angelina jolie

Dopo il divorzio, Brad e Angelina hanno deciso per l’affidamento conguinto dei sei figli: lo ha rivelato il quotidiano inglese The Sun

Affido condiviso: parlano le mamme

Per i figli è la soluzione migliore, lo dicono le ricerche. Ma quel nido che si svuota a giorni alterni non mette al riparo dalla malinconia e non è facile da organizzare. Qui le storie di tre donne che ce l’hanno fatta e che oggi sono felici genitori part time

Dopo due anni di battaglie, Brad Pitt e Angelina Jolie hanno trovato l’accordo per il divorzio. Lei voleva l’affido esclusivo dei sei figli, ora ha accettato che possano vedere il papà tutti i giorni. Del resto è ciò che consigliano gli esperti: si chiama affido condiviso o paritetico e prevede che i minori trascorrano un tempo equivalente con entrambi i genitori (almeno 1/3 con ciascuno). «In Europa è una prassi diffusa, adottata dal 40% delle coppie in Svezia e dal 30% in Belgio: si ritiene sia la soluzione migliore per garantire la serenità dei bambini» dice Virna Cappello, psicologa e psicoterapeuta, referente di Aiges, l’Agenzia nazionale genitori separati. «In Italia purtroppo, forse per un retaggio della cultura mediterranea, c’è ancora resistenza e i figli di separati vedono il papà in media solo 6-7 giorni al mese. Ma così si negano l’accudimento e la condivisione delle emozioni giorno dopo giorno, necessari per costruire quel rapporto di fiducia che un minore ha diritto di mantenere con entrambi i genitori. E che è garantito solo da un affido equivalente».

Per le donne, però, a volte è difficile da accettare

Molte temono che i bambini soffrano a cambiare continuamente ambiente o che il papà non sappia accudirli bene. «Gli studi scientifici smentiscono i timori. E dimostrano che i bambini cresciuti in affido condiviso sviluppano meno disagi emotivi, comportamentali e perfino fisici. Anche la conflittualità tra ex si riduce: se entrambi gestiscono le spese e vedono i figli spesso, litigano meno per questioni economiche o per un turno spostato» continua la psicologa. Resta però il senso di spaesamento con cui devono fare i conti molte donne. «Non parlo solo della nostalgia e della solitudine suscitate dalla casa vuota» conclude Cappello. «Intendo un malessere più sottile. Quando si ha l’affido prevalente, in genere, ci si butta a capofitto nel ruolo di mamma. È molto faticoso ma il vortice di impegni impedisce di pensare al resto. Nella gestione alternata, invece, ti ritrovi a tu per tu con te stessa, a chiederti non solo “cosa faccio ora?” ma anche “chi sono senza i bambini?”. Bisogna mettersi in gioco. La difficoltà però può diventare un’occasione per ripartire, riprendersi spazi e tempi da dedicare alla cura di sé, alle cose che amiamo, alle amiche, a un nuovo compagno». Lo raccontano queste donne che hanno trovato un nuovo equilibrio come mamme e come donne.

Papà sempre presenti

Su 74 ricerche effettuate negli ultimi 20 anni, 71 confermano che l’affido congiunto è la soluzione migliore per i figli, quella più efficace per minimizzare il trauma legato alla separazione. Tra le ricerche ce n’è una realizzata per il Dipartimento della Salute americano, che ha confrontato 33 diversi studi, dimostrando che i bambini cresciuti in custodia congiunta, sia fisica sia legale, stanno meglio di quelli con la custodia monogenitoriale. La presenza costante dei padri è associata a benefici comportamentali, emozionali e scolastici. Secondo gli studiosi, frequentare entrambi i genitori non riduce solo i disagi psico emotivi dei minori, ma anche le malattie psichiatriche, i disturbi metabolici e quelli ormonali.

LE VOSTRE STORIE

Elena, 34 anni, due figli: «Ho superato la rabbia per il matrimonio finito»

Da 5 anni i miei figli hanno due vite parallele: stanno tre giorni con me e tre con papà. La psicologa che mi seguiva nella separazione mi ha convinto ad accettare l’alternanza per il loro bene e aveva ragione. All’inizio, però, non l’ho digerita. Ripetevo agli altri e a me stessa che mi preoccupavo per i piccoli, perché dovevano cambiare sempre casa e ritmi, e perché il papà li faceva vivere tra fast food, videogiochi e film di guerra. Vivevo nell’ansia, tra rabbia e scenate. Finché mia madre, preoccupata, mi ha spinto a tornare dalla psicologa, che mi ha aperto gli occhi: il punto non erano i bambini, che crescevano sereni. Ero io a non esserlo: accecata dal rancore, proiettavo su di loro le mie paure e frustrazioni. Odiavo quell’accordo perché mi obbligava a confrontarmi con l’ex e con le mie fragilità nate dalla rottura. Non sarei tornata a vivere con lui, ma non mi rassegnavo ad averlo perso. Poi, ho fatto i conti con la realtà: dovevo voltare pagina. Ho smesso di chiedermi cosa facevano i bambini con lui e ho iniziato a pensare cosa fare io, da sola: mi sono ripresa il tempo per andare la palestra e uscire la sera con le amiche. Poi, ho ridotto al minimo i contatti: il passaggio dei figli avviene solo a scuola, uno li porta e uno li va a prendere. E ho detto stop alle telefonate, uso solo whatsApp. Quando mi scrive un messaggio, lo mostro a chi ho vicino e se ci sono parole pesanti, lo cestino senza leggerlo.

Sara, 42 anni, una figlia Ho sfruttato la bella energia della mia bambina

Quando me ne sono andata di casa, 4 anni fa, la mia preoccupazione era non far soffrire mia figlia. Per questo ho scelto l’affido condiviso. I primi mesi sono stati terribili, non ero abituata a stare senza di lei, a non sentire la sua voce e il suo odore. I fine settimana mi parevano interminabili, la casa era vuota e immersa nel silenzio e io mi sentivo così inutile. A volte mi prendeva lo sconforto, temevo di aver fatto la scelta sbagliata. Ma, toccato il fondo, sono riuscita a darmi la spinta per risalire. E ho avuto un angelo custode: una brava riflessologa. Mentre le sue mani mi rimettevano in sesto, le sue parole mi davano speranza. Mi ha aiutato a ritrovare il feeling con me stessa e l’energia per vivere a pieno il rapporto con la mia bambina: non passavo più il tempo a pensare al momento in cui sarebbe andata da suo padre. Anche se aveva solo 6 anni l’ho coinvolta nella ricerca della nuova casa: volevo trasformare il lutto per la fine della vecchia famiglia nella gioia per l’inizio di una nuova vita insieme, io e lei. E lei mi ha ricambiato dandomi forza, mi ha stretto negli abbracci più teneri del mondo. Finché un giorno mi ha detto “Mamma, hai fatto bene a trasferirti, con papà non ridevi più, ora sorridi di nuovo!”.

Ester, 32 anni, due figlie Ho smesso di rincorrere una nuova relazione

Ho fatto di tutto perché le mie figlie potessero stare più tempo possibile con il papà. Ma lui fa i turni di notte, così le mie giornate libere variano sempre. Ho avuto un paio di storie ma sono naufragate: per decidere quando rivederci dovevo consultare l’agenda. E dopo una notte di passione, lui doveva scappare prima dell’alba, perché alle 7 arrivavano le mie bambine. Non è possibile avere una relazione così, mi ripetevo. In realtà, ero io la prima a sentirmi in imbarazzo e a pensare che se non potevo offrire una presenza full time non potevo neanche permettermi un rapporto. Ma non è così. L’ho capito una sera quando, dopo una cena, ho passato una notte con un collega. Siamo stati bene, poi lui ha messo subito le cose in chiaro: voleva rivedermi, ma senza impegno. In quel momento ho pensato: “perché no?”. Grazie a lui ho scoperto il piacere della leggerezza e di passare una serata a coccolarsi senza paranoie. Ma anche il tempo per stare con le mie bambine e capire cosa voglio dal mio futuro.

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