della Siria, e irritato l’Iran.

Siamo alla vigilia di un’escalation militare? 

«Al presidente Usa interessa inviare un messaggio politico al mondo» dice Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta scuola di economia e relazioni internazionali dell’università Cattolica. «Al suo elettorato dimostra di essere un duro, in contrapposizione a Barack Obama che sulla vicenda siriana ha spesso tentennato. A Cina e Corea del Nord dice che non ha paura di correre rischi pur di mantenere la leadership mondiale. Infine, mostra di non avere problemi a mettersi contro le posizioni russe». Scelta non casuale, vista l’indagine dell’Fbi sugli hacker di Mosca che potrebbero aver favorito la sua elezione alla Casa bianca.

Che cosa cambia nella lotta all’Is? 

«Per ora è improbabile che gli attori coinvolti faranno marcia indietro» dice Parsi. «Questo dimostra che il collante della lotta al terrorismo globale è fragile, perché dietro l’obiettivo comune di abbattere l’Is c’è una somma di interessi particolari. Come quello della Russia di aumentare la sua influenza geopolitica nel Mediterraneo, quello della Turchia di presidiare il nord della Siria e contrastare l’ascesa dei curdi, o quello di Assad di mantenere il potere, che si tratti di combattere l’Is o altre formazioni a lui contrarie».

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