È passato sugli schermi "La forma della Voce", poetico lungometraggio basato sull'acclamato manga

È passato sugli schermi "La forma della Voce", poetico lungometraggio basato sull'acclamato manga "A silent voice": racconta le difficoltà di Shoko Nishimiya, una ragazzina non udente, vittima del bullismo dei compagni di scuola.

Una giornata da sordo

In Italia non c'è vera inclusione: pubblichiamo la denuncia di una ragazza sorda, tra le difficoltà a scuola e nel tempo libero 

Ci raggiunge in redazione la lettera di una ragazza di 18 anni, Argentina Cirillo. È sorda e ci chiede di darle voce. Lo facciamo volentieri perché in Italia le persone con problemi dell’udito sono tantissime, circa 877mila. Tante ma poco ascoltate, come raccontiamo in questo video.

Spesso le difficoltà delle persone sorde non vengono capite e l’inclusione risulta difficile, a partire dalla scuola. Lo racconta in modo coraggioso La forma della Voce, lungometraggio basato sull’acclamato manga A silent voice, nelle sale il 24 e 25 ottobre: protagonista Shoko Nishimiya, una ragazzina non udente, vittima del bullismo. Ecco il trailer.

Da tempo in Italia il movimento dei sordi è spaccato tra l’approccio strettamente oralista e logopedista (che prevede impianti cocleari e riabilitazione per portare a parlare le persone sorde) e l’utilizzo esclusivo della Lis (Lingua italiana dei segni), che anche in Italia è stata riconosciuta ufficialmente: il 3 ottobre 2017, dopo 20 anni e sei legislature, il Senato ha concluso l’esame del disegno di legge, licenziando un provvedimento che riconosce e garantisce i diritti delle persone sorde e che ora passerà alla Camera, per l’approvazione in via definitiva.

Noi, per dovere di informazione, abbiamo ospitato anche Sara Giada Gerini, giovane donna sorda oralista che si batte per l’introduzione dei sottotitoli per tutti. Perché crediamo che una vera integrazione debba rispettare qualsiasi scelta, dalla Lis all’oralismo a entrambi e ai sottotitoli. E lo dimostra anche la storia di Argentina, che comunica in tutti i modi possibile, e qui ci racconta la sua odissea quotidiana.

«La mia è la condizione comune a molti sordi in Italia. Persone a cui sono ostacolate possibilità di accesso, inclusione e partecipazione alla vita sociale. È il nostro sistema che crea l’handicap, costruendo barriere visibili su una disabilità invisibile come la sordità. Io sono fiera della mia sordità, ma è il sistema organizzativo del mio paese che l’ha resa un problema.

Abito a Roma, ho 18 anni e sono sorda dalla nascita come tutta la mia famiglia, tranne mia sorella. Con loro comunico con la lingua dei segni, ma fuori casa riesco a leggere il labiale e a parlare, anche se non sento la mia voce. A volte però devo chiedere di ripetere e di parlare lentamente. La mia giornata quindi è faticosa. Tutto comincia dal tragitto verso la scuola. Timbro il biglietto per prendere la metropolitana, scendo le scale mobili di fretta, imitando chi è vicino a me: la metro starà certamente per arrivare, io non sento gli avvisi degli altoparlanti, ma seguo la folla. Salgo all’interno del vagone, vedo lo schermo tv che racchiude notizie di cronaca, avvisi pubblici, eventi, sketch comici. Qualcuno ride. Rido anch’io inconsapevole del motivo, curiosa di capirci qualcosa, ma non ho capito né il messaggio dello sketch, né le informazioni sui prossimi eventi che si terranno nella Capitale. Non ho capito neanche i fatti di cronaca: le immagini da sole non bastano.

La metro si è appena fermata, ma sta lasciando le porte aperte più del solito, non capisco perché. Le persone parlano vivacemente tra loro e molti iniziano a scendere. In questo periodo c’è un alto rischio di attentati terroristici, sarà un allarme bomba? I passeggeri parlano velocemente e non riesco a captare quello che dicono, inizio ad agitarmi. Molte persone scendono dalla metro e altre attendono sulla banchina. Non capisco, scendo anche se non è la mia fermata, mi guardo intorno e vedo solo confusione, provo a chiedere informazioni ma non comprendo le risposte, c’è chi risponde camminando. Provo a chiedere. Dopo alcuni tentativi, riesco a capire con fatica da una ragazza che, a causa dell’alluvione, la corsa è momentaneamente sospesa. L’altoparlante aveva dato l’avviso, ma le immagini sullo schermo non riportavano sottotitoli.

Quando un udente si rivolge a me, sorda, parlando velocemente o si muove mentre lo fa, a me non arriva niente. Mi sento lontana, lontana come quando la tv per me è inaccessibile; lontana come quando devo chiedere a qualcuno di chiamare al mio posto per ottenere un servizio; lontana perché non mi sento libera e sono costretta a dipendere da altri. Arrivo a scuola con un piccolo ritardo. C’è la lezione di matematica, materia non piacevole per me, ma ho scelto l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing perché una mia amica sorda si era iscritta: da sola avrei avuto meno ore di assistente alla comunicazione (figura specializzata che si pone come ponte comunicativo tra l’alunno sordo, la classe e i docenti) e di sostegno. Faccio molta fatica a seguire le materie scolastiche, quando nell’ora di lezione mancano queste figure chiave. Non riesco a seguire bene le lezioni, specie se il professore, mentre spiega, si muove o scrive alla lavagna. Oppure quando non capisco una domanda che mi viene rivolta e me la ripetono ad alta voce, come se questo potesse aiutarmi nella comprensione. Quando noi sordi ci troviamo in un contesto scolastico poco preparato riguardo al nostro deficit, spesso veniamo ripresi perché ci ritengono distratti, ci accusano di preferire l’isolamento alla socializzazione, di assumere atteggiamenti di aggressività o rifiuto nei confronti dell’insegnante e della classe. Ma io so che tutto questo deriva dalle difficoltà comunicative che troviamo in contesti digiuni della nostra identità, che contribuiscono a farci sentire ulteriormente diversi, non appagati e non pienamente integrati. Nella mia scuola, su 32 ore settimanali, io e la mia compagna usufruiamo di 10 ore di assistente alla comunicazione: poche, vero? Una mia amica che abita vicino a Frosinone ne ha addirittura cinque! Il supporto scolastico, con la figura dell’assistente alla comunicazione, di anno in anno peggiora.

Spesso mi sento diversa, incapace, emarginata. Mi piace apprendere, conoscere e studiare, ma spesso i concetti, anche semplici, che riesco a captare in assenza dell’assistente alla comunicazione, non sono collegati tra loro, perché tutto prende forma quando viene “tradotto” nella mia lingua. Nella scuola dell’obbligo mi ritrovo ad avere un’accessibilità parziale nelle ore di lezione, mentre all’università i pochi amici sordi romani che la frequentano mi hanno detto che l’interprete è presente in tutte le lezioni, perfino agli incontri con il docente e anche nei convegni organizzati dall’università! Paradossale: scarse ore nella scuola dell’obbligo e copertura completa nelle università. Il percorso scolastico influenza la vita di tutti noi sordi e anche la percezione che abbiamo del nostro sé. Incomprensione, percorso scolastico tumultuoso, scarsa autostima, senso di inferiorità, influenzeranno la decisione di noi sordi di continuare a studiare. Fino alle scuole medie ho avuto la fortuna di frequentare un Istituto romano che conosceva la sordità e le sue caratteristiche. Alcuni docenti conoscevano la lingua dei segni ed eravamo molti sordi in classe, ma non tutti hanno avuto il mio percorso scolastico, e ora che mi trovo alle superiori sto intrando le difficoltà che qualche sordo ha trovato durante tutto il suo percorso scolastico. La mia buona base scolastica e il mio desiderio di imparare farà sì che continuerò i miei studi all’università, ma quale sordo con un’esperienza scolastica frustrante si iscriverà? Le lacune, spesso derivanti da incomprensioni di base, si sommano e si portano avanti con un peso sempre più alto, a cui si aggiunge il senso di incapacità e inferiorità.

A volte mi capita di ripensare ai ricordi che mia madre, anche lei sorda, mi ha confidato riguardo al suo percorso scolastico in collegio. Era lontana da casa, senza i suoi familiari vicini, ma poiché si trovava in un contesto in cui si usava esclusivamente la Lingua dei segni, comunicava sia con i compagni sia con i professori in questo modo. Non ha sperimentato la frustrazione che deriva dal non comprendere le lezioni, né quella di provare un senso di inferiorità tra i compagni, diversamente da me. Attualmente, in una logica di integrazione (certamente positiva) tra disabili e non, le scuole e le classi speciali non esistono quasi più. Ma per far sì che l’integrazione si realizzi, è necessario preparare l’ambiente scolastico in ogni sua parte, per gestire i problemi legati alla sordità e realizzare una vera inclusione.

Finita la scuola, arrivo a casa e vedo mia nonna, sorda anche lei, sulla poltrona a seguire “Beautiful” solo perché sottotitolato. Mi chiedo sempre come mai la soap opera sia sottotitolata, mentre i telegiornali no. Il tg LIS dura solo tre minuti, servizio non equo confrontato con la durata di un normale telegiornale. Le persone udenti possono seguire tutte le trasmissioni senza alcun problema, noi sordi vediamo immagini mute, senza coglierne il nesso. La mia famiglia paga il canone Rai, ma senza avere canali accessibili con i sottotitoli, come invece succede in altri Paesi europei. Da piccina ricordo che di fronte ai cartoni animati mi innervosivo e non finivo di vederli, perché non riuscivo a capirli come avrei voluto. Vedevo le immagini scorrere senza nesso logico se non quello che la mia immaginazione poteva dargli. Ieri mi hanno proposto di andare al cinema, sono tutti molto entusiasti a scuola per l’uscita di un nuovo film, ma io di film muti ne vedo tutti i giorni a casa. Mia nonna è isolata dal mondo ma per sua fortuna ha una famiglia sorda, come lei, dove può usare la lingua dei segni senza difficoltà. Molti dei suoi amici sono stati mandati nelle case di riposo dove molto probabilmente non avranno nessuno con cui comunicare.

Dopo un po’ di tempo mia madre, finito il suo turno di lavoro, rientra a casa un po’ agitata. Un’amica le aveva raccontato della sua attesa al pronto soccorso per un malore improvviso e dell’ansia che aveva provato perché non riusciva a spiegare come realmente si sentiva e a capire cosa le avevano diagnosticato i medici. Noi sordi non abbiamo un servizio di interpretariato nei servizi pubblici di estrema importanza come l’ospedale e, chiamando un interprete, non sempre questo è subito disponibile. Se ci troviamo in situazioni di emergenza dobbiamo far affidamento su qualcuno per chiamare le Forze dell’ordine o un’ambulanza. Ma in caso di incidente come chiamare aiuto? Nei Paesi dove si è riconosciuta la lingua dei segni questo non accade. Io sono parte di un mondo ma ne sono fuori. Mi sentirei più vicina all’esistenza della gran parte delle persone se la LIS, la mia lingua madre, fosse riconosciuta, se insieme alle bocche parlanti ci fossero delle mani in movimento, almeno nei luoghi pubblici. Sarei più vicina al mondo se tutti i canali fossero sottotitolati. Più vicina se non fossi privata di accedere ai servizi più comuni ed essenziali.

La realtà quotidiana di una persona sorda nel nostro Paese è lontana per la maggioranza dalle persone udenti. Siamo privati di diritti che influenzano fortemente la nostra personalità. Mi sento invisibile, non ascoltata. Di noi sordi si sa troppo poco. Ma esistiamo realmente per la società? Poiché il potenziamento di servizi essenziali a misura di sordo, dovrebbe servire all’inserimento paritario nella società, se manca, qual è l’alternativa? Io, ragazza sorda di 18 anni, so certamente cosa significa subire queste privazioni e sono sicura di non essere la sola».

(a cura di Barbara Rachetti)

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