Sofia Marchetti disabile e i suoi fratelli

Vivere con un disabile: la storia di Sofia

Cosa vuol dire vivere con un figlio o un fratello disabile? Cosa si prova per questa creatura misteriosa, inaccessibile eppure parte di noi? In collaborazione con la Lega del Filo d’Oro, iniziamo a dare voce, qui e sul giornale, alle famiglie che lottano con la disabilità. Ecco la storia della piccola Sofia e della sua famiglia. E se la disabilità tocca anche voi, scriveteci qui

Avere un figlio disabile è un’esperienza emotivamente e realisticamente così complessa, che sforzarsi di darle un significato ha poco valore. Non conduce fuori dal tunnel che ti è toccato di percorrere. Non aiuta a trovare risposte alle domande più urlate, le più umane: “Perché io? Perché noi? Che colpa ne ho? Sono un cattivo genitore? Sei un bambino sbagliato?”. «Le risposte non ci sono perché le domande sono inutili. Per ogni cosa c’è il suo tempo, quello giusto per ognuno di noi: chi sa cogliere ciò che la vita ci riserva nel bene e nel male, cercando di trarne insegnamento, allora quella vita non l’ha sprecata». La vita in gioco è quella di Silvia, mamma bellissima e solare, che incontro a Pesaro, dove abita con la sua famiglia.

Silvia è la mamma di Sofia, una bella bimba di 6 anni affetta da ipovisione grave, ipoacusia bilaterale profonda e deficit psicofisico: Sofia ci vede e sente pochissimo a causa di un’infezione contratta in ospedale alla nascita, che le rende impossibile compiere anche movimenti molto semplici. «Sofia è nata normale, come il suo gemellino Andrea. Solo due mesi dopo la certezza che qualcosa non andava». Da lì, lunghe peregrinazioni per ospedali: uno sbandare continuo alla ricerca di possibili soluzioni e aiuti». L’aiuto vero, però, arriva dalla Lega del Filo d’Oro, che da 50 anni sostiene le persone con deficit visivo e uditivo e altre gravi disabilità cognitive, attraverso un percorso di riabilitazione studiato per ogni singolo caso, nel centro diagnostico di Osimo.

Un punto fermo fondamentale per tutte le famiglie che vivono situazioni simili, tanto più per Silvia perché a casa, ad aspettarla, oltre al marito ci sono sempre il piccolo Andrea e Filippo, il figlio maggiore, ora 14enne. Che con la leggerezza che ti viene solo dal vivere ogni giorno accanto a queste creature, mi racconta con uno sguardo lieve: «La mamma mi ha chiesto tante volte se volessi cambiare questa bambina, ma io la voglio così. Chi mi dice, a me, che una diversa sarebbe migliore?». Filippo ha vissuto situazioni che l’hanno fatto crescere in fretta, ma forse – mi viene da pensare – è venuto su meglio di tanti suoi coetanei. «Siamo noi genitori che spesso rendiamo i nostri figli  – tutti – più disabili di quanto non siano, per paura e limitatezza nel pensare. L’errore che cerco di non fare con Filippo è quello di togliergli la sua spensieratezza: ha diritto a essere un ragazzino e a vivere i suoi anni più belli nel modo più naturale e soave possibile».

Invece che imboccare il tunnel della disperazione, che può portare alla depressione e all’isolamento, Silvia ha scelto di affrontare tutto con il sorriso e la positività, le armi migliori da usare quando un meteorite come la disabilità cade sul tuo pianeta-famiglia. Mi racconta della loro quotidianità con la scioltezza di una mamma qualsiasi, che fa sembrare tutto più semplice, come solo le mamme sanno fare. Perché alla fine, con gli aiuti giusti, semplice può diventarlo davvero. Lei ha trovato un’organizzazione tutta sua. Per il momento ha lasciato il lavoro (è in aspettativa) e la sua giornata si sgrana tra il seguire i figli maschi e le cure minuziose alla bambina: visite quando occorre, soggiorni riabilitativi anche di tre settimane al Centro della Lega del Filo d’Oro di Osimo, oppure terapie in giornata per fisioterapia e stimoli di ogni tipo (musicoterapia, ippoterapia, piscina). Che stanno funzionando: «Sofia, da quando viene seguita così intensamente, ha fatto molti piccoli progressi, che sono importanti e vanno valorizzati. Sono quelli che ci fanno guardare al futuro con ottimismo e fiducia. Con un bambino disabile, i tempi sono dilatati e i traguardi diversi, ma insieme si arriva a tutto». 

Settimio Benedusi
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Sofia sul lettone dove dorme con il gemello Andrea.

Settimio Benedusi
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Sofia sente e vede pochissimo, ma il fratellino le parla e gioca con lei come a una sorella qualsiasi. 

Settimio Benedusi
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Sofia sta spesso in braccio alla mamma ed è una presenza fissa anche nella stanza in cui il fratello grande, Filippo, studia. 

Settimio Benedusi
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La gioia e le risate non sono estranee a Sofia, che nel suo modo tutto speciale partecipa all’allegria della famiglia.

Settimio Benedusi
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Sofia lavora con tante palline di vetro che si esercita ad afferrare, stringere e.. ogni tanto getta sul pavimento, per allenare i muscoli delle mani.

Settimio Benedusi
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La mamma è capace di capirsi con Sofia in un modo tutto suo, un’alchimia che solo loro due conoscono.

Tutti i genitori vivono evoluzioni continue, ma la storia di chi ha figli disabili dev’essere ancora più tortuosa, con il passaggio necessario per la sofferenza più nera. A un certo punto, però, la disperazione si può trasformare, come mi racconta Silvia. Questa mamma ha una sua serenità perché, rispetto ad altri genitori di bimbi disabili, è convinta che dentro a sua figlia non sia imprigionata nessun’altra bambina, nessuna creatura in attesa di essere liberata. Dentro al corpo di Sofia, ai suoi occhi neri che non vedono e alle corse che non può fare, c’è un essere speciale, misterioso. Aver accettato questo le permette di guardare sua figlia con amore e felicità, piuttosto che con amore e dispiacere, di osservare i suoi piccoli movimenti con una gioia vincente, di accontentarsi del poco (che diventa tanto) in un mondo che non si accontenta più.

Stando vicino a lei, con tutti i suoi figli intorno, non posso non pormi una serie di domande che sono valide per tutti noi: “Fino a che punto siamo veramente preparati ad accogliere i nostri bambini? Siamo in grado di amarli così come sono? Se la nostra vita non è come ce l’aspettavamo, qual è il modo migliore di viverla?”. Per Silvia e la sua famiglia, l’unico modo è quello di stare insieme, accompagnando Sofia, ognuno con le proprie risorse, in un quotidiano che è fatto anche di stanchezza, come in tutte le famiglie, e incastri frettolosi tra i ritmi di persone qualsiasi e quelli di una creatura che ha bisogno di tutto. E come tutte le famiglie, anche la loro però si concede evasione e leggerezza: guardo le foto appese nel soggiorno pieno di giochi e vedo Sofia con la tuta da sci. «Questo è solo uno dei tanti ostacoili apparentemente insormontabili che invece noi abbiamo affrontato e superato: la nostra bambina (e tutti i bambini come lei), con i supporti e le persone giuste, può fare qualsiasi cosa e vivere con gioia. Quella che le trasmettiamo con le coccole, le carezze, tenendola in braccio, stimolandola» spiega Silvia.

Troppe madri, troppi padri soffrono in silenzio. Le loro storie devono essere raccontate, perché le famiglie con una persona disabile non si chiudano in un ghetto, ma abbiano il coraggio di vivere in mezzo agli altri la propria condizione, con l’immensità dei valori che si portano dentro. Una sofferenza quotidiana, che non ti abbandona e non ti abbandonerà mai, ma che nel tempo può illuminarsi. Può diventare gioia e consapevolezza, com’è successo a Silvia. Che di fronte a tutto quel dolore ha reagito col fare. Le sue antenne, proiettate sui bisogni di Sofia, si sono moltiplicate su quelli degli altri bambini: è riuscita a far costruire a Pesaro un parco giochi con alcuni attrezzi anche per disabili, e ha ottenuto di realizzare un’aula nella scuola materna adatta anche ai bimbi come la sua. Sofia infatti frequenta l’asilo e mangia a scuola, nonostante abbia problemi di disfagia, e va in gita e alle feste dei suoi compagni di classe. «Sofia mi insegna che non tutto è come appare e che l’essenziale è invisibile agli occhi. Mi ha insegnato ad ascoltare la musica con le mani, a comunicare a gesti, ad apprezzare la quotidianità con le sue semplici cose che spesso non possiamo avere: un bacio della buonanotte, una carezza alla mamma».

La lascio con la sua bimba addormentata tra le braccia. E il suo ricordo dolce rinforza la mia certezza: la cosa migliore che noi genitori possiamo augurarci è che le nostre speranze siano più forti delle nostre paure.

Avete anche voi storie di disabilità da raccontarci?

Se anche voi vivete una situazione di disabilità in famiglia, scriveteci qui. Stiamo raccogliendo commenti e storie, da pubblicare qui e sul giornale. Potete scrivere anche alla mail: [email protected].

Per saperne di più sulla Lega del Filo d’Oro

La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, da più di 50 anni assiste, educa e riabilita le persone sordocieche e con deficit psicosensoriali, cercando di portarle all’autonomia per inserirle nella società. In Italia sono 189mila le persone sordocieche, di cui oltre la metà confinate in casa, non essendo autosufficienti. Quasi il 50% di queste persone ha anche una disabilità motoria e 4 su 10 hanno anche danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza.

Per informazioni: legadelfilodoro.itnumero verde 800904450

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(in collaborazione con Lega del Filo d’Oro)

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