Endometriosi, la mia vita al servizio delle donne

L'endometriosi colpisce oltre tre milioni di italiane. Le donne che ne soffrono spesso si isolano: le invitiamo invece a parlare, come ha fatto Sonia Manente, che ha fondato un'associazione per aiutare le pazienti e le loro famiglie

L’endometriosi colpisce in Italia tre milioni di donne, soprattutto ragazze tra i 20 e i 30 anni. È una malattia cronica e spesso invalidante che, dopo tante battaglie delle ammalate, è stata appena inserita (ma con forti limitazioni legate allo stadio della malattia e pochissime esenzioni) nei nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza. L’endometriosi invece non rientra tra le Malatte Rare perché colpisce troppe persone per far sì che vengano riconosciute loro esenzioni nelle cure. Per veder affermati i loro diritti, quindi, le donne che ne soffrono continuano a lottare. Così le iniziative per far conoscere la malattia si moltiplicano. 

Marzo è il mese in cui si accendono i riflettori sull’endometriosi

A Roma (e contemporaneamente in 50 capitali mondiali) il 25 marzo si tiene la marcia mondiale per l’endometriosi, in cui le donne si ritrovano per testimoniare la loro condizione, così spesso ignorata. Sicuramente non compresa.

Spesso le donne che ne soffrono non riescono ad avere una vita normale, in molti casi convivono con il dolore fin da bambine. E da adulte devono lasciare il lavoro, spesso anche rinunciare a un figlio oppure sottoporsi a interventi chirurgici pur di diventare madri (come raccontano le loro storie, dove il dolore apre lo spazio anche al sorriso e alla speranza). Una sofferenza del corpo e dell’anima che gli altri, la gente “normale”, non capisce, come vediamo accadere purtroppo nel caso di altre malattie, chiamate appunto “malattie invisibili” (per esempio la fibromialgia): invisibili al mondo perché divorano dentro.

Difficile trovare la forza di resistere, la fiducia in un futuro che non sia di sofferenza e cure. La tentazione dell’isolamento sembra la strada più facile. Ma non è la soluzione per stare meglio, come ci racconta qui Sonia Manente che, dopo anni di smarrimento e incomprensione, ha fondato l’Associazione Endometriosi Friuli Venezia Giulia Onlus, organizzazione di soli volontari per sostenere le donne e le famiglie colpite da questa malattia. Perché, anche in questo caso, l’endometriosi finisce per diventare una malattia sociale. Qui raccogliamo volentieri la sua testimonianza e partecipiamo all’appello alle donne ammalate di endometriosi: uscite allo scoperto, parlate della vostra patologia, soprattutto ora. 

Contattate l’associazione e scrivete la vostra storia a Donna moderna mandando una mail a: [email protected], con una vostra foto. La pubblicheremo.

Sonia Manente Ass. Endometriosi

Il mio dolore è cominciato da bambina

«Da ragazza ho iniziato con un ciclo mestruale molto, molto doloroso, dovevo stare circa sei giorni a letto. Per  avere una diagnosi ho dovuto attendere vent’anni. Nell’arco di questo periodo mi sono sentita dire che ero una falsa malata, e ora ricordo me bambina con infinita tenerezza. Quella bimba ha dovuto affrontare un cammino di dolore, di ricerca del sé, alla ricerca della comprensione degli altri. Che senso di smarrimento sentirsi sola in mezzo a tanta gente.. Non potevo fare quello che gli altri facevano: alle gare di corsa di resistenza cadevo giusto poco prima dell’arrivo o, magari debole dal dolore, ma decisa a correre lo stesso, mi sentivo svenire. Quando arrivavo a qualche interrogazione a scuola, dopo aver studiato tante ore, non riuscivo a  parlare, ma la professoressa di turno non risparmiava i commenti: “Cara signorina, so che puoi fare di più, quindi ti metto 6-“. E non riuscivo ad andare alle feste, con quel dolore, avevo sempre freddo e all’epoca si girava in Vespa o in motorino, ma io non potevo guidare o farmi portare, le vibrazioni erano deleterie. E allora ti mettevi da parte e venivi messa da parte dai  coetanei.

Da ragazza ho capito che potevo essere un’altra persona

L’età dell’adolescenza sarebbe sinonimo di spensieratezza, voglia di giocare, di divertirsi…ma non per me. Le altre ragazze si sentivano sensuali, vivevano i primi amori mentre io non mi sentivo adeguata e tendevo a stare in disparte. Questo senso di smarrimento e di sofferenza per ciò che non ho potuto vivere è rimasto dentro di me, anche dopo anni. Il dolore che m’invadeva il corpo non era collocato in un punto, ma in diverse parti e, in certi periodi, era associato a febbre molto alta o febbricola frequente e lunga svariati giorni. I miei familiari mi dicevano: “Non è possibile, stai sempre male! Quando inizierai a  produrre, quando vai a lavorare?”.  Inoltre, essendo la seconda di cinque figli, vivevo tutte le difficoltà della situazione. Per fortuna, per un periodo ho abitato con una zia che mi faceva sentire bimba e ragazza. E’ stato in quel momento che ho compreso di poter essere anche un’altra persona.

Il giorno della diagnosi

Dopo cinque interventi chirurgici e tante visite mediche, di ogni genere, molte corse al pronto soccorso nonché numerosi ricoveri a causa del mal di schiena (mi somministravano cortisone in vena e antibiotici, per non si sa quale malattia), è arrivata la notizia. Non ero in ginecologia, ero ricoverata in un reparto di chirurgia e il medico di turno, un chirurgo, mi disse: “Ha l’endometriosi, vada via di qua che non è il posto giusto”. Ed io risposi: “Endo che?”.  Invasa da un senso di abbandono, d’impotenza, mi hanno invitato ad uscire dall’ospedale, zoppicavo. Sono andata in un altro ospedale nel Nord del Friuli Venezia Giulia. Il medico di allora mi ha visto e ha detto: “Non è certo che tu abbia l’endometriosi, ma in questo stato a casa non puoi andare”. Mi ha ricoverato per dieci giorni. Lì dentro ho meditato e mi sono chiesta: “E ora che si fa?”.

Così ho cominciato a informarmi per aiutare le donne come me

Sono tornata al lavoro e la direttrice dell’azienda mi ha portato un articolo dove la signora Agnelli parlava di questa malattia e indicava la costituzione di un’associazione in ambito nazionale. Ho chiamato subito ed è così che è iniziata l’avventura dell’associazionismo. Il motivo? Non sopportavo che in questo mondo un essere umano dovesse ancora soccombere per ignoranza. Allora funzionava solo il telefono e quelle chat che, per far arrivare una stringa di parole, dovevi aspettare chissà quanto. Le informazioni non circolavano come ora. Mi sono organizzata sul territorio, tante e lunghe telefonate, ma per conoscere la malattia mi recavo anche ai pochi corsi d’aggiornamento realizzati a livello nazionale oppure in Austria. Mi sono convinta che la formazione, in primo luogo dei singoli individui, sia necessaria. Per conoscere altre persone nelle mie condizioni, ho seguito e organizzato dei gruppi di  auto – aiuto nel Triveneto; abbiamo iniziato a Conegliano, con la mitica Elena. Mi sono accorta, però, che le donne a livello nazionale si accontentavano, invece io volevo che  venissero considerate anche dalle istituzioni.

Nel frattempo la mia vita è proseguita: ho provato tante pillole ma senza grossi risultati, anzi con molte ho avuto problemi. Sono stata curata con il “GnRH” (ormone di rilascio delle gonadotropine), con il quale il corpo va in menopausa pilotata. Non vi dico quanti effetti collaterali e quante problematiche, tra cui la scoperta di malattie autoimmuni, come la tiroidite  di Hashimoto e malattie articolari. Con il tempo sono venuta a conoscenza di tante ragazze che soffrivano di altre malattie autoimmuni come fibromialgia, tiroiditi, lupus, artrite reumatoide, malattie dell’intestino, la cistite interstiziale, la vulvodinia. Donne a cui l’endometriosi ha intaccato altri organi danneggiandoli per sempre, per tutta la  vita, come la vescica, l’intestino (sono costrette a usare ausili obbligatori), i reni (spesso ne viene asporatato uno), i polmoni, il diaframma, i nervi, la colonna vertebrale. Donne a cui è stata tolta la dignità dello stare bene, della vita sociale e donne che sono disoccupate perché non riescono a stare più di 4/5 ore in piedi o sedute. E quei pochi soldini che prendono li utilizzano per curarsi, per fare tanti chilometri, per sottoporsi a visite da esperti super pagati. 

Come nasce l’Associazione Endometriosi Friuli Venezia Giulia Onlus

Dopo un po’ di anni ho deciso di fare altro, sebbene fossimo da tempo sul territorio non avevamo  voce in capitolo. Ci trattavano da pazienti che dovevano sensibilizzarsi tra di loro. Non sopportavo allora e ancora oggi non tollero che qualcuno tocchi la mia passione e le idee messe in atto, i progetti, soprattutto se risultano a favore delle persone sofferenti. In quei momenti è come se non ascoltassi, mi sembra di tornare agli anni della scuola, in cui mi sentivo impotente e secondo gli altri non avevo le capacità. In quei momenti qualcosa ti scoppia  dentro e capisci che vuoi riscattarti, allontanare il senso di nullità da te e inizi a progettare per fare stare meglio le persone e riscattare te stessa.

A quel punto ho pensato di coinvolgere altre donne e creare l’Associazione Endometriosi Friuli Venezia Giulia Onlus. Siamo partite con delle attività in regione e, a seguire, a livello nazionale. Infatti siamo stati la prima Regione a far indire la Legge n°18 del 2012 che introduce anche la Giornata regionale dell’endometriosi (9 marzo). Con questa Legge, in Friuli Venezia Giulia abbiamo istituito un Osservatorio e fatto partire l’attività per il Registro regionale. Ho seguito altre tre Regioni, per la redazione del testo e all’atto legislativo: la Puglia, il Molise e la Sardegna. Purtroppo, dopo quattro anni, nonostante la collaborazione con medici esperti sull’endometriosi, la Regione e i medici del tavolo dell’Osservatorio non hanno sostenuto le nostre proposte. Vuol dire che oggi il 70% delle donne, per visite specialistiche e cure, esce dalla regione, anche solo per avere una diagnosi.

Cosa fa l’Associazione: convegni, corsi, incontri nelle scuole

Altra iniziativa che l’Associazione ha a cuore è la formazione di medici in équipe multidisciplinari. Ogni anno realizziamo un convegno. L’11 marzo 2017 terremo un Corso di medici specialisti (ginecologi, urologi, neurologi, radiologi, medici di base e altre figure professionali, la nostra “équipe per un giorno”) per lanciare il messaggio che solo collaborando si raggiungono gli obiettivi più velocemente. Oltre ai convegni, ogni anno organizziamo nelle scuole della regione incontri per ragazze e ragazzi con lo scopo di creare una cultura sul dolore mestruale, ancora tabù per loro. Sì, perché il ciclo mestruale viene percepito ancora come qualcosa di molto intimo. Esco da questi incontri molto carica, i ragazzi rispondono sempre molto bene e si lasciano coinvolgere. Il muro, a volte, è creato dai dirigenti scolastici, ma negli ultimi due anni siamo riusciti ad entrare in almeno 25 Istituti. Siamo convinti che più le persone sono informate e formate e più potranno essere coscienti e consapevoli.

Oltre a  questo, coinvolgiamo il territorio: Comuni, Associazioni al fine di creare delle serate informative, semplici ma importanti per far conoscere la malattia. Un sostegno continuativo, via mail, telefono e di persona o con degli incontri individuali, di coppia o di famiglia o di gruppo, importante per fare in modo che tutti sappiano che ci sono persone consapevoli del loro momento, della malattia e dell’importanza di condividere il problema. Esistono anche cose belle: in tanti anni sono diventata “zia” numerose volte, di bimbi arrivati dopo molti sacrifici; ho visto persone crescere come individui, ma anche altre che si sentono sconfitte dalla malattia, dalle delusioni e non riescono a venire fuori dal tunnel. Io ne sono uscita da parecchio tempo, sostenendo gli altri, creando progetti concreti per prevenire, per stare meglio, per informare e formare. La mia missione, è che le donne vengano considerate e non messe da parte dicendo: “E’ una cosa da  donne..”».

di Sonia Manente, presidente dell’Associazione Endometriosi Friuli Venezia Giulia Onlus

(a cura di Barbara Rachetti)

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