Razzisti si nasce o si diventa?

  • 25 07 2008

Paura. Diffidenza. A volte anche odio per chi è diverso e straniero. Sentimenti che abbiamo dentro da sempre o maturano in noi nel corso della vita? È uno dei tanti spunti di cui è discusso al meeting internazionale di San Rossore (Pisa), nella stessa tenuta dove 70 anni fa si firmavano le leggi razziali. Leggete cosa ne pensano sette esperti

Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo all’università La Sapienza di Roma.

«I bambini sono attratti e allarmati dalla diversità, ma questo non ha nulla a che vedere con il razzismo. Giocano senza problemi con un bambino nero o giallo, se nessuno fa osservare loro il diverso colore della pelle. È vero, però, che i più piccoli vivono un complesso d’inferiorità nei confronti degli adulti e spesso tendono a cercare rassicurazione nel trattare male o dominare qualcuno che sentono inferiore. Bisogna far capire loro che non c’è bisogno di disprezzare gli altri per rafforzare l’autostima. In ogni caso, di fronte al “nuovo”, i bambini fanno riferimento agli adulti, guardano come si comportano. Il linguaggio non verbale conta più delle parole. Se io dico che non ho nulla contro i gay, ma non frequento mai omosessuali, trasmetto un messaggio incoerente».

Marco Aime, docente di Antropologia culturale all’università di Genova.

«Razzisti si diventa. Spesso questo tipo di cultura nasconde conflitti socio-economici poi stumentalizzati dalle élite di potere, come per gli hutu e i tutsi in Ruanda. Adesso l’Italia è intrisa di razzismo, una dimostrazione è il recente piano di schedatura dei rom. Ricorda molto certe pratiche del Terzo Reich, quando gli ebrei erano costretti a girare con una stella gialla cucita sui vestiti per farsi riconoscere».

Chiara Saraceno, ordinario di Sociologia della famiglia presso la facoltà di Scienze politiche di Torino.

«È vero, è insito negli esseri umani riconoscere la diversità. Un bambino può essere colpito da chi ha un handicap perché l’handicap non l’ha mai visto prima. La faccenda cambia quando alla diversità si attribuisce un carattere aggressivo o negativo, ma questo avviene in un preciso contesto culturale. Il razzismo nasce con il colonialismo: legittima i conquistatori perché con la loro avanzata sostengono di diffondere una civiltà superiore».

Pietro Cheli, autore insieme al genetista Guido Barbujani di Sono razzista ma sto cercando di smettere (Laterza).

«Ho deciso di scrivere questo libro quando ho letto che James Watson, Nobel scopritore della doppia elica del Dna, aveva definito i neri meno intelligenti dei bianchi. Uno scivolone sgradevole. Tutte le ricerche degli scienziati dimostrano che, a parte le differenze morfologiche, le razze non esistono: tra noi ci sono diversità genetiche minime. Mettiamoci il cuore in pace: siamo tutti africani, perché discendiamo da una piccola tribù partita dall’Africa 150 mila anni fa. Le classificazioni razziali dell’Fbi, che sentiamo nel telefilm C.S.I. (il tipo caucasico, l’ispano-americano, l’afroamericano) non hanno alcuna base scientifica. Assomigliano a quelle di una tribù indios del Costarica che divide il mondo in due: da una parte ci sono loro, i “bribri”, che vuol dire uomini, dall’altra ci sono gli altri, cioè gli “ña” che vuol dire cacca».

Alessandra Mussolini, deputato del Popolo della Libertà.

«No, razzisti non si nasce. Lo si diventa a causa della cultura trasmessa dai genitori, magari vivendo in un contesto sociale degradato. Oggi l’odio non riguarda più solo le razze, ma anche il sesso o l’età di chi consideriamo diverso da noi. C’è razzismo nei confronti dei vecchi, sessismo nei riguardi delle donne che vengono lapidate, mutilate, quando va bene emarginate. Mi è capitato di vedere in autobus un giovane che rifiutava di lasciare il posto a una donna di colore col pancione: meschinità che dimostrano che la storia non ci ha insegnato niente. Sarebbe fondamentale che le istituzioni internazionali lanciassero una politica del dialogo, ma c’è ancora molta strada da fare. Persino nel Parlamento europeo non ho respirato aria di unione, ma ostilità e competizione, una nazione contro l’altra, col desiderio di prevalere».

Enzo Gallori, docente di Genetica all’università di Firenze.

«Studio l’origine della vita e posso dire con certezza che il razzismo non è un sentimento innato dell’uomo. Non c’è nessun gene che lo codifichi. Tra l’altro è cambiato nel corso dei secoli: all’inizio si esercitava sul censo e colpiva i poveri. Ludovico Sforza detto il Moro aveva la pelle olivastra ma questo non ha inciso sulla sua fortuna e sulla sua fama. Le cose sono mutate con la rivoluzione francese, che ha abolito la separazione tra le classi sociali. Da allora in poi il razzismo ha privilegiato il colore della pelle».

Maurizio Pagani, vicepresidente nazionale dell’Opera nomadi.

«Il razzismo è un prodotto sociale, è l’odio, fomentato da politiche mirate, verso chi è diverso, è il rancore contro chi sottrae alla popolazione locale una fetta dell’assistenza pubblica. Come sta accadendo oggi nell’Italia attanagliata dalla crisi economica. I rom rappresentano un problema di marginalità sociale da risolvere. Il razzismo, a suo modo, è una soluzione. In Italia nessuno ha mai offerto loro una chance d’integrazione, un lavoro. Si preferisce fare tutt’altro, come dimostra la vicenda delle impronte».

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