Non poter avere figli: il supporto che cura

  • 03 07 2012

Sterilità, infertilità, fecondazione assistita: diagnosi pesanti, appesantite dal dubbio di non poter avere (mai) figli. Si supera? Ne parliamo con Emilse Dumit, psicologa clinica specializzata nel supporto alle coppie in difficoltà

Infertilità: i dati di una sofferenza

Quello di non poter aver figli è un dramma a cui va incontro il 15% delle coppie italiane alla ricerca del primo figlio, con un incremento del 5% quando si cerca il secondo. I dati, forniti dal Registro Nazionale sulla Procreazione Medicalmente Assisita, parlano inoltre di un’infertilità maschile pari al 35,4% contro quella femminile che è superiore di pochissimo: il 35,5% delle donne italiane si rivolge ad un centro di fecondazione assistita. La media è conforme a quella europea.

Impressionante? Allarmante? O dati immaginabili? Sicuramente il fatto che la preoccupazione sterilità tocchi più di un terzo delle donne e degli uomini italiani non è poco. Persone che si troveranno ad affrontare quella che per i medici è una malattia, per molti è ‘solo’ un disagio, per gli psicologi clinici una sofferenza che va ascoltata, affrontata e superata (fortunatamente).

E per questo ne parliamo con la Dottoressa Emilse Dumit, Psicologa Clinica, specializzata nel supporto psicoterapeutico alle coppie con problemi di infertilità, presso il centro di fecondazione medicalmente assistita, Gynepro Medical di Bologna.

Supporto psicologico a coppie in difficoltà

Sorridente, energica, gioiosa: è la prima impressione che la Dottoressa Emilse Dumit suscita al primo incontro. Una cascata di riccioli biondi e un modo di fare affabile e caloroso. “Merito del mix delle mie origini (italiane, francesi e irlandesi) e dell’esser nata e cresciuta a Buenos Aires”. Sicuramente l’approccio rassicurante per coppie in difficoltà.
“Ai primi appuntamenti mi raccontano che il dramma di non poter avere figli non è compreso da parenti e amici, ecco perchè spesso è necessario un supporto psicologico mentre le coppie si sottopongono alla fecondazione assistita, e avvertono un disagio emotivo che ha i connotati della sofferenza psichica. Che irrompe violenta in seguito alla diagnosi di sterilità” – spiega l’esperta.

I centri di fecondazione medicalmente assistita, come Gynepro,  hanno al loro interno figure di psicologi clinici, perché la diagnosi  di infertilità colpisce la persona a 360°, sia dal punto di vista della  sua salute fisica che psicologica. “L’approccio clinico completo vuol  dire prendersi cura della persona (a prescindere dal sesso) colpita da  una diagnosi tanto delicata, perchè impatta nel progetto emotivo dell’individuo.
Per un fatto culturale, sin dalla tenera infanzia sia gli uomini che le donne, soprattutto le  seconde, naturalmente sono abituate a sentirsi dire che quando  cresceranno faranno dei figli, vorranno dei figli, dovranno avere  figli. Nessuno spiega a un bambino/a che esiste la probabilità che non  potrai. E questa è già la prima ferita. Il non poter avere figli. Si dà per scontato che si può, è normale, è biologico.”

E invece i dati sull’infertilità parlano chiaro, evidenziando che non è poi così naturale.

La diagnosi di infertilità provoca una grande ferita narcisistica: accettarla richiede del tempo, “dove per tempo intendiamo sia un tempo razionale che emotivo. Che si muovono a velocità diverse – continua la dottoressa Dumit – dal punto di vista razionale, i pazienti pensano di accettare l’evento in tempi brevi; il tempo emotivo invece è più lento e non è sempre controllabile da noi, soprattutto in un momento traumatico”.

Sentirsi dire di essere sterili è qualcosa che arriva con violenza, come uno schiaffo inaspettato: psicologicamente è come se non avessero la possibilità di elaborare la diagnosi. “Piano piano invece si elabora – rassicura l’esperta – soprattutto se a supportare i pazienti c’è una figura specializzata in psicologia clinica, a cui nel 90% dei casi è il ginecologo a suggerire di farvi ricorso.

Il compito dello psicologo clinico è un supporto psicologico, composto da percorsi brevi orientati all’obiettivo di accompagnare la coppia dal momento in cui scopre la diagnosi a quello in cui la fa sua, per superarla”.

Affrontare il mancato progetto di genitorialità

I percorsi di supporto psicologico possono durare da un minimo di 3 incontri a 10-15. Non solo si ascolta il disagio della coppia, ma si lavora anche sul corpo, inteso come vissuto del corpo stesso, e non come contenitore di emozioni. “Nei casi in cui il corpo è vissuto come nemico, cerchiamo di integrare gli interventi di psicoterapia biosistemica corporea con la razionalità – chiarisce l’esperta – cioè con il dialogo. Abbiamo bisogno di tutte e 3 le dimensioni del vivere: quello che sento, quello che penso e quello che faccio. Si lavora su di esse in modo armonico”.

Bisogna fare appello a tutte le proprie risorse psicologiche per trasformare un problema in un’opportunità di crescita.

“Arrivano persone completamente invase dal mondo emotivo, con un carico di ansia e dolore che impedisce loro di intraprendere una terapia psicologica – continua la Dumit.

Cerchiamo di infondere alle coppie in difficoltà il valore che il progetto del figlio non diventi l’unico della propria vita.

La situazione è più difficile quando la donna ha un progetto di maternità totalizzante: in questi casi è fondamentale comprendere (non in senso cognitivo) che le uniche risorse per superare il dolore sono dentro di te e all’interno della coppia”.

Risorse psicologiche cui fare appello

Quali sono le risorse a cui fare appello per superare la diagnosi di sterilità? O per affrontare la fecondazione assistita, con la consapevolezza che possa non portare a un buon esito (la percentuale è del 20%).

“Innanzi tutto è importante accettare ciò che sta succedendo – dice l’esperta.

In seconda istanza, comprendere profondamente che esiste la possibilità di attivare altri progetti, al di là di quello genitoriale; cercare di investire su altre cose della vita che non sono da considerarsi meno importanti.

La frustrazione, il senso di impotenza fa sì che ci troviamo di fronte a persone che hanno bisogno di aiuto concreto. È la coppia che deve essere aiutata, non la donna presa singolarmente”. Perchè il disagio riguarda entrambi.

Cos’ha di diverso il supporto psicologico alle coppie in difficoltà rispetto ad altri percorsi psicoterapeutici?

“Il fatto di far comprendere alla coppia che nella fecondazione assistita, gli esseri umani possono fare di tutto e sottoporsi a tutto, ma poi è la natura che decide – spiega la Dottoressa Dumit

Per esperienza, le donne combattive, intraprendenti e molto attive sono quelle che reagiscono peggio alla notizia. Non è difficile che dicano “Com’è possibile che faccio tutte le cure possibili e immaginabili e non ottengo risultati?

E se il risultato è stato negativo bisogna aiutare la donna ad elaborare il lutto di quel progetto. Ogni impianto non riuscito è come un figlio non nato. Per non parlare del confronto con la società, che subissa la coppia di domande: “questa volta è andata male, ma la la prossima?” Tutte ansie difficili da affrontare, anche perchè, dal punto di vista sociale, la fecondazione assistita non riconosce il bisogno di soffrire. Assurdo, ma è così.

Per superare l’infertilità un’altra cosa importante è la condivisione del disagio con altre coppie che stanno vivendo la situazione.

È molto importante attivare la speranza di potercela fare e non avere paura. Ecco che spesso si fa terapia di gruppo.
“Ai fini del superamento della diagnosi, è molto deleterio il fatto che le donne si isolino, vergognandosi della loro infertilità come se fosse una colpa: confrontarsi con altre donne aiuta a capire, per esempio, che è comprensibile il fastidio che si prova nel guardare i figli degli altri” – asserisce convinta la dottoressa Dumit.

Il gruppo invece è una sfida a dire a se stesse che ce la si può fare. Si può reagire.

Ma alla fine le coppie ce la fanno?

“Fortunatamente sì – risponde raggiante la psicologa clinica – perché vanno oltre. Elaborano il lutto e si dedicano ad altri progetti edificanti. Comprendono che la vita non finisce perché non hanno avuto un figlio. Tante coppie così ricorrono all’adozione.

Il dolore di non aver potuto procreare resta, ma si attenua, perchè chi ha lavorato su se stesso, ha ridimensionato, capito e accettato.

Non è un percorso facile: la difficoltà emotiva c’è, dato che la donna, l’uomo, la coppia è coinvolta in un profondo cambiamento.

E, come tutti i cambiamenti della nostra vita, lasciano un segno, perchè costringe a confrontarsi con le propria fragilità” – conclude la psicologa clinica Emilse Dumit di Gynepro, Centro di Fecondazione Medicalmente Assistita di Bologna.

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