orientarsi al cambiamento

Nuovo lavoro: come gestire la paura del cambiamento

Per cambiare occorre il consenso degli altri oppure è meglio ascoltare se stessi? Ne parliamo con un business coach di professione, che ci ha suggerito le chiavi fondamentali per orientarsi al cambiamento.

Come affrontare il cambiamento sul lavoro

Cambiamento è una delle parole ricorrenti nella nostra mente, nella vita come nel lavoro. Cambiare è mutare, trasformarsi, andare incontro ad una nuova situazione, diversa dalla precedente. Cambiare è rompere gli schemi e la routine e arricchire la propria vita di una nuova esperienza, positiva o negativa che sia. Ma il cambiamento genera un turbinio di emozioni, non sempre facili da gestire, che potrebbero portare ad ansie e preoccupazioni, e questo succede ancora di più se si tratta di lavoro.

Quali sono gli imperativi che deve attuare chi vuol cambiare?

Abbiamo intervistato Andrea Ferramola, business coach e consulente di carriera, che ha a che fare quotidianamente con persone che sono chiamate ad affrontare il cambiamento o per loro scelta o perché imposto dalla realtà aziendale nella quale sono inseriti.

Chi è il business coach e a chi si rivolge 

“É una figura professionale che realizza programmi individuali (“coaching”) rivolti a persone che hanno l’obiettivo di mettere a fuoco i problemi che stanno affrontando, aiutandole a prendere decisioni che le portino ad un piano d’azione; ad attuare quindi questo piano d’azione; e conseguentemente a verificarne i risultati.

Il cliente tipo è una persona, con buone competenze professionali e sufficiente motivazione, che desidera essere supportata in un momento di cambiamento da un coach gli faccia da specchio riflettente. Se correttamente affrontato, il cambiamento porterà importanti miglioramenti nella sua prestazione professionale e nelle sue relazioni con gli altri.

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Gli effetti positivi di un intervento di business coaching si evidenziano anche in attività proficue per la propria attività professionali, quali lavorare con più organizzazione ed ottenere la maggiore efficacia.

Cosa fa il business coach

Partiamo da ciò che non fa: non dà istruzioni e consigli, ma si preoccupa innanzitutto di costruire una relazione efficace con il suo cliente (che in gergo è detto “coachee”). Non lo giudica né valuta le sue prestazioni professionali e comportamentali. E’ dalla sua parte e lo comprende. Il business coach ha l’obiettivo di fare esprimere il potenziale che ha il suo cliente.

Quali sono gli obiettivi: 

  1.  Instaurare una relazione efficace con il cliente è il suo primo obiettivo.
  2.  Poi, attraverso l’ascolto attivo, il business coach stimola il suo cliente a rappresentarsi e poi agire quello che da solo non arriverebbe a rappresentarsi né a dire nemmeno a se stesso. Il processo è molto simile alla maieutica di Socrate, in cui l’obiettivo era – ed è tuttora – quello di portare alla luce riflessioni, considerazioni e valutazioni a cui il cliente da solo potrebbe non arrivare, con lo scopo di mettere bene a fuoco il problema e decidere le possibili soluzioni.
  3. Infine il business coach utilizza lo strumento del feedback o restituzione, cioè rappresenta, restituendo al cliente, l’effetto che le sue parole e le sue azioni hanno prodotto. Oppure restituisce al cliente la differenza tra le decisioni che lui ha preso precedentemente e i risultati che si sono conseguiti. Questo è possibile perché tra i due interlocutori si instaura una relazione attiva che serve al cliente per mantenere l’attenzione sugli obiettivi che si era prefisso e per valutare i risultati che ha raggiunto.

Il business coach può essere assimilato ad uno psicoterapeuta?

No, anzi. E’ importante sottolineare che il business coach non è uno psicoterapeuta perché questo agisce a scopo di cura e pertanto è interessato alle cause profonde di alcuni comportamenti o della condizione psicologica.

Il business coach non è interessato alle cause né alle origini e nemmeno alla ‘storia psicologica’ del cliente, ma è interessato a far prendere decisioni su ciò che può fare oggi e domani.

Non a caso il percorso formativo delle due figure professionali è molto diverso: il coach fa riferimento a discipline aziendali e comportamentali, lo psicoterapeuta deve essere medico o psicologo.

Come si inserisce il cambiamento nella relazione tra coach e cliente?

Le persone che devono o desiderano cambiare devono partire dal fatto che il cambiamento dipende da se stessi, e quindi ricercare il consenso – approvazione di altre persone può comportare un dispendio di tempo non compatibile con l’esigenza di effettuare un cambiamento veloce tempestivo, e che non arrivi in ritardo rispetto ai problemi da affrontare. La persona che vuole cambiare deve concentrarsi principalmente sui propri obiettivi.

Chi sta per attuare un cambiamento deve tuttavia tenere in considerazione le conseguenze e l’impatto che il suo cambiamento può avere sulle altre persone, senza esserne condizionati.

Io decido per me con la consapevolezza delle conseguenze ma ciò non deve costituire un blocco al mio percorso”. Sono questi i pensieri produttivi che dovrebbero circolare nella mente di chi si sta avviando al cambiamento, come anche: “Cercherò di fare in modo che le conseguenze per gli altri siano intese nel giusto significato dagli altri stessi, che devono accettare il più possibile il mio cambiamento e non ostacolarmi”.

Con questo si intende dire che la condivisione da parte degli altri potrebbe benissimo arrivare in un momento successivo, cioè quando gli altri – gli spettatori –  vedono gli effetti del cambiamento.

Quali sono le conseguenze del cambiamento sugli altri

Chi sono gli altri?

Il partner, gli amici, i capi e i dipendenti, i colleghi, i famigliari e in genere tutto l’ambiente affettivo e sociale che circonda colui che ha deciso di cambiare. E’ molto importante che quest’ultimo inizi ad operare il cambiamento. A mano a mano che si producono conseguenze effettive le condivida con gli altri, ma non cercando condivisiono ‘a priori’.

Nel momento in cui la persona decide di cambiare deve concentrarsi sulla propria decisione senza trascurare le conseguenze che deriveranno agli altri, ma nello stesso tempo senza esserne ostaggio.
Perciò è importante che, nei momenti opportuni, riesca a motivare bene le ragioni del suo cambiamento e fare capire alle persone che gli stanno intorno perché questo cambiamento è necessario.

Tornando alla metafora dei pensieri, suggerisco questo: “Anziché chiedervi prima il vostro consenso, io inizio a cambiare, poi vedendo i risultati e le conseguenze probabilmente voi manifestereste il vostro consenso, ‘approvandomi’”.

Quali sono le esigenze di cambiamento?

Le più disparate: normalmente non si rivolgono a me persone che sono  in gravi difficoltà, cioè in situazioni di aperto conflitto, di forte  depressione o di mancanza di motivazione, ma persone che avvertono un  disagio e desiderano migliorare la propria prestazione professionale,  nel senso più estensivo del termine.

Posso asserire che nella mia esperienza il coaching funziona con persone competenti, cioè che hanno una professionalità e che siano sufficientemente motivate. Cerco di lavorare sullo sviluppo del  potenziale che è in loro. Le aiuto ad affinare le proprie competenze e a lavorare con un piano.

In questa fine d’anno mi piace concludere con un passo che amo moltissimo, che sono le parole conclusive del romanzo Il responsabile delle risorse umane di Abraham B. Yehoshua:

“Un senso, signore, lo troveremo  insieme. Io, come sempre, l’aiuterò”.

Si ringrazia il dottor Andrea Ferramola, 56 anni, laureato in Giurisprudenza Consulente del Lavoro, che ha un’esperienza come dirigente d’azienda e attualmente è coach professionista. 

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