Pochissime azioni sono difficili da mettere in pratica come perdonare (e perdonarsi). Eppure il perdono - di una persona o situazione verso la quale proviamo odio, risentimento, rabbia, fastidio, antipatia...- è un atto capace di renderci felici. Proprio perché richiede un impegno tale il cui fine è quello di realizzare uno stato di “pace” che ci permette di vivere serenamente con noi stessi e gli altri. Ad una mente semplicistica ciò può suonare un espediente comodamente buonista, proprio di una visione filantropica della vita.
Lungi dallo scomodare l’etica cristiana, della quale la nostra società è permeata, o al contraio laica (si pensi al filosofo Jankelevitch e alla sua etica del perdono), il nostro tentativo è quello di mostrare come il perdono può davvero farci stare meglio.

Perdonare, tanto difficile quanto salutare

Perdonare è una delle azioni che fa stare meglio. Sia noi che gli altri. Ma è anche difficile poiché richiede grande capacità di mettersi nei panni dell'altro, non sempre immediata. Ne parliamo con lo psicoterapeuta

Perché grazie al perdono si sta meglio? Il motivo consiste nel fatto che “perdonando si riesce ad elaborare e a digerire il fatto che ci ha ferito – sostiene il Prof. Roberto Pani, docente di Psicologia Clinica all’Università di Bologna – Attraverso il perdono non solo comunichi all’altro che hai superato l’offesa, ma elimini la competitivà implicita nella rabbia, che impedisce cioè il perdono stesso.
Essere incapaci di perdonare, invece, vuol dire essere (ancora) dentro una posizione di competitività e vendicatività, entrambe cariche di aggressività che non fa certo stare bene.

Attraverso il perdono invece si ripristina la propria dignità senza esprimere aggressività verso l’altro: basta questo a farci stare meglio.

Si tratta di un vero e proprio processo interiore che si compie nel tempo, un lavorìo dell’anima che si accompagna a sentimenti tormentati e contrastanti. Il perdono non è in pratica un atto immediato.

Non è mai un’azione “solitaria”, che si realizza nello spazio abitato solo da noi stessi, ma si compie nella relazione tra noi e gli altri. Perdonare è un atto volontario, che unisce la frattura – creata all’interno di un rapporto – tra colpa e riparazione.

Tuttavia, non si può perdonare solo con la mente, in modo logico/razionale. Bisogna aver attraversato determinati sentimenti per poter raggiungere una dimensione di perdono: primi fra tutti la comprensione e l’accettazione non acritica di ciò che è stato e ci ha fatto del male. Ciò è possibile se si compie lo sforzo di leggere e interpretare la realtà dal punto di vista dell’altro e di guardare le cose in modo distaccato.

Persino il perdonato ricava un vantaggio notevole, cioè quello di essere compreso, capito ed amato. Dopo un perdono, la relazione tra le persone andrà senz’altro meglio. Sentirsi perdonati vuol dire sentirsi compresi, cioè riconoscere che l’altro si è identificato in noi ed è stato capace di perdonarci.

Per perdonare occorre avere capacità identificativa e buona flessibilità della mente, cioè capacità di mettersi nei panni dell’altro e di vedere anche ciò che, presi da se stessi, costa fatica.

È importante infatti ridurre il proprio egocentrismo e considerare che l’altro ha un certo tipo di carattere e che non sempre è modificabile. A volte è proprio l’aver vissuto esperienze diverse a far accrescere la capacità di perdonare.

Perdono è ciò che viene donato

Così come è facile dire che ricevere perdono può farci sentire  meglio, non è altrettanto facile riuscire a esercitarlo con nobiltà  d’animo: per essere veramente tale il perdono, dal punto di vista affettivo, deve rispondere alla propria etimologia per-dono, cioè ciò che viene donato, e che non può essere venduto/comprato.

Perdonare è un atto d’amore innanzitutto verso se stessi

Perdonare non è metaforicamente buttare fuori il male, ma contenere, accogliere.

Quando il danno subito è grave (situazioni di violenza o di reiterato disamore) perdonare può essere benefico, addirittura terapeutico per se stessi.

Quando si perdona si esce dal frastuono dei sentimenti di rabbia, indignazione e risentimento; questi sentimenti possono essere così intensi da farci desiderare a nostra volta di compiere azioni vendicative contro chi riteniamo responsabile del danno che ci è stato inferto.

Si può così fantasticare la rabbia e l’odio possono venir fantasticati, immaginando scenari di vendetta, di sottomissione dell’altro e di punizione. Ma a volte questi sentimenti invece che essere simbolizzati attraverso fantasticherie vengono tenuti distanti dalla coscienza perché fanno paura. Ciò non è senza conseguenze: i sentimenti ostili possono condurci verso un circuito negativo col risultato di evolvere (ma sarebbe il cado di dire “involvere”) in una autopunizione involontaria che ci rende la vita difficile.

Non tutti i perdoni sono veri

Non tutti i perdoni sono veri
C’è chi non riesce ad esprimerlo, chi lo elargisce con falsa magnanimità facendo sentire la propria superiorità, chi lo utilizza con modalità ricattatorie.

Ancora, qualcuno chiede perdono pensando di poter continuare a compiere le proprie azioni nefande senza accompagnarlo ad un reale pentimento, quasi come un lasciapassare ai propri vizi. Infine c’è chi cerca di comprare il perdono.

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