Un momento della presentazione del "Piano femminista contro la violenza maschile e di genere" da par

Un momento della presentazione del "Piano femminista contro la violenza maschile e di genere" da parte del movimento "Non Una di Meno" nella Casa internazionale delle donne a Roma, 21 novembre 2017

5 scrittrici e attiviste sulla violenza di genere

Come riconoscere e combattere le infinite forme di abuso presenti nella nostra società? Dalla disparità economica all'odio online, dagli stereotipi nei media al mansplaining, 5 autrici e attiviste dicono la loro su come combattere la violenza di genere

Rebecca Solnit, autrice di Gli uomini mi spiegano le cose (Ponte alle Grazie): «Un uomo che ti invita al silenzio ha un lasciapassare per altri abusi»

«La prima forma di violenza sulle donne avviene con le parole, perché anche il linguaggio è una forma di potere. Purtroppo capita ogni giorno, a ognuna di noi, di essere invitata al silenzio. Succede quando un uomo ti spiega una cosa, un’idea, indipendentemente dal fatto che tu ne sappia o meno e che lui ne sappia o meno, perché comunque è meglio di te. Lo chiamano “mansplaining”: un’arroganza che mette i bastoni tra le ruote alle donne, non permette di far sentire la loro voce e schiaccia le più giovani nel silenzio, insegnando che il mondo appartiene ai maschi e che noi siamo un recipiente vuoto da riempire con la loro saggezza. Questo atteggiamento sembra un granello di sabbia in mezzo al deserto, ma non è così. Si tratta piuttosto di un cuneo, di un varco che apre lo spazio ai maschi e lo chiude a noi, di un lasciapassare verso tutte le altre tipologie di abusi. Non pieghiamoci più a questa guerra: prendiamo la parola, prima a bassa voce e poi con maggiore convinzione e dimostriamo, con un sorriso, che anche noi possiamo “spiegare le cose” visto che le sappiamo, siamo attente e preparate. E se ci proviamo tutte, insieme, ci riusciremo».

Daniela Amato, attivista del movimento Non una di meno: «Violenza è assenza di libertà. Di girare sicure, di abortire, di esprimere idee»

«Siamo nel 2017, in un mondo potenzialmente senza confini, eppure le donne non godono della piena libertà. Non sono libere di dichiarare le proprie idee e preferenze sessuali senza essere messe in croce, non possono uscire la sera e divertirsi in sicurezza, non sono libere di sposarsi quando vogliono, di abortire. Non sono libere dalla fatica perché su di loro, soprattutto in alcuni Paesi, gravano sacrifici e rinunce che penalizzano l’esistenza. È come se, invece di andare avanti, la condizione femminile negli ultimi decenni fosse peggiorata. La colpa? Soprattutto degli uomini, spiazzati dalla nostra emancipazione e dalla volontà di essere sempre più indipendenti, pensando che vada a scapito loro. Invece si è davvero liberi se lo si è entrambi. Per questo scendiamo in piazza il 25 novembre: per rompere queste catene, madri di ogni violenza».

Tiziana Ferrario, giornalista, autrice di Orgoglio e pregiudizi (Chiarelettere): «Alle figlie molte madri insegnano ancora a sopportare»

«Ho scritto questo saggio colpita dalla forte presa di coscienza delle americane dopo l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. In tutti gli Stati Uniti le donne sono scese in piazza e hanno fondato associazioni molto attive, che stanno difendendo diritti e tutele al lavoro. Tutti questi movimenti hanno un filo che li unisce: puntano molto sull’educazione. La violenza, infatti, si insinua proprio dove manca quest’ultima. Perché nel 21esimo secolo le mamme, anche inconsciamente, insegnano alle figlie che da loro ci aspetta un bel matrimonio, dei figli e tanta pazienza per sopportare il marito? Le madri hanno un ruolo fondamentale: sono un esempio e possono pretendere e dimostrare la parità nei piccoli gesti quotidiani e, soprattutto, devono stimolare autostima e forza delle bambine. Se cresciamo ragazzine consapevoli del proprio valore, e dell’uguaglianza con i maschi, in futuro saranno donne capaci di opporsi a ogni discriminazione. Cominciamo questa sera a raccontare a figlie e nipoti una favola che, invece delle solita principessa, abbia come protagonista una scienziata così in gamba da salvare il mondo».

Deris Gil Martinez, attivista del movimento Lean In: «La disparità economica è una forma di ricatto: una disoccupata non lascerà mai il suo carnefice»

«La difficoltà di accesso al mondo del lavoro e la disparità salariale: ecco le forme di violenza più diffuse oggi. Perché una donna disoccupata, o con un reddito basso, non lascerà mai il suo carnefice. Su questo fronte la strada è tortuosa: in Italia nell’80% dei casi l’uomo guadagna di più della collega, a parità di mansione, e se continuiamo di questo passo il famoso gender gap sarà colmato tra 169 anni. Il movimento Lean In di cui faccio parte ha promosso 34.000 circoli nel mondo. Le donne hanno bisogno di incontrarsi, di lavorare insieme, di ricevere più formazione. Devono rafforzare l’autostima, prendendosi meriti e complimenti, e puntare sulle proprie potenzialità; devono sapere come contrattare per un aumento di stipendio o per avere dei benefit utili, o come candidarsi per l’impiego giusto. Il 90% delle lavoratrici, infatti, si propone in posizioni più basse perché pensa di non essere preparata».

Elisa Giomi, sociologa, autrice di Relazioni Brutali (Il Mulino): «Anche gli stereotipi sono soprusi: li trovi in tv, al cinema, sui social»

«La violenza e la sopraffazione verbale sono le prime piaghe da sconfiggere, i semi che fanno nascere gli altri soprusi. E non si trovano solo negli insulti diretti uomo-donna, ma anche in un linguaggio che trasuda stereotipi. Oggi sono entrambi ovunque: nelle pubblicità dove le donne mostrano solo il proprio corpo, come oggetti da dominare; nei film in cui sono sempre vulnerabili e accettano schiaffi perché l’amore va di pari passo con la gelosia; nelle canzoni rap, italiane e straniere, che le etichettano come poco di buono; nei social network zeppi di gruppi che inneggiano allo stupro o dove la foto di una ragazza in costume scatena il peggio, mentre un uomo è libero di mostrarsi al mare seminudo. Servono multe salate per chi diffonde questi messaggi. E, soprattutto, una vera educazione di genere sin dalla scuola materna per aprire le menti alla parità».

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