Disabilità alla ribalta: sul palco, sul web, nei libri

Le persone con disabilità animano il palco del Disabili Abili Festival con le loro storie, ma non solo: scrivono libri, sono seguiti su Instagram e Youtube e fondano radio. Ecco chi sono

La disabilità non è un altro mondo, è parte di questo mondo. Il nostro. Solo che spesso facciamo finta di non vederla. Ci giriamo dall’altra parte. Eppure, sono quasi 4 milioni le persone disabili che vivono accanto a noi. Per noi sono “i disabili”. Ma non esiste “il disabile”, esiste “la disabilità”, all’interno della quale ogni persona vive la sua esistenza e il suo personale percorso.

Il primo festival dedicato alla disabilità

I tempi, però, forse stanno cambiando. Ora la disabilità sale sul palco e si mette in mostra, senza paura. Anzi, con l’orgoglio di farsi conoscere in tutta la sua naturalezza. Dal 18 al 21 aprile alla Fiera di Bologna all’interno di Exposanità si tiene la terza edizione di Disabili Abili Festival, manifestazione dedicata alla disabilità: 4 giorni di talk show, presentati dalla cantautrice Lulù Rimmel. Tra gli ospiti Max Ulivieri, firma del Fatto quotidiano ed esperto di turismo accessibile, impegnato nelle tematiche legate all’affettività e la sessualità nella disabilità; Valentina Acciardi, ex concorrente del Grande Fratello che presenterà in fiera il libro “Mi riprendo la vita con una mano sola”, il nuotatore Salvatore Cimmino, colpito da un osteosarcoma che l’ha costretto all’amputazione di una gamba, ma autore di imprese incredibili come traversate in mare aperto, senza l’ausilio di protesi (per informazioni: Disabili Abili, Exposanità).

La disabilità su Instagram e Youtube

Ma forse la vera sorpresa del momento sono i giovani con disabilità diventati celebri in Rete, come il rapper Cris Brave e Stortomanontroppo: ragazzi che hanno scelto di essere ciò che sono, e non ciò che li definisce. Persone che, rovesciando la prospettiva abituale, lanciano messaggi sul web, affidando a Youtube e Instagram slogan come “La disabilità è quella degli altri”, “Non siamo angeli, anche a noi piace il sesso”, “Sono io che ho problemi o tu che ti stai omologando?”.

Cris Brave, 21 anni, ha quasi 19mila followers su Instagram: posta foto e video in cui attraverso il rap comunica al mondo una condizione che va cambiata. Cris canta: “Non mi sento migliore perché diverso, non mi sento un campione, voglio solo cambiare la situazione. Scendo in campo e mi dicono: riprova! senza che ci sia stato un fischio d’inizio. E io mi sento sull’orlo del precipizio”. Un precipizio su cui stanno in bilico tante persone come lui, schiacciate tra la vita a casa, con i genitori, e la voglia, che è un bisogno umano – di tutti – di indipendenza. «Io non volevo fare una cosa per distinguermi» racconta Cris. «Il mio personaggio nasce dall’esigenza di crearmi una vita mia, fuori da casa. Voglio andare a vivere da solo, e ci riuscirò solo guadagnando perché ora, con quello che mi riconosce lo Stato, non mi posso permettere l’assistenza di una persona. Dopo i 18 anni, per esempio, il Servizio Sanitario Nazionale non passa più le terapie». Cris, finita la scuola di informatica, lavora in un centro anziani della sua cittadina, Curno (Bergamo). Ma grazie alla tecnologia e ai social, si sta facendo conoscere: ha prodotto un disco, ha in cantiere un piccolo progetto con Fedez e partecipa a concerti, eventi e manifestazioni. «Ognuno ha le sue disabilità. Tutti ci vestiamo uguali e pensiamo di essere uguali, invece siamo tutti diversi, con caratteristiche uniche. Se uno si veste diversamente, viene additato. Ecco, io all’inizio mi sentivo così, ero in imbarazzo. Poi ho capito che c’è un forte bisogno di parlare della disabilità e anch’io quindi, con la mia musica, cerco di fare la mia parte».

Se Cris sceglie la musica per parlare al mondo, c’è chi si affida all’ironia, spesso dissacrante, a volte con tratti violenti. «L’ironia nell’esistenza, anche verso di sé, è fondamentale. Un narcisista non può essere ironico in questo senso. Politicamente è la capacità di staccarsi dal mondo, di prendere le distanze dalla realtà così com’è, denunciando ciò che non funziona. Può essere uno strumento molto forte per abbattere le barriere mentali e l’indifferenza, restituendo visibilità a chi non ce l’ha» spiega Alessio Musio, docente di Filosofia Morale all’Università Cattolica di Milano. «L’importante è che poi alla denuncia contenuta nell’ironia segua un’azione concreta. Il rischio di comunicare la disabilità ridendoci su è che la persona finisca in secondo piano perché l’attenzione viene posta su ciò che fa, e non su chi è. Si rischia insomma di rientrare nell’equivoco ipocrita del “diversamente abile”, colui che “fa le stesse cose di tutti ma in modo diverso, cioè buffo”. Tutto sta a far seguire alle emozioni, che oltretutto non durano, le ragioni, proposte concrete per cambiare in modo giusto la situazione».

L’importante però, per svoltare, è cominciare, anche in modo provocatorio. Come fa Michele Spanò, lo youtuber Stortomanontroppo, che sfrutta l’ironia e la leggerezza per elevarsi sopra agli altri, lui che è piccolissimo di statura e ha difficoltà a camminare e coordinare i movimenti. Su Youtube ha 40 mila iscritti che lo seguono con costanza: Michele, 25anni, racconta con disarmante autoironia le difficoltà di una vita da disabile nei piccoli gesti di ogni giorno, in casa e fuori. Pubblica ricette, scherzi, sketch dalla sua Como. «Sono felice di mettermi in mostra, mi è sempre piaciuto. E la mia famiglia è orgogliosa di me» mi racconta. «C’è chi mi insulta, e io rispondo che, finché su 99 che mi insultano, anche uno solo non lo fa, io vado avanti. Per quella persona io continuo a vivere la mia vita col sorriso e a non prendermi troppo sul serio. Tanti mi chiedono come faccio a ridere nonostante le evidenti difficoltà. E io rispondo che bisogna sempre continuare, mai mollare».



La disabilità in tv e nei libri

Forse non è così lontano il giorno in cui le persone disabili potranno diventare dei modelli di riferimento. Basti pensare, per esempio, che in poche settimane Stortomanontroppo ha raddoppiato i suoi fan. E poi c’è una giovane donna come Valentina Acciardi: faceva la modella finché a 23 anni un incidente d’auto le ha fatto perdere un braccio. Ora si racconta nel libro “Mi riprendo la vita con una mano sola, dopo aver partecipato a un’edizione del Grande Fratello proprio con lo spirito di raccontare la disabilità in modo naturale, senza esibirla. «Noi disabili abbiamo una grande responsabilità. Siamo noi a dover mettere a loro agio gli altri» mi dice. «Io non credo che ci siano persone “cattive”: dobbiamo pensare che se noi per primi smettiamo di vederci come problema, neanche gli altri ci percepiranno più così. Non dobbiamo usare la nostra disabilità come un ricatto. Al Grande Fratello, per esempio, mi ero rifiutata di farmi riprendere mentre mi sfilavo il braccio. Se vogliamo avvicinare le persone, dobbiamo essere noi stessi a spiegare loro come muoversi intorno a noi. Se ci chiudiamo nella nostra solitudine perché non ci sentiamo capiti, se ci arrabbiamo perché dobbiamo fare le cose in modo diverso, gli altri ci allontaneranno».

Viene da pensare, però, che lei, bella e giovane, abbia avuto un percorso forse più semplice di chi, invece, con la disabilità ci nasce. «È una domanda che attraversa la mia vita fin dall’incidente: è vero che, forse, per chi nasce disabile, si tratta di una condizione naturale, su cui si innesta poi il ruolo fondamentale delle famiglie. Ho incontrato tanti bambini nati senza un arto, e per loro è normale essere così. D’altra parte, è “diventato normale” perché i loro genitori e fratelli li hanno aiutati e sostenuti. Se non fosse così, se le persone con disabilità non avessero a casa un ambiente che li accoglie e li stimola, la loro vita non sarebbe la stessa. L’accettazione della disabilità non è mai lineare e non è un processo uguale per tutti. Nessuno può capire davvero, tantomeno giudicare. Io ho faticato a convivere con la mia nuova condizione ma ora è diventato il mio punto di forza».

Paolo Ranzani
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La disabilità alla radio

Viversi in modo naturale potrebbe essere l’arma più forte per comunicare con gli altri. Stefano Pietta, 34enne della provincia di Brescia, ha fondato una web radio e nel tempo lasciato libero dal lavoro (si occupa di inserimento dati in telelavoro) trasmette notizie e musica leggera. «Io non mi sono mai vissuto come diverso e non sono mai stato nell’ombra. Ho seguito anche le scuole superiori senza problemi, ho un diploma come gli altri e lavoro. Il mio desiderio era di far sentire la voce della disabilità a tutti e crearmi nuovi contatti, di cui sono sempre alla ricerca. Ci sto riuscendo, anche grazie al canale youtube e alla mia pagina Facebook, dove rispondo sempre alle persone che mi cercano. È proprio quello che amo di più. Non mi sento più disabile di tanti altri e non mi pesa la mia condizione». Ciò che gli pesava in assoluto era vivere senza l’amore di una compagna. «La radio mi ha aiutato perché mi ha fatto conoscere Ilaria: ha la stessa disabilità mia e ci vediamo una volta al mese perché lei abita a Torino. Mi aiuta anche lei nel mio progetto, quando può. Ma il vero aiuto per me è sapere che lei c’è, che ho una persona in cui rispecchiarmi e con cui condividere la mia visione della vita». Il pomeriggio e la sera, Ilaria e Stefano si collegano via Skype e si fanno compagnia così: potenza della tecnologia, che può davvero aiutare tutti a vivere una vita migliore e abbattere ogni tipo di distanza.

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