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Disabili: anche noi abbiamo diritto al sesso

L’eros è un bisogno naturale. Che ai disabili è negato. Il problema viene lasciato alle famiglie. E la soluzione, spesso, è una prostituta. Ora però esiste un’alternativa: la partner surrogata. Abbiamo incontrato la prima italiana che ha scelto di farlo. E i suoi pazienti

“Avevo bisogno di abbracci, di carezze, di una pelle da sfiorare. Avevo bisogno di rivivere emozioni che, dentro di me, erano bloccate”. Francesca Penno, 29 anni, spiega così la sua decisione di sottoporsi a una seduta di “terapia sessuale“.

Lei, affetta da Sma (atrofia muscolare spinale) e costretta dall’età di 6 anni a vivere su una sedia a rotelle, rivendica con fermezza il diritto alla normalità: “Un disabile è prima di tutto una persona. Con bisogni anche della carne. Come tutti”. Già, è così. Anche se è difficile, in generale, immaginare che i disabili abbiano una vita sessuale o che ne avvertano l’esigenza. Francesca, per esempio, lunghi capelli biondi e voce squillante che un po’ stride con la fredda immobilità del suo corpo, è uscita da qualche tempo da una storia d’amore durata 8 anni: “Speravo fosse il compagno della vita, invece, nel 2010, lui ha deciso di tornare nel suo Paese, il Senegal. Non me la sono sentita di seguirlo: per una volta, la mia disabilità mi ha frenata. Però ho sofferto. Sono stata male. Lui mi mancava, in tutti i sensi”.

Da quel dolore e da un incontro con Debora De Angelis, la prima “love giver” italiana, è nata la sua decisione di ricorrere all’assistenza sessuale. “Mi volevo riconciliare con la mia femminilità. È stato un momento di benessere ma anche di confronto, di crescita, e mi ha aiutata molto. Mi ha sorpresa scoprire il piacere che può offrire un massaggio intimo: aiuta a conoscere il corpo e lo proietta al di là dei propri limiti fisici”. Oggi Francesca, che vive con i genitori e ha un lavoro da impiegata, ha iniziato una nuova storia: “Il primo bacio, i baci seguenti, le mani, l’amore… Non so ancora bene che cosaè, mi lascio andare alle emozioni senza pormi domande”. Dice di sentirsi serena. Se dovesse finire? Ne prenderà atto: anche lei, ammette, non sempre ha fatto sesso per amore. Come tutti. Per Stefania, che è sua madre, “è inutile girarci attorno, sono pulsioni umane. Un disabile non ha bisogno solo di mangiare, bere ed essere portato fuori a prendere aria. Ha anche desideri e bisogni sessuali ed è giusto che faccia le sue esperienze”. È una donna concreta, Stefania. Non parla per parlare, non ama le provocazioni, non nasconde il timore che sua figlia si possa fare male: “Francesca sta mostrando grande coraggio nel mettersi a nudo per far emergere un problema che è di molti. Spero che almeno non venga fraintesa”.

Il “problema” riguarda circa più di tre milioni di persone. Tanti sono in Italia i disabili: il 5 per cento della popolazione, con un numero di giovani in forte crescita dovuto, purtroppo, a incidenti stradali. Eppure, la loro sessualità è cosa che continua a respingere e di cui non si parla o si parla il meno possibile, sempre che non incalzi Telethon o la Pubblicità Progresso. Anche il film The Session, del 2012, ha dato il via a un certo dibattito, ma il grande tabù resiste, ha radici profonde. Perfino in famiglia.

La storia di Enrico, padre di un tetraplegico

Illuminante la testimonianza di Enrico, padre di un tetraplegico. “Non so da dove cominciare” ammette Enrico. “Di fronte a quel bisogno fisico, non so come affrontare il discorso con mio figlio: mi sento impreparato… Cosa puoi fare, del resto, se non sai come prenderla?”. Anche quando il figlio si bagna, ed è evidente che cosa è successo, Enrico preferisce far finta di niente: la vergogna, la paura del corpo disabile, in lui sono più forti di qualsiasi sentimento. “Ho pensato talvolta anche a una prostituta” racconta. “Ma poi, che devo fare? Vado a cercarla per strada? Su Internet? E dopo la porto in casa?”.

I genitori di Matteo, che va a prostitute

In casa? “Mai!” tuonano Irma e Luigi, di Parma, genitori di Matteo, costretto alla sedia a rotelle e al respiratore dalla Sla. A condizionarli è “quello che potrebbe dire la gente” in una città, piccola e provinciale, in cui “tutti si conoscono” e loro sono “conosciuti da tutti”. Con le prostitute però il loro figlio ci va. Lo caricano in macchina gli amici e lo portano in un albergo. Dalla parte opposta della città, non si sa mai… Una volta alla settimana o anche no: “Da un po’ è meno esuberante” sottolinea la madre. Poi gli amici lo riportano a casa. I genitori pagano: 150 a botta senza fiatare. “L’importante è che Matteo sia contento” dicono. E, ovviamente, che nessuno sappia.

Debora, assistente sessuale autodidatta

Cultura e società, insomma, non aiutano. Non è un caso che molti, e fra questi anche Irma e Luigi, quando prendono in considerazione la sessualità del disabile, pensino per lo più al problema della genitalità, e quindi allo sfogo sessuale, per superare la non-vita di un corpo costretto in una gabbia. Certo, il sesso è un’esigenza fisica ma, avverte Debora De Angelis, romana: “Le prostitute agiscono solo a livello sessuale, per lavoro, e sono prive di una formazione adeguata a relazionarsi con il disabile”. Lunghi capelli neri e ovale da madonna trecentesca, laurea in Scienze della Comunicazione e testimonial della campagna “Love Giver” ideata da Max Ulivieri (web designer disabile a sua volta, creatore del sito www.diversamenteagibile.it) per portare la “sex surrogate”, la partner surrogata, nel nostro Paese, Debora rompe il tabù dichiarando, prima in Italia, di avere prestato assistenza sessuale per quasi 3 anni. Da “autodidatta”. Questa figura infatti qui non esiste e pertanto non esistono nemmeno corsi che preparino alla professione, come invece accade in altre nazioni. Dopo la prima volta con un amico tetraplegico a cui prestava assistenza saltuaria come badante, Debora (che ammette senza ipocrisia “una naturale inclinazione alla disinvoltura sessuale”) ha realizzato di essere impreparata a confrontarsi con le implicazioni collaterali di un simile rapporto, soprattutto affettive. “Una persona che non si è mai espressa a livello emotivo può sviluppare un interesse morboso verso chi gli dedica attenzione” spiega. Allora ha studiato. Di tutto: dalla medicina alla psicologia, all’anatomia, sul filo dei corsi di formazione di altri Paesi. Ha letto montagne di libri. Ha seguito corsi di massaggio olistico e discipline orientali. E quando si è sentita pronta ha ricominciato. Sono tanti i disabili che ha seguito: uomini, per lo più, ma anche qualche donna. E ora affianca Max Ulivieri in una battaglia che, in Italia, è ancora di là da venire: “Voglio diventare la prima assistente sessuale per disabili legalmente riconosciuta in questo Paese” si infervora. Nel frattempo ha “congelato” la sua attività: “Una questione etica” per lei. Anche se fin qui non ha mai preteso compensi (“Mi mantengo con altri lavori”). Quella del compenso è una questione delicata in una vicenda addirittura delicatissima. Qualcuno, infatti, ha già parlato di prostituzione mascherata. Non è così, protesta Debora: “L’assistente sessuale non vende il proprio corpo. Offre a chi non li possiede gli strumenti per vivere una sessualità che, altrimenti, non vivrebbe mai”. Per questo il compenso sarà in linea con quello degli altri Paesi e degli operatori sanitari in genere: 100 euro per 90 minuti.

Come opera l’assistente sessuale

Ma come opera, in concreto, un assistente sessuale? Lo racconta Gabriele Piovano, 27 anni, inchiodato dalla nascita sulla carrozzina a causa di una spina bifida. La seduta è avvenuta dopo la fine di una storia d’amore (“con una disabile”) e l’incontro con l’attuale compagna (“normodotata”), con cui convive da un anno: “Provavo un senso di solitudine. Non volevo sesso, solo il contatto con una donna. Per riconquistare un’autostima un po’ in crisi. È cominciata con una chiacchierata in salotto: per sciogliere la tensione, e tirare fuori il problema. Poi, siamo passati in camera da letto. E lì, Debora ha cominciato a massaggiarmi, carezzarmi, toccarmi, guardarmi. Non ricordo baci, credo non ce ne siano stati. Ricordo invece l’intensità dello sguardo, le mani, l’emozione sempre più forte… Ricordo di essermi lasciato andare senza pensare più a niente, ubriacato dalle sue coccole. Alla fine, mi sentivo bene come non mi capitava da tempo”.

Una terapia in cui una persona insegna a toccarsi, toccare l’altro, conoscere il proprio sesso (e magari uno non l’ha neanche mai visto), è comunque un percorso sul filo del rasoio. Per questo Max Ulivieri ha messo in piedi un comitato di espert che lavora per portare anche in Italia questa figura. Dice Ulivieri: “I corsi di formazione dovrebbero iniziare l’anno prossimo”. Lui, insomma, è pronto. Bisognerà vedere se lo è anche il Paese.

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