Aborto anniversario referendum

Aborto, 40 anni della legge 194: cos’è cambiato

Dopo il boom degli anni '80, cala sensibilmente il numero di donne che ricorre all'interruzione volontaria di gravidanza. Ecco com'è la situazione oggi


Compie 40 anni la legge sull’aborto, frutto di un’aspra battaglia sociale, politica ed etica. A volere una norma che riconoscesse il diritto per le donne all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) furono soprattutto i radicali, appoggiati da altre forze politiche laiche e da realtà sociali. Nacque così la legge 22 maggio 1978, nota come 194, poi confermata da un referendum nel 1981. Quattro decadi dopo, però, i dati indicano un drastico e costante calo di aborti chirurgici. Perché sempre meno donne vi ricorrono? Chi chiede l’IVG? Cosa è cambiato nella società?

L’aborto oggi: dati in forte diminuzione

Sono 84.874 le donne che fanno ricorso alla legge 194/78: i dati Istat (2016, ultima rilevazione disponibile) indicano che ciò avviene soprattutto nella fascia di età tra i 30 e i 34 anni (18.188), seguita da quella tra i 35 e i 39 anni (17.724) e, solo successivamente, interessa ragazze più giovani tra i 25 e i 29 anni (17.314).
Nel 54% casi si tratta di persone nubili, mentre le donne sposate rappresentano il 38% e solo il 6,2% è costituito da separate o vedove. Le interruzioni di gravidanza nel complesso, però, sono fortemente diminuite negli anni: nel 1983 erano pari a 233.976, mentre già 20 anni dopo, nel 2013, si erano più che dimezzate (102.760) e ora sono di poco inferiori agli 85 mila casi all’anno. A influire su questo cambiamento sono diversi fattori: l’introduzione della pillola RU 486 e soprattutto delle cosiddette pillole dei 3 o 5 giorni dopo, oltre alla presunta difficoltà nel trovare medici non obiettori di coscienza, disposti a praticare l’aborto chirurgico, lamentata da associazioni come la Laiga, la Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione dell’Aborto.  

L’obiezione di coscienza

Secondo la Relazione annuale al Parlamento sulla legge 194/78, trasmessa lo scorso autunno dal ministro della Salute, Lorenzin, oltre 7 medici ginecologi su 10 sono obiettori (71%), confermando un trend in atto da diversi anni. Se nel 2005 gli obiettori erano il 58,7%, già due anni dopo il loro numero aveva raggiunto il 70%. Esistono, tuttavia, notevoli differenze a livello regionale, anche perché la legge 194 ”non prevede interventi di IVG in tutte le strutture ospedaliere e ogni regione ha autonomia organizzativa” come spiegato dal Ministro Lorenzin.

Italia “indietro” rispetto all’Europa

In 8 regioni su 20 la percentuale di medici obiettori oscilla tra l’80% e il 90%, come nel Lazio, in Basilicata, Campania, Sicilia e Molise, con punte superiori al 92% in Trentino Alto Adige. Si tratta di numeri molto lontani da quelli del Regno Unito (10%), della Francia (7%), dei paesi scandinavi e della Svizzera, dove è pari a zero. “La situazione non è così drammatica: in Trentino la popolazione è piuttosto esigua, dunque anche il numero di medici non obiettori è proporzionato. Nella mia esperienza in Veneto, che pure è vicino, non ho mai sentito di fenomeni di “migrazione” per poter effettuare una IVG. Ci sono eccezioni, come in Calabria e in Campania, ma anche lì la situazione sta migliorando” spiega a Donna Moderna il Dottor Massimo Segato, vice primario di Ginecologia all’ospedale di Valdagno (VI), per quarant’anni in prima linea nell’applicazione della legge 194, autore del libro L’ho fatto per le donne. Confessioni di un ginecologo non obiettore (Mondadori) e poi “convertito”. “Abortire in Italia è possibile: ove necessario ci sono molti colleghi, soprattutto in pensione, che operano su chiamata degli ospedali dove ne mancano. Io credo piuttosto che le condizioni siano cambiate, a livello sociale e medico”.

Le pillole: dalla RU 486 a quelle del giorno dopo

A contribuire al calo delle interruzioni di gravidanza ha concorso l’introduzione di interventi alternativi, meno invasivi, come la pillola del giorno dopo. “Va subito detto che non si tratta di pillole abortive, come la RU 486, introdotta nel 2009″ spiega l’esperto. Quest’ultima, a base di mifepristone, è un farmaco che blocca lo sviluppo embrionale e induce il distacco del feto dall’utero. È possibile ricorrervi entro i primi 49 giorni dal concepimento. Dopo una prima somministrazione si procede con una seconda, a base di prostaglandine, che causano contrazioni dell’utero e dunque permettono lo svuotamento senza bisogno di ricorrere all’intervento chirurgico. “Si tratta, però, di un metodo alquanto traumatico per una donna, a mio avviso anche più dell’IVG: se interrompere una gravidanza è già molto doloroso, farlo in casa (cosa prevista con la RU 486, NdR) può esserlo ancora di più, mentre in ospedale si è assistite e in anestesia. Va anche tenuto presente che nel 30% dei casi con la RU 486 occorre procedere ugualmente al raschiamento” spiega il Dottor Segato.
Diverso è il caso delle pillole dei 3 o 5 giorni dopo: “Intanto va detto che non sono abortive e questo è un dato dimostrato scientificamente: sono farmaci che agiscono bloccando o ritardando l’ovulazione. Se questa è già avvenuta, però, non sono efficaci. Sono invece utilissime in caso di “incidenti” (se si rompe il profilattico, ad esempio, o si è dimenticato di prendere l’anticoncezionale). C’è poi il vantaggio che costano poco e da circa un anno sono disponibili in farmacia senza ricetta medica, purché si sia maggiorenni, come accade nella maggior parte d’Europa”.

Il boom delle pillole dei 3 e dei 5 giorni dopo

Da febbraio dello scorso anno, quando sono state rese acquistabili in farmacia senza ricetta, si è assistito a una sempre maggiore richieste di queste pillole. Alle minorenni, per le quali è invece richiesta la ricetta medica, la prescrizione può essere effettata al Pronto Soccorso, in un consultorio pubblico, dal medico di base o dalla Guardia medica. L’obiezione di coscienza è consentita, ma il sanitario ha l’obbligo di fornire tutte le informazioni affinché la donna possa ricevere la prescrizione e il farmaco nei tempi utili.

Come sono cambiate le donne e la società

Se, dunque, l’aborto alla fine degli Anni ’70 era considerato una conquista sociale per le donne, che sancivano così il diritto di poter disporre della propria vita e del proprio corpo, oggi la situazione sembra molto differente. “Ritengo che ci siano una prevenzione maggiore e cultura della contraccezione, nonostante alcuni limiti ancora esistenti. Certamente esiste la pillola del giorno dopo, ma io vedo anche una maturità diversa da parte delle donne stesse. Una volta l’aborto era vissuto come un dramma, oggi non più. Certo è pur sempre una sconfitta: non credo che l’aborto sarà mai eliminato, ma sicuramente sarà sempre più contenuto – spiega Segato – Personalmente odio il termine abortista: in cuor nostro lo siamo tutti, solo che qualcuno è disposto a soprassedere rispetto alle proprie convinzioni, a superare i dubbi e ad accettare una giusta legge per eliminare le morti per le donne che si trovavano in particolari situazioni” aggiunge il medico.

La legge 194/78

“A 40 anni di distanza io ritengo che si tratti ancora di una buona norma, che ha funzionato e funziona tuttora, perché ha diminuito la clandestinità e ha quasi eliminato la mortalità: sono anni che non vedo rischiare la vita per interrompere una gravidanza. Inoltre pone in primo piano la salute della donna e la difesa della gravidanza e della vita, con l’obbligo di informare da parte dei medici prima di intervenire” commenta l’esperto.
Con la legge 194 del 1978, l’interruzione di gravidanza è stata riconosciuta come una pratica legale, consentita entro 90 giorni dall’ultima mestruazione, in caso di “serio pericolo per a salute fisica o psichica (della donna, NdR), in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” (art.4). La scelta, come previsto nell’art. 5, spetta esclusivamente alla donne e in alcun modo al padre. Entro il quarto e quinto mese, invece, è permesso ricorrere all’IVG solo in caso di gravi malformazioni del feto o di pericolo di vita per la donna. La legge prevede anche l’anonimato per chi vi ricorre e la possibilità di lasciare il bambino in affido all’ospedale, perché una successiva adozione. Il medico che pratica l’aborto è tenuto a fornirle “le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite” (art.14). E’ prevista l’obiezione di coscienza per i ginecologi, salvo i casi nei quali l’intervento sia indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo di vita” (art.9).

Serve ancora?

“In realtà a nessun medico piace praticare IVG. Io l’ho fatto per molti anni, ma è come essere un soldato: a nessun piace andare in guerra o dover uccidere, ma a volte è necessario. Poi ho avuto una sorta di crisi di coscienza, ero stanco. Credo comunque che questa legge tuteli in qualche modo anche la vita, perché contiene l’impronta del mondo cattolico progressista, non è solo frutto della spinta radicale” spiega il Dottor Segato.
Nel prologo del testo, infatti, si legge: Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza (…) non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.
“Il vero dramma, secondo me, non riguarda solo o soltanto l’aborto, quanto il drastico calo di natalità: non c’è più la cultura, la possibilità sociale ed economica di fare figli, ma le conseguenze saranno tragiche. La nostra società diventerà una grande geriatria e non siamo preparati a questo né in grado di sostenerlo”.

Il contesto storico: dal divorzio all’aborto

La legge 194/78 venne confermata con un referendum del 1981, che vide la vittoria dei “sì”. Si trattava del secondo esito affermativo, dopo quello sul divorzio, che segnò un cambiamento sociale altrettanto significativo. La legge che introduceva la possibilità di porre fine ai matrimoni in ambito civile era stata approvata il 1° dicembre del 1970 (n. 898), con la forte opposizione degli antidivorzisti cattolici, che organizzarono una raccolta firme per un referendum abrogativo, sostenuti da Azione Cattolica, la Conferenza Episcopale Italia, la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano. Anche in questo caso vinse il “sì”, il 12 maggio del 1974, col 40,7% e un’affluenza alle urne del 87,7%.

La situazione oggi in Italia

Pur trovando diverse conferme sulla validità della legge 194/78, esistono anche denunce di limiti sulla sua applicazione pratica. Nel 2014 e nel 2016 il Tribunale europeo per i diritti civili aveva invitato il nostro Paese a eliminare le difficoltà dovute all’obiezione di coscienza, mentre la Laiga ha sottolineato come il ministro della Salute, Lorenzin, in passato ha appoggiato la campagna One of Us, a sostegno dei diritti degli embrioni e dei feti.

Cosa succede nel mondo?

Oggi l’autodeterminazione femminile viene considerata un diritto acquisito, mentre l’attenzione si sposta su altre problematiche ancora aperte: dalla violenza sulle donne, alle molestie fisiche e psicologiche, come dimostrano le recenti campagne #MeToo e #Timesup, che sottolineano l’esistenza di forme di ricatto meno evidenti con le quali il mondo femminile spesso di confronta. Esistono, però, paesi nei quali anche l’aborto non è ancora garantito: in Europa è ancora la Laiga a sottolineare come in Irlanda e Polonia la legislazione di fatto rende impossibile ricorrere all’IVG.
Per questo e per non dimenticare le battaglie che hanno portato a riconoscere come legittimo il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, il 28 settembre si celebra la Giornata Mondiale per l’Aborto libero e sicuro: nata nel 1990 a Buenos Aires, in Argentina, grazie a un gruppo femminista locale, negli anni la mobilitazione è arrivata a interessare 1.800 tra associazioni e movimenti in 115 Paesi nel mondo.

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