Probiotici per sanificare contro il Covid

Uno studio italiano dimostra che i probiotici, già usati per igienizzare gli ambienti, sono utili anche contro il Covid: risultano più efficaci dei prodotti a base chimica. Il sistema di sanificazione a base di probiotici si chiama PCHS, contrasta perfino l'antibiotico-resistenza e rispetta l'ambiente

Siamo da tempo abituati a sentir parlare di probiotici nell’alimentazione, ma anche nella salute umana e animale e persino in agricoltura, per i benefici che possono portare alla salute. Adesso una ricerca ne ha mostrato l’azione positiva anche nella prevenzione contro il Covid. In particolare uno studio italiano, che è considerato uno tra i più avanzati al mondo e che sarà pubblicato a breve da riviste scientifiche accreditate, ha mostrato che i probiotici possono essere usati anche per igienizzare le superfici e sono efficaci contro il virus SARS-CoV-2. Ma non basta: aiutano anche a ridurre l’antibiotico-resistenza data da prodotti comunemente impiegati contro germi e batteri. Non solo: il sistema di sanificazione cosiddetto PCHS (Probiotic Cleaning Hygien System) è anche molto meno inquinante rispetto ai prodotti igienizzanti, a base di composti chimici, normalmente in commercio.

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Probiotici contro il SARS-Cov-2: come funzionano

Dall’inizio della pandemia è stata sottolineata l’importanza della sanificazione e igienizzazione delle superfici, non solo in ambito ospedaliero, ma anche in ambienti come scuole, mezzi di trasporto e uffici pubblici. Il sistema PCHS, che sfrutta i probiotici, ha ora dimostrato di essere altamente efficace contro il Covid, persino più dei normali prodotti igienizzanti a base chimica utilizzati finora. Come funziona? «Il sistema PCHS (fornito dall’azienda di Ferrara Copma scrl) è basato sull’uso di un detergente eco-friendly addizionato di probiotici del genere Bacillus. Si basa su un meccanismo di cosiddetta “esclusione competitiva”, in cui i probiotici prendono il sopravvento sui patogeni» spiega la professoressa Caselli, Professore Associato di Microbiologia Clinica presso il Dipartimento di Science Chimiche e Farmaceutiche dell’Università di Ferrara, membro del Direttivo del centro di ricerca CIAS dello stesso ateneo.

I probiotici “mangiano” il virus

«Negli ultimi anni lo studio è stato esteso anche ai patogeni virali, includendo dal 2020 anche il SARS-CoV-2 (il progetto ha ottenuto uno specifico finanziamento dalla Regione Emilia Romagna). Per la sua composizione, il PCHS è in grado di inattivare il SARS-CoV-2 e tutti gli altri virus con struttura simile, grazie ai detergenti presenti e all’azione enzimatica continua dei probiotici, che in pratica degradano le componenti del virus» aggiunge Caselli, che ha coordinato e sviluppato tutte le ricerche microbiologiche, incluse quelle sulla attività antivirale.

Più efficaci e più a lungo

«I risultati raccolti dalla ricerca – prosegue l’esperta – hanno mostrato che il sistema PCHS abbatte stabilmente i patogeni (batteri e funghi) sulle superfici igienizzate di circa l’80% in più rispetto ai metodi di sanificazione convenzionali. Inoltre, abbatte inoltre fino al 99.9% le antibiotico-resistenze dei patogeni, e il suo uso ha portato a un dimezzamento delle infezioni ospedaliere contratte dai pazienti negli ospedali in cui è stato introdotto». I probiotici si sono rivelati in grado di contrastare il virus Sars-CoV2 anche per un periodo superiore: «Mentre i disinfettanti chimici tradizionali perdono attività rapidamente (1-2 ore), il PCHS mantiene decontaminata la superficie trattata, inattivando il virus anche 24 ore dopo le operazioni di pulizia. Di fatto, supponendo che le operazioni di pulizia vengano fatte quotidianamente, questo abbatte in modo continuo il rischio di un possibile contagio da parte dell’ambiente» spiega Caselli.

Riducono la resistenza agli antibiotici

Un altro vantaggio, poi, riguarda direttamente la salute umana, perché i probiotici in questione permettono di ridurre l’antibiotico-resistenza: «È un risultato provato da numerosi studi su diversi ospedali: lo spiazzamento dei patogeni (anche di quelli resistenti) da parte dei Bacillus probiotici porta ad una graduale scomparsa dei ceppi antibiotico-resistenti dall’ambiente trattato, e ciò si evidenzia anche come minor numero di infezioni da antibiotico-resistenti nei pazienti e minor consumo di antibiotici negli ospedali che lo hanno introdotto. Ciò è dovuto al fatto che i Bacillus probiotici spiazzano e rimpiazzano i patogeni, anche quelli resistenti, mediante un meccanismo di competizione» spiega la professoressa dell’Università di Ferrara. Si tratta di un dimezzamento del rischio di infezioni correlate ad assistenza ospedialiera, di una riduzione del 60% di consumo di antibiotici e del 75% di costi per le terapie legate alle Ica.

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Una nuova via per la cura delle infezioni e dell’ambiente

Esiste, inoltre, un notevole beneficio in termini ambientali, come spiegato dal prof. Walter Ricciardi, dell’Università Cattolica di Milano, in occasione della presentazione dei risultati dello studio: «Celebriamo oggi un evento storico. Si tratta di un’innovazione dirompente, che può cambiare radicalmente il modo in cui si combattono le infezioni, non solo in ospedale. Si combattono i germi con altri germi e, a differenza dei disinfettanti chimici, che hanno effetti collaterali di impatto ambientale, con il sistema PCHS ciò non avviene». La ricerca è italiana, frutto di una partnership pubblico-privata, con una tecnologia che getta le basi per altre ricerche nel futuro. «Il PCHS – aggiunge Caselli – è dotato di certificazione “eco-label”, grazie alle sue componenti estremamente rispettose dell’ambiente e a bassissimo impatto».

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Ora il PCHS va introdotto

«Lo studio dovrebbe essere pubblicato a breve da riviste scientifiche di rilevanza internazionale. Il PCHS è già disponibile sul mercato, anche se al momento la normativa (a causa della situazione emergenziale) impone l’uso di disinfettanti chimici – spiega Caselli – Sarebbe auspicabile un aggiornamento delle linee di indirizzo, sulla base dei risultati ottenuti, che portasse alla possibilità di reintrodurre il sistema PCHS ove possibile. Ciò anche per evitare di aggravare il fenomeno dell’antibiotico-resistenza». «Non bisogna cambiare la legge, ma permettere l’applicazione di un’innovazione scientifica disponibile, modificando regolamenti e linee guida fissati da Istituto Superiore di Sanità e Ministero della Salute» ha concluso Ricciardi.

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