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Mal di sushi e sindrome sgombroide: cosa sono e come si curano

  • 29 03 2018

Un nome esotico per far balzare agli onori della cronaca questa intossicazione alimentare dovuta alla cattiva conservazione di alcuni tipi di pesce. Ecco come si manifesta e come intervenire

È stata ribattezzata ‘mal di sushi’ dalla cronaca meneghina ma in realtà quella di cui parliamo è la sindrome sgombroide.

Purtroppo il concetto è lo stesso e le manifestazioni cliniche toccano diversi comparti del nostro organismo, a partire naturalmente (come spesso accade con un’intossicazione alimentare) dall’apparato gastrointestinale con una forte nausea, vomito e diarrea.

Ma può rovinare anche il sistema nervoso centrale con vertigini, e pesante cefalea; oppure sfogarsi attraverso la cute con rush molto violenti e pruriginosi. In rarissimi casi di eccessive reazioni allergiche (ma occorre sottolinearlo) si possono avere anche disturbi respiratori e ipotensione.

Inoltre è bene sapere che, se si tratta di mal di sushi, i sintomi vengono avvertiti rapidamente, entro 15-20 o al massimo 30 minuti dall’assunzione di cibo contaminato. Almeno su questo potete stare tranquilli perché se la nausea o il vomito incominciano a una distanza di oltre 24 ore, si tratta pur sempre di un virus gastrointestinale ma che nulla ha a che fare con la sindrome sgombroide.

Giapponesi vs italiani

Ora però non mettiamo sotto accusa solamente i sempre più diffusi ristoranti giapponesi dove l’All you can eat è di casa: anche i più comuni bar e ristoranti italiani, dove viene servito quotidianamente tonno crudo o solo leggermente scottato possono essere incriminati.

Il problema principale resta una cattiva conservazione del pesce che (a monte) produce tossine che non vengono distrutte nemmeno con il congelamento, l’affumicatura o la cottura. Volete saperne di più?

La sindrome sgombroide

Forse vi sembrerà un po’ troppo tecnica questa spiegazione, ma il mal di sushi è causato dall’eccesso di istamina, una sostanza che in realtà si forma naturalmente in seguito alla degradazione di un amminoacido presente in alcuni pesci come tonno, sgombro, sardine e acciughe.

Il problema legato a questi germi è che non solo sono in grado di resistere al calore, ma anche di proliferare alle basse temperature: la modifica avviene a 20-30°C, quindi per bloccare la formazione di istamina è importante innanzitutto lavare molto bene il pesce, e poi rispettare rigorosamente la catena del freddo.

Quando decide la temperatura

Di fondamentale importanza è quindi la temperatura: tra 6°C e 20°C, la sua formazione è addirittura maggiore di quella dell’ammoniaca che, come sappiamo bene tutti, si tratta del miglior indicatore del grado di freschezza del pesce. Le temperature ottimali sono intorno ai 35°C.

Un fattore dovrebbe allarmarci: se in materia ittica esistono infatti precise normative e indicazioni circa le modalità di conservazione del pesce (soprattutto Oltreoceano), l’Unione Europea è quella che sull’argomento ha standard meno rigidi: la normativa raccomanda il congelamento dei prodotti ittici a -20 °C per almeno 24 ore. Mentre l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) raccomanda invece che eviscerazione e congelamento ad almeno -23 °C per una settimana.

Igiene e precauzioni

Non potendo noi controllare l’intera catena e sapere se il pesce che ci stiamo prestando ad assaggiare è contaminato (tenete presente che la contaminazione batterica può avvenire in qualsiasi momento dopo la pesca e durante tutto il processo di lavorazione) l’unica precauzione che possiamo prendere è quella di diffidare dei locali che conservano tranci di pesce in vetrine mal refrigerate, per questioni esclusivamente scenografiche.

La cura

Contro la sindrome sgombroide non si può fare altro che assumere moltissimi liquidi e fare uso dei classici antistaminici, sia anti H1 sia anti H2: niente di complicato perché si tratta dei nomi delle molecole contro l’intossicazione da istamina e da cibo che è bene rivelare al farmacista prima dell’acquisto.

Pur non essendo di per sé gravissimo, il mal di sushi potrebbe essere pericoloso se, come detto, coinvolge l’apparato cardio-respiratorio: in questo caso meglio recarsi al pronto soccorso perché potrebbe essere necessario un ricorso all’adrenalina, il farmaco salvavita.

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