L'OMS

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Quello che era soltanto un sospetto, è stato confermato qualche giorno fa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per mezzo del documento emanato dall’ IARC (International Agency for Research on Cancer): le carni rosse lavorate “sono cancerogene”. Questa affermazione ha suscitato l’indignazione dei produttori, che hanno visto inserire salami, prosciutti e wurstel, addirittura nel gruppo 1 della lista delle sostanze cancerogene per l’uomo insieme a fumo di tabacco e all'alcool. Non poche le polemiche, anche da parte dei consumatori che sembrano non rassegnarsi a dire addio a qualcosa di tanto gustoso. In questi casi solo la giusta informazione può guidarci attraverso il flusso di notizie che stanno giungendo numerose e spesso contraddittorie.

Tutto quello che c’è da sapere sulla carne rossa

Limitare il consumo di carne è come un “ritorno al passato”: ai tempi dei nostri nonni, quando bistecche e stufati erano un lusso da pochi. Oggi, l’unico lusso che dobbiamo (possiamo) permetterci si chiama “salute”

Il tema del consumo dei prodotti animali, ed in particolar modo della carni rosse, è da molto tempo dibattuto, sia dal punto di vista etico che salutistico. La nascita di stili alimentari differenti, come il veganismo e il vegetarismo sono nati e si sono diffusi anche per questo, non soltanto per motivi filosofici. Medici e nutrizionisti, già da qualche decennio ci hanno indotto ad abbracciare una dieta più di tipo mediterraneo, dove la parola d’ordine è “diversificare”, al fine di cambiare sia la qualità dello stesso alimento che la varietà di cibi da mettere nel sacchetto della spesa.

Dopo numerose evidenze sperimentali, è di qualche giorno fa la conferma da parte dell’OMS, l’Organizzazione,Mondiale della Sanità, riguardo la correlazione tra il consumo assiduo di carni rosse lavorate e l’insorgenza di tumori, più nello specifico al colon-retto ed al pancreas. Tale notizia sia per i produttori che per i consumatori si è rivelata abbastanza sorprendente (malgrado se ne parlasse già da tempo); vedere un hot dog nella stessa lista nera del tabacco è  alquanto sbalorditivo.

Eppure, dopo Expo 2015 la popolazione mondiale dovrebbe aver avuto imparare che quantità e qualità del cibo giocano un ruolo fondamentale nel benessere di un organismo e in quello del pianeta Terra. Eppure sembra che la maggior parte degli Occidentali, a vizi e ad abbondanza non riesce proprio a rinunciare (se non senza prima lamentarsi abbondantemente), tuttavia è bene essere consapevoli ed informati di ciò che potrebbe accadere ed accade nel nostro corpo ed intorno a noi, conseguenze incluse.

Quali sono le carni lavorate?

Raccolto l’allarme, a questo punto la domanda sorge spontanea: cosa si intende per carni rosse lavorate? L’OMS include in questa categoria le carni in scatola, i wurstel, i sughi e gli insaccati, ovvero tutti quei prodotti che sono stati trasformati “attraverso processi di salatura, polimerizzazione, fermentazione, affumicatura, o sottoposte ad altri processi per aumentare il sapore e migliorare la conservazione”. L’OMS continua spiegando che questo tipo di alimenti, sono inseriti nel gruppo 1 degli alimenti cancerogeni, correlati, in base alle evidenze fornite dai dati scientifici all’insorgenza di cancro colo-rettale.

Qual è la verità sulle carni rosse (non lavorate)?

Ciò che più di tutto ha fatto discutere, nonostante i dubbi sulle carni rosse (anche non lavorate) si avessero da anni, riguarda “la probabile azione cancerogena” anche dei prodotti non trasformati, in cui, come spiega l’OMS rientrano “tutti i tipi di muscolo di mammifero, come ad esempio manzo, vitello, maiale, agnello, montone, cavallo e capra”, inserite per il momento nel gruppo 2A degli alimenti pericolosi. La correlazione carne-tumore, tuttavia non è una novità, nuovi stili di vita che ne escludono parzialmente o addirittura totalmente il consumo sono ormai praticati da parecchie persone da decenni. Malgrado la percentuale di popolazione “carnivora” sia nettamente maggiore, il numero di persone che rinuncia o disposta a rinunciare alla carne (sia per motivi etici che salutisti) cresce sempre di più.

E’ la quantità a fare la differenza

Dalle notizie diffuse, ciò che si evince non è un divieto assoluto del consumo dei suddetti prodotti, bensì la limitazione. Il benessere economico del mondo Occidentale (se si tralascia la crisi che ci ha colpiti nell’ultimo decennio), ci ha spinti ad abbondare anche nella spesa, portando sulle nostre tavole carni e derivati quasi ogni giorno ed addirittura più volte al giorno. Se provate a chiedere ai vostri nonni quante volte al mese gli era concesso il lusso di una bistecca, potrete constatare voi stesse l’enorme differenza. Pare proprio che il segreto stia nella quantità, e quindi nella moderazione. Ciò che si consiglia è un ritorno al passato, limitando le proteine animali ad 1 – 2 volte a settimana al massimo.

Ma perché la carne rossa fa male?

Ricercatori e scienziati, sulla base di evidenze sperimentali, ormai da tempo avevano avvisato riguardo a ciò che oggi è diventato certezza: le carni rosse lavorate sono cancerogene, mentre le carni rosse probabilmente lo sono. Ma perché? I batteri che abitano nel nostro intestino, durante i processi di digestione ed assorbimento, trasformano sostanze nutritive come la L-carnitina, contenute nella carne rossa in altre sostanze dannose per la salute. In letteratura scientifica questa spiegazione semplicistica, è accompagnata da evidenze sperimentali in grado di soddisfare ogni vostra curiosità.

Ridurre i consumi diversificando il nostro stile di vita

Qualità e quantità sono tuttavia le variabili da tenere in considerazione quando si fa la lista della spesa, per non demonizzare od al contrario sottovalutare determinati tipi di alimenti. Una delle cose che Expò 2015 ci ha insegnato è la parola “diversificare”. Tanto più varia è la nostra alimentazione tanto minore è il rischio di “accumulare” sostanze dannose. Slow Food, una delle tante organizzazioni nel mondo che si occupano di benessere del pianeta come ecosistema, vedono da tempo la riduzione del consumo di carne come unica via percorribile al fine di diminuire l’impatto sul consumo di risorse naturali per favorire gli allevamenti; così facendo si aumenterebbe la qualità dei macelli a scapito della quantità.

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