Ci vuole una legge per decidere come vestirsi a scuola?

  • 31 08 2017

Non esiste una normativa nazionale che regoli il look per la scuola. Ogni scuola decide per sé. Ma più che imporre un codice, non sarebbe meglio condividere le regole con i ragazzi?

Si può portare la minigonna a scuola? E se un ragazzo indossa una t-shirt attillata che mostra i bicipiti muscolosi mentre ascolta una lezione di storia è un problema? I tempi della fotografia di classe vestiti tutti uguali sono finiti da parecchio. Fino a qualche tempo fa la divisa serviva ad eliminare le differenze di classe sociale e le griffe ma negli ultimi anni l’abbigliamento in classe è diventato una questione di comportamento.

Basta mettersi davanti ai cancelli di una scuola secondaria di primo o secondo grado per accorgersi che oggi tutti i ragazzi e le ragazze di qualsiasi classe sociale si presentano a scuola come se dovessero uscire per una serata: sfoggiano i migliori capi che trovano nell’armadio, spesso le ragazze non hanno timore a portare una camicia trasparente, un perizoma che si intravede, dei leggins e i maschi non si fanno problemi a indossare jeans a cavallo basso che lasciano spazio alla vista dei boxer. C’è persino chi esce di casa vestito in un modo e prima di arrivare a scuola trova modo di cambiarsi per apparire più “alla moda”, più attraente.

Di questo problema se n’è occupato quest’estate persino il parlamento italiano. L’onorevole Elena Centemero ha presentato un’interrogazione alla ministra dell’Istruzione sulla questione: la deputata ha chiesto di adottare a livello nazionale un codice di comportamento per tutte le scuole o di tornare alla divisa perché “i concetti di consono e decoroso non attengono alla sfera interpretativa dei singoli ma all’ambiente sociale e al luogo cui si riferisce”. In qualche scuola esistono già regolamenti e circolari che prevedono sanzioni e persino la non ammissione a scuola in alcuni a casi. Non esiste in realtà una normativa nazionale che regolamenta l’abbigliamento da adottare ma viene lasciato all’autonomia di ogni singolo istituto il compito di regolamentare la questione.

Ma è giusto negare ad un ragazzo o ad una ragazza il diritto all’istruzione in base all’abbigliamento? Come si può fissare una sanzione sulla base di una t-shirt più o meno scollata? La minigonna, sdoganata dagli anni Sessanta, è inopportuna a scuola? E chi stabilisce se i leggins sono troppo attillati quella mattina? La questione ancora una volta dovrebbe essere discussa andando oltre il jeans a cavallo basso. Nella scuola italiana fin dalla primaria le regole non sono più condivise. Sono imposte ai ragazzi. Le scrivono i maestri per loro. Ogni scuola ha un patto educativo ma questo “contratto” è stato scritto solo da una parte.

Quando ti ritrovi di fronte un ragazzo, la strategia per assicurarti la sua fiducia, il suo rispetto (che vale dal modo in cui sta seduto, a quello con il quale si rivolge all’insegnante, all’abbigliamento) è quella di costruire insieme le regole di convivenza.

Non è certo una minigonna a poter destabilizzare una classe o a etichettare il comportamento di un’ alunna ma il suo atteggiamento, il suo modo di essere. E non è certo la divisa a risolvere il problema di un comportamento inadeguato.

Con l’inizio dell’anno scolastico si torna a parlare di questa questione e si riapre il dibattito. Ben venga ma lasciamo la parola anche ai ragazzi.


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