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Diabete 2 e depressione: che legame c’è?

In occasione della Giornata mondiale del diabete, 14 novembre, abbiamo intervistato il professor Silvio Garattini, che spiega il legame tra diabete e depressione e smorza il nesso con i contraccettivi e la terapia ormonale sostitutiva

Sono 3 milioni 700 mila gli italiani con il diabete, pari a circa 6 su 10. Numeri che però crescono con l’aumentare dell’età, tanto che tra gli over 75 si arriva al 21%, oltre 1 su 5. Ma in futuro potrebbero aumentare, come ci spiega il professor Silvio Garattini, oncologo, farmacologo e ricercatore, curatore di un nuovo libro, Il diabete di tipo 2 – una malattia evitabile (Edizioni Lswr), in collaborazione con Lidia Staszewsky: «Le ragioni di questa tendenza sono molteplici: intanto sono state abbassate le soglie di rischio per cui, se una volta avere 110 mg di glucosio per litro di sangue era considerato normale, oggi si parla invece di “pre-diabete”. Si tratta di una strategia di marketing messa in atto dalle aziende farmaceutiche, che hanno tutto l’interesse ad aumentare l’esigenza di cura. Ma è altrettanto vero che esistono altri fattori, legati per esempio allo stile di vita, che incidono sull’aumento della patologia».

Il diabete degli adulti si può “prevenire”

Nel nuovo libro il professore sottolinea anche un altro aspetto spesso sottovalutato: il nesso tra diabete e depressione. «Quando si parla di diabete di tipo 2 non bisogna dimenticare che si fa riferimento a quello che insorge tipicamente in età adulta. Si tratta di una patologia evitabile, sulla quale si può intervenire con buone abitudini di vita. È importante farlo anche perché a sua volta genera altre complicazioni, come la retinite diabetica o malattie cardiovascolari. Purtroppo oggi occorrerebbe una rivoluzione culturale che riporti l’attenzione non solo alle cure, ma anche alla prevenzione – esorta Garattini – per diversi motivi: per una ragione di sano egoismo, cioè per stare meglio; ma anche perché insieme al paziente soffrono le famiglie e il servizio sanitario nazionale che sostiene costi molto alti per le terapie». Per farlo occorre partire dalla conoscenza della malattia, di cui per esempio non si conosce il nesso stretto con la depressione.

I diabetici hanno un maggior rischio di depressione

«Nelle persone con diabete di tipo 1 e 2 i sintomi lievi della depressione sono presenti tra il 12% e il 27% dei casi, quella della depressione vera e propria tra l’8 e il 15%, ovvero circa il doppio rispetto ai soggetti che non soffrono di diabete. Le due malattie si influenzano a vicenda: da una parte, la depressione rappresenta un fattore che aumenta il rischio di insorgenza del diabete, dall’altra il diabete accresce il rischio di comparsa della depressione», spiega Garattini. In particolare, uno studio del 2005 ha mostrato un rischio aumentato del 37% nei soggetti diabetici, mentre una metanalisi successiva è arrivata fino al 60%. «Si è inoltre visto che la depressione ha un ruolo nel favorire l’insorgenza del diabete anche quando si presenta in forma moderata o lieve, pur avendo un peso più importante quando si verifica in forma grave», chiarisce ancora l’esperto.

Quale nesso tra depressione e diabete

Chi è depresso, dunque, corre maggiori rischi di ammalarsi di diabete: «Il motivo principale sta in alcuni comportamenti tipici di chi soffre di depressione: spesso, infatti, si tende ad aumentare il consumo di cibo e quindi anche di glucosio; di solito si accompagna a una cura di sé ridotta e a una maggiore sedentarietà e proprio questa, insieme all’obesità, sono i due fattori principali di rischio di diabete e complicanze», dice il ricercatore, aggiungendo: «Vale anche la tendenza opposta: avere il diabete comporta anche l’osservanza di una dieta e l’assunzione regolare di farmaci, che possono diventare causa di stress che porta a depressione».

Come si curano le due patologie insieme

Come spiega Garattini, gli interventi sono di tre tipi: sullo stile di vita, in ambito psicologico e di psicoterapia (con effetti potenzialmente più duraturi) e farmacologici. A questo proposito, però, va tenuto presente che alcuni antidepressivi possono «agire sfavorevolmente sui parametri del diabete di tipo 2. È questo un aspetto poco considerato, anche se già le linee guida del 2010 dell’Associazione degli Psichiatri Americani avvertivano del rischio che l’antidepressivo potesse alterare il glucosio a digiuno e che altri aspetti potessero associarsi alla possibilità di sviluppare il diabete» osserva l’esperto, che sottolinea come in effetti alcuni farmaci possono avere un effetto negativo. In questo caso una particolare attenzione deve essere riservata alle donne.

Attenzione ai farmaci che possono dare diabete

«Sono molti i farmaci che possono causare o peggiorare l’iperglicemia o il diabete di tipo 2, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Associazione Americana di Diabetologia (ADA) hanno recentemente riconosciuto questa condizione come una malattia specifica con il nome di ‘diabete indotto da farmaci’ – chiarisce Garattini – Questo può accadere anche in individui precedentemente normoglicemici, anche se questa condizione è solitamente reversibile. Va comunque corretta e controllata per evitare che peggiori e diventi permanente». I farmaci che possono contribuire al diabete sono «i glucocorticoidi (più comunemente noti come cortisonici), che possono dare iperglicemia a digiuno o dopo mangiato. Ma anche alcuni diuretici e immunosoppressori, così come contraccettivi e terapie ormonali sostitutive che contengano una quantità elevata di estrogeni», prosegue Garattini.

Il diabete e le donne: l’effetto dei contraccettivi orali

A questo proposito, però, va chiarito che «nonostante le terapie ormonali in passato siano state associate a una marcata iperglicemia, non sembra ci siano effetti simili con i nuovi medicinali appartenenti a questa categoria perché ne contengono dosi più basse. Ci possono essere alcune alterazioni del glucosio, con un aumento della resistenza all’insulina e una ridotta tolleranza al glucosio, ma una recente revisione degli studi disponibili ha dato risposte rassicuranti sia in donne sane sia in quelle a rischio di diabete a causa del sovrappeso», spiega Garattini. Per l’esperto il più importante fattore di rischio indotto da questi medicinali nelle donne con diabete è dato, infatti, «dal sovrappeso. Non ci sarebbero controindicazioni, invece, per quanto riguarda la terapia ormonale sostitutiva con estrogeni in donne post-menopausa con diabete mellito di tipo 2». «Il consiglio è di effettuare controlli, in modo da evitare soprattutto effetti dovuti all’assunzione contemporanea di altri farmaci, come magari accade negli anziani».

Il diabete si può prevenire?

Diversi studi pubblicati negli ultimi vent’anni hanno dimostrato che è possibile ridurre del 25-60% il rischio di sviluppo del diabete con alcuni farmaci ipoglicemizzanti. «Alcuni principi attivi, come la metformina, l’acarbosio (che migliorano la sensibilità periferica all’insulina e riducono la comparsa di glucosio in circolo), i tiazolidinedioni, la nateglinide, ecc. possono aiutare a ridurre l’insorgenza del diabete», conferma Garattini, che però aggiunge: «I dati disponibili dimostrano come modificando lo stile di vita, agendo sulla dieta e sull’attività fisica, non solo si riduce il rischio globale, ma si ottengono benefici più duraturi nel tempo». A confermarlo sono anche gli altri esperti dell’Istituto Mario Negri, che hanno collaborato al libro, e che spiegano: «La prevenzione del diabete dovrebbe iniziare già nell’età dell’adolescenza, dal momento che sovrappeso e obesità, nel nostro Paese, sono in costante aumento anche nei giovani. I messaggi dannosi provenienti dalla pubblicità e l’aumento delle ore trascorse davanti alla televisione e utilizzando i social costituiscono fattori importanti nell’induzione di stili di vita poco salutari».

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