Noi disabili e il desiderio di diventare autonomi

Farsi degli amici, trovare un lavoro, incontrare l'amore. Entrare nell'età adulta, per le persone con deficit visivi, uditivi, motori, significa affermare la propria indipendenza al di fuori del nido della famiglia. Un percorso difficile ma fondamentale, in cui la Lega del Filo d'Oro gioca un ruolo di primo piano. Come raccontano Paola, Stefania e Francesco 

Cosa vuol dire per le persone disabili diventare adulti? Dove possono trovare dignità e autonomia? Esplorare la disabilità nel nostro itinerario per l’Italia insieme alla Lega del Filo d’Oro, può rappresentare un’avventura capace di farci scoprire un’inedita forza vitale e ribaltare molti luoghi comuni. Incontrando le persone adulte sordocieche della Lega del Filo d’Oro, non posso non constatare come la loro condizione si frantumi contro situazioni governate dall’orgoglio e da una dignità che sostituisce, e supera, competenze e abilità.   

Tutti possono ambire all’autodeterminazione

«Diventare adulti significa ambire all’autonomia, riuscire cioè ad affermare un proprio ruolo al di là del nido sicuro della famiglia. Altro obiettivo a cui tutti tendiamo in modo consapevole o inconsapevole è quello dell’autodeterminazione: quel diritto di scelta che appartiene a ciascuno di noi e trasforma le esistenze in progetti, strade da percorrere con obiettivi concreti e misurabili». Nicoletta Marconi da 27 anni è psicologa presso il Centro di Riabilitazione della Lega del Filo d’Oro di Osimo, sede nazionale dell’associazione. Qui un’equipe di esperti tra operatori, medici specialisti, psicologi e terapisti, lavora con al centro la persona sordocieca per cucire addosso a ogni ospite un abito su misura. «Il nostro obiettivo è quello di portare le persone con sordocecità fuori dal silenzio in cui sono rinchiuse e costruire insieme a loro un progetto di vita il più possibile autonomo, in base alle capacità residue su cui scommettiamo».

Ci vuole intuito e, spesso, forza visionaria. «Siamo noi a credere in loro, molto più di quanto loro stessi non facciano» commenta Patrizia Ceccarani, direttore tecnico scientifico dell’Associazione. «Si può imparare sempre, fino all’ultimo giorno di vita. Occorre dare fiducia, osare, perché ogni individuo è unico. E anche chi ha una disabilità grave o severa deve poter compiere delle scelte. Significa spingere la persona a un obiettivo di crescita che tenga conto delle difficoltà, ma in cui possa respirare il senso di un cammino, fatto di tanti piccoli passi ma tutti importanti: dall’imparare come si tiene un cucchiaio a scrivere al computer. Quei passi che trasformano le esistenze in un’evoluzione continua». Come testimoniano le storie che abbiamo raccolto.   

Paola: «Ora posso esprimere il mondo che ho dentro» 

Paola Rupilli da quando era ragazzina vive sulla sedia a rotelle a causa di una tetraparesi. Ora ha 49 anni e racconta la sua condizione con un’autoconsapevolezza disarmante. Qui sta la sua dignità, pesante come una pietra. «All’età di 29 anni due eventi hanno sconvolto la mia vita: la morte del mio papà, con cui avevo uno splendido rapporto e la perdita della vista per il distacco della retina. Sono diventata cieca». Prima di quel momento Paola leggeva e scriveva. Fino all’età delle scuole medie ha anche camminato, con ausili. Dopo, a poco a poco si è ritirata sempre di più in casa. E la comunicazione è diventata difficile. «Avere un mondo dentro e non poterlo raccontare a qualcuno che ti capisca è una condanna» racconta. Poi la magia del passaparola spinge la mamma di Paola al centro di Osimo della Lega del Filo d’Oro. Oggi Paola è una degli ospiti del Centro di riabilitazione di Osimo. «Mi sento un’altra persona. Non camminerò mai, muoverò le mani in modo sempre meno coordinato ma non importa. Ora posso comunicare: ho scoperto il computer e col sintetizzatore vocale posso leggere e scrivere. Ho una tastiera facilitata e compongo poesie, racconti, email». Paola è anche nella compagnia teatrale del centro, una meravigliosa occasione per fare amicizie e sperimentare un modo diverso di esprimersi. 


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Stefania: «Sono riuscita a prendere il treno» 

Stefania Rodofile mi accoglie nel centro di Lesmo. È nata ipovedente e sta perdendo l’udito, oltre ad avere problemi di mobilità. A 37 anni vive con i genitori a Lumezzane (Brescia). Per qualche anno è riuscita a lavorare, poi le sue condizioni sono peggiorate e ha dovuto lasciare quell’unica occasione di socialità. Ed ecco che la famiglia comincia a farsi stretta. «Non è stato così semplice per loro accettare la mia richiesta di imparare un nuovo metodo di comunicazione, la Lis, la Lingua italiana dei segni, che avevo conosciuto grazie a incontri organizzati qui al paese». Stefania ha una sorella poco più grande di lei, con figli. «Sono i miei nipotini a comunicare con me. Hanno imparato la dattilologia, l’alfabeto che sfrutta le mani abbinando un segno a ogni singola lettera. Ma ovviamente ci vuole pazienza e passione per comporre i pensieri, tempo e impegno». Stefania incontra i volontari della Lega grazie a una psicologa. Accompagnata dai genitori, inizia a poco a poco a partecipare agli incontri prima a Milano, poi a Lesmo. Ora è un membro attivissimo nell’organizzare le attività e si è fatta molti amici con cui resta in contatto tramite chat. «Ho accettato del tutto la mia condizione, e vedere la mia storia riflessa in quelle degli altri, mi dà sicurezza e conforto». Una specie di miracolo, che però a Stefania non basta. Il suo sogno è quello di trovare un lavoro: voglio mantenermi da sola e avere un fidanzato. Insomma avere una vita indipendente».   

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Francesco: «Lavoro come avvocato»

Una laurea in legge, 36 anni, nato cieco e diventato sordo, Francesco Mercurio gioca con autoironia la sua partita con la sorte. «Nessuno è veramente libero. La vita è cercare compromessi tra ciò che si vorrebbe e la realtà» dice con limpida lucidità. «Io a modo mio ce l’ho fatta, inseguendo il mito della “vita normale”». Francesco è originario della provincia di Caserta ma abita a Osimo. Lavora come avvocato specializzato nei diritti delle persone disabili proprio alla Lega del Filo d’Oro. «Fino alle superiori frequentavo un istituto per ciechi, ma quando sono diventato anche sordo ho avuto difficoltà a proseguire. Non tutti i miei amici avevano la pazienza di ripetere, e pochi erano disposti ad imparare il Malossi, con il quale a quel tempo, prima dell’impianto cocleare comunicavo moltissimo». La scelta dell’università ha segnato la svolta decisiva verso l’autonomia. «Vivevo a Urbino insieme ad altri ragazzi che mi aiutavano come volontari. Un’esperienza esaltante che oggi cerco di trasmettere ai giovani, perché ognuno possa intraprendere una vita autonoma e indipendente al di fuori della famiglia, che nel diventare adulti ci diventa stretta». Francesco ha conosciuto la Lega 20 anni fa a Napoli, attraverso le attività della sede territoriale ed è stato un crescendo. «Prima partecipavo alle proposte ludiche e culturali organizzate dalla sede, poi sono stato aiutato nel mio progetto di vita autonoma e ora sono io che cerco di aiutare gli altri».


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Per saperne di più sulla Lega del Filo d’Oro

La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, dal 1964 assiste e riabilita le persone sordocieche (189.000 in Italia) e con deficit psicosensoriali, cercando di accompagnarle all’autonomia. Quasi il 50 per cento di queste persone ha anche una disabilità motoria, 4 su 10 hanno danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza. Dal 2006 le risorse raccolte grazie al 5×1000 hanno permesso all’associazione di moltiplicare il suo aiuto: i centri sono diventati 5 in tutta Italia, le sedi territoriali 8, le persone assistite quasi 900.

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