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Ho un sintomo strano

Ci sono disturbi che a volte è difficile spiegare al medico: una fitta al fianco, un tremore della palpebra, la lingua che pizzica. Compaiono  all’improvviso e poi spariscono. Ma c’è da preoccuparsi? I nostri esperti spiegano come interpretare questi piccoli malesseri

Può succedere mentre si dorme: un dolore improvviso e acuto al piede e al polpaccio. Grazie allo stretching scompare e si tira un sospiro di sollievo. Ma che male!  

Perché succede
Le cause possono essere diverse. «A volte si pratica sport in modo intenso e poi si conclude la seduta senza fare l’allungamento» spiega Marco Zucconi, neurologo del Centro di medicina del sonno dell’Ospedale San Raffaele Turro di Milano. «Ma i crampi possono essere scatenati anche da una carenza di sali minerali, perlopiù potassio, magnesio e ferro, che impedisce alla muscolatura di rilassarsi. Attenzione, però. Se il disturbo si presenta tutte le notti, potrebbe anche trattarsi di una sindrome, la sleep related cramps, in cui la soglia di eccitabilità delle fibre va fuori controllo».  

Che cosa fare
Quando si avverte il crampo, bisogna distendere il muscolo, magari con l’aiuto del partner. Se si sospetta una carenza di minerali, serve l’aiuto degli integratori sportivi. «Se i crampi colpiscono più volte alla settimana o sono così intensi da impedire di dormire, è bene fare un esame neurologico» suggerisce Marco Zucconi. «Nel caso di “sleep related cramps”, infine, esistono dei farmaci capaci di attenuare le contrazioni».

La sensazione è quella di un fuoco che parte dal torace e sale fino al viso, lasciando in un bagno di sudore. Tutto qui? Purtroppo no. Perché poi, quando il caldo se ne va, al suo posto compaiono i brividi.

Perché succede
È un disturbo che colpisce soprattutto durante e dopo la menopausa. «Colpa degli ormoni, in particolare del drastico calo degli estrogeni» spiega Fiorenzo Corti, medico di famiglia. «Ma può accadere anche a donne ancora fertili, di solito in seguito a uno stress emotivo. Quando si è sotto pressione, infatti, aumenta la produzione di adrenalina e noradrenalina, due ormoni che entrano in circolo nelle situazioni di allarme o pericolo, per preparare l’organismo a uno sforzo psicofisico importante in tempi brevissimi. Una delle conseguenze? Aumentano la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca e anche la sudorazione. Ma dietro le vampate possono esserci anche altre cause, come l’uso di farmaci vasodilatatori oppure, d’estate, una eccessiva esposizione al sole».

Che cosa fare
«Se si tratta di un malessere passeggero» spiega Fiorenzo Corti «occorre fermarsi, bere un bicchiere d’acqua e, se si è all’aperto, mettersi all’ombra. Quando, però, il problema si presenta di frequente, è bene rivolgersi al medico di base».

C’è chi lo descrive come se fosse un tremolio, chi come un battito più accentuato. Che si avverte sempre nella parte laterale del collo e dura pochi secondi.

Perché succede
Il primo pensiero va alla vena che si intravede sotto la pelle. Ma non è lei la causa del tremore. «Si tratta, invece, della carotide, l’arteria che sta più in profondità» spiega Maria Grazia Bordoni, responsabile dell’Unità operativa di chirurgia vascolare II dell’Istituto clinico Humanitas di Milano. «Quando il cuore accelera, per via di uno sforzo o di un’emozione, questo grosso vaso si mette a pulsare in modo più intenso, trasmettendo le vibrazioni a ciò che gli sta intorno. Il collo, però, è attraversato anche da diversi fasci muscolari: contraendosi, possono essere loro a creare un tremito che sale in superficie».

Che cosa fare
Bisogna aspettare che passi, mantenendo la calma. «Nella maggior parte dei casi è un fenomeno fisiologico» assicura Maria Grazia Bordoni. «Solo in un caso bisogna rivolgersi al medico curante: quando al tremore si associa un senso persistente di mancanza d’aria e di gonfiore al volto. Allora servono accertamenti».

Non sempre è doloroso. Ma fastidioso sì. Perché durante la masticazione, sembra che qualcosa, ai lati del viso, debba rompersi da un momento all’altro.

Perché succede
«Questi “rumori” provengono dall’articolazione temporomandibolare, il punto in cui la mascella è attaccata all’orecchio» dice Sergio Formentelli, odontoiatra ed esperto in gnatologia. «Spesso dipende dal bruxismo, cioè l’abitudine di serrare i denti o a digrignarli. Altre volte, invece, questo disturbo dipende da una malocclusione della bocca, a causa di un dente mancante, di una protesi realizzata male o di un allineamento non perfetto».

Che cosa fare
Il dentista da solo non è in grado di risolvere il problema: serve uno gnatologo. «Oltre a osservare la bocca e le radiografie, questo specialista utilizza speciali strumenti in grado di misurare il numero delle volte in cui si digrignano i denti e di simulare la masticazione» conclude Sergio Formentelli. «La terapia, poi, dipende dal singolo caso. Per ridurre il bruxismo può bastare un bite oppure un impianto, una nuova protesi o un apparecchio per risolvere la malocclusione».

Può accadere scendendo da un marciapiede o anche solo camminando. Ci si spaventa, ma di solito non si finisce a terra.

Perché succede
Il più delle volte questo sintomo compare quando si è stanchi, magari a causa di un allenamento troppo intenso. «I muscoli indolenziti, infatti, spingono ad assumere una postura scorretta e, di conseguenza, a perdere più facilmente l’equilibrio» spiega Fiorenzo Corti, medico di famiglia. «Ma a volte la dinamica è diversa: si è nel pieno delle forze eppure, mentre si scendono le scale, il ginocchio si piega sotto il peso del corpo. In questo caso ci potrebbe essere un problema al menisco o ai legamenti, le strutture che mantengono insieme l’articolazione».

Che cosa fare
L’ideale è ripensare a quello che è successo negli ultimi tempi. C’è stato un movimento brusco o una brutta caduta? «In questi casi è meglio consultare un medico: valuterà se è opportuno fare una radiografia e una risonanza magnetica del ginocchio» suggerisce Fiorenzo Corti. «Questi esami permettono di controllare lo stato di salute di ossa, legamenti, cartilagini e menischi. Se l’incidente è dovuto a stanchezza, invece, basta un po’ di riposo».

Assomiglia a uno sbadiglio o a un lungo sospiro. Che nasce sempre dal bisogno di fare un respiro profondo. Si avverte dopo uno sforzo, una brutta discussione o un lavoro di grande concentrazione.

Perché succede
«Spesso, senza che ce ne rendiamo conto, respiriamo in modo superficiale» spiega Fiorenzo Corti, medico di famiglia. «Così facendo, però, l’inspirazione inizia troppo presto, quando ancora non si è finito di buttare fuori l’aria. Di conseguenza, nei polmoni resta ancora dell’anidride carbonica, mentre i livelli di ossigeno incamerato diminuiscono. La necessità di fare un respiro profondo, infatti, serve per ristabilire l’equilibrio».

Che cosa fare
«In generale è un fenomeno di cui non ci si deve preoccupare, a meno che il senso di affanno non diventi frequente» continua l’esperto. «In questo caso, è meglio farsi visitare dal proprio medico. Se si vuole eliminare questa abitudine, bisogna invece sforzarsi di respirare profondamente, soprattutto nelle situazioni di stress o forte emozione. Se ci si fa prendere dall’affanno, infatti, questo disturbo non può che aumentare».

Capita dopo uno spavento improvviso, un pasto frettoloso, una bevanda troppo fredda. Ma non sempre se ne va in pochi minuti.

Perché succede
«Il singhiozzo è prodotto da una contrazione anomala dell’esofago, che si muove dal basso verso l’alto, cioè nel senso opposto a quello della deglutizione» spiega Alessandro Repici, responsabile di Endoscopia digestiva del dipartimento di gastroenterologia presso l’Istituto clinico Humanitas di Milano. «Tutto ciò è scatenato dagli spasmi involontari del diaframma, il muscolo che controlla la respirazione. Che cosa ci sia alla base di questa attività, però, nessuno lo sa».

Che cosa fare
«Di solito il singhiozzo scompare» dice il medico. «Altrimenti si può provare con i rimedi di sempre: per esempio bere dell’acqua a piccoli sorsi, in modo da contrastare le contrazioni dell’esofago. Oppure respirare profondamente per poi trattenere l’aria qualche secondo, così da distendere il tubo digerente. Solo quando non passa (ma accade in un caso su 10.000), si ricorre a farmaci miorilassanti o sedativi».

La luce è spenta già da un po’. Ma quando finalmente si sta per sprofondare nel sonno, il corpo ha un forte sussulto. E ci si sveglia.

Perché succede
«In medicina, questi sobbalzi si chiamano mioclonie dell’addormentamento. Si tratta di contrazioni muscolari improvvise e involontarie, che avvengono nella fase di passaggio dalla veglia al sonno, quando il cervello poco alla volta perde il controllo del corpo» dice Marco Zucconi, neurologo del Centro di medicina del sonno dell’Ospedale San Raffaele Turro di Milano. «Sono fastidiose soprattutto per chi si addormenta sul fianco, perché rischia di perdere l’equilibrio e di svegliarsi di soprassalto».

Che cosa fare
Quando capita la prima volta ci si spaventa e ci si preoccupa. «Se le mioclonie dell’addormentamento accadono una volta ogni tanto, soprattutto quando si è molto stanchi, non bisogna pensare che si tratti di qualcosa di serio» assicura Marco Zucconi. «A meno che i sobbalzi non diventino così violenti e ripetuti da impedire di prendere sonno. In questo caso, è bene parlarne con un medico. Una cosa è certa: gli stati d’ansia e di stress possono aggravare questo piccolo disturbo».

Sembra di sentire il ronzio di un insetto o un fischio. Ma questi suoni, chiamati acufeni, in realtà sono solo all’interno dell’orecchio.

Perché succede
«Il catarro, che a volte infiamma la tuba di Eustachio, può creare delle distorsioni acustiche» spiega Claudio Lambertoni, specialista in Otorinolaringoiatria e patologie cervico facciali della clinica Quisisana a Roma. Ma non è l’unica causa possibile. «Lo stesso disturbo può manifestarsi se l’occlusione della mandibola non è perfetta, magari per colpa di una contrattura dei muscoli masticatori. O quando una piccola alterazione del flusso sanguigno nei capillari oppure uno squilibrio nei liquidi del labirinto interferiscono con l’attività delle cellule acustiche».

Che cosa fare
«Quasi sempre gli acufeni sono innocui e passano dopo pochi giorni» dice l’otorino. «Se durano più di due o tre settimane è il caso di rivolgersi a uno specialista che, oltre a esplorare l’orecchio, farà degli esami specifici. Per esempio l’audiometria e l’impedenziometria, che valutano la quantità e la qualità dell’udito. C’è comunque una buona notizia: anche se persiste a lungo, il disturbo sparisce senza alcuna terapia entro un mese o due».

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