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Il cervello degli adolescenti è invecchiato in pandemia

Uno studio sul cervello degli adolescenti condotto prima e dopo il Covid ha mostrato i cambiamenti nella corteccia cerebrale, soprattutto delle ragazze. «Ringiovanire, però, si può», rassicura il neurologo

La pandemia di Covid ha fatto invecchiare più rapidamente il cervello degli adolescenti e in particolare delle ragazze. A dirlo è il risultato di uno studio americano, condotto da un team dell’Università di Washington a Seattle. La ricerca, quindi, mostra nuovi effetti collaterali dell’emergenza sanitaria che ha portato a un lungo periodo di lockdown e isolamento, soprattutto nei giovani. Ma come mai ad essere più colpite sono le femmine?

Il Covid e il cervello degli adolescenti

Lo studio dei ricercatori statunitensi è partito dal confronto delle scansioni cerebrali di due gruppi di adolescenti, uno effettuato nel 2018 e l’altro nel 2021, quindi prima e dopo la pandemia. Nel primo caso si erano analizzati ragazzi e ragazze di 9, 11, 13, 15 e 17 anni, in particolare valutando i cambiamenti della corteccia tra i 9 e i 17 anni. Lo stesso tipo di indagine è poi stata ripetuta su un campione analogo per età ed estrazione sociale, 4 anni dopo. Si è visto che il cervello del secondo gruppo aveva subito un processo di assottigliamento della corteccia, indice di invecchiamento dell’organo, maggiore rispetto al primo. Le ragazze, inoltre, hanno mostrato una riduzione in ben 35 aree del cervello invece delle sole 3 dei ragazzi. Si tratta soprattutto di quelle deputate all’elaborazione dell’informazione visiva (in particolare dei volti).

Perché le ragazze sono più colpite?

Il motivo sarebbe sa ricercare nella maggiore propensione (e bisogno) femminile di una rete sociale. «Le donne fanno molto più affidamento sulla loro rete sociale per costruire l’identità personale e per il supporto emotivo», ha spiegato la curatrice dello studio Neva Corrigan, neuroscienziata esperta di imaging medico (diagnostica per immagini). «Probabilmente durante la pandemia l’isolamento ha avuto un effetto più dannoso sul cervello femminile semplicemente perché le donne sono più inclini alle relazioni tra pari, così cruciali per il loro sviluppo cerebrale», ha aggiunto.

L’isolamento fa invecchiare il cervello

Che il cervello subisca gli effetti dell’isolamento sociale, specie con un maggior decadimento, non era una novità. Non a caso uno dei fattori che incidono su alcune demenze è legato proprio al diminuire delle relazioni sociali in età avanzata. In questo caso, però, sono stati studiati i giovani, sui quali si erano già individuati alcuni effetti del lockdown in termini di stress e disturbi di salute mentale. «Sicuramente la pandemia da COVID-19 ha prodotto stress e disagi significativi ai giovani, con danni alla loro salute mentale e al loro sviluppo neurologico», conferma Gennaro Barbato, neurologo presso il centro di Cure Primarie della ASL NAPOLI2 Nord, specializzato in malattie neurodegenerative e autore di Almanacco del paziente parkinsoniano.

Cosa fa male al cervello

L’isolamento sociale, però, non è l’unico fattore che incide sulla salute del cervello. Gli esperti ricordano come anche alcuni traumi subiti in età precoce, come l’abbandono o l’incuria, possano influire sulle performance cerebrali. È in quest’ambito che si inserisce anche l’effetto del lockdown. «Una ricerca condotta prima della pandemia aveva già messo in evidenza come l’esposizione ad avversità nel corso della prima infanzia, tra cui violenza, abbandono e forti contrasti familiari, è associata non solo ad un danno alla salute mentale, ma anche ad esiti disadattativi dello sviluppo neurologico, che indicano una maturazione precoce o un invecchiamento accelerato del cervello», sottolinea Barbato.

I traumi modificano la corteccia cerebrale

Nello specifico, «lo spessore corticale, che diminuisce con l’età, si riduce ancor prima nei giovani che vivono queste esperienze di avversità nell’infanzia e questo divario dell’età cerebrale è indicativo di un invecchiamento accelerato (cioè, un’età cerebrale superiore all’età cronologica) – spiega il neurologo – A causa dell’isolamento sociale e del distanziamento durante la pandemia, praticamente tutti i giovani hanno fatto esperienza di avversità sotto forma di un importante e significativo allontanamento dalla loro normale routine. Inoltre, i problemi economici della famiglia, le minacce alla salute fisica e l’esposizione ad una maggiore tensione familiare hanno rappresentato per tutti problemi molto comuni».

Il cervello è invecchiato come accade dopo i traumi

«Dopo la chiusura dovuta alla pandemia, gli adolescenti hanno presentato più problemi di internalizzazione (quindi ansia, depressione, aspetti ossessivi), ma anche quelli di esternalizzazione (rabbia, aggressività, disturbo della condotta). Le scansioni di risonanza magnetica cerebrale hanno evidenziato che le aree coinvolte nella memoria e nelle emozioni -ippocampo e amigdala negli adolescenti pre-COVID – erano più spesse, mentre la corteccia frontale-coinvolta nelle funzioni esecutive e nella risoluzione dei problemi era più sottile. Questi cambiamenti sono normali nel corso dello sviluppo del cervello ma, in media, il cervello degli adolescenti che hanno vissuto il lockdown è progredito in 10 mesi quanto avrebbe dovuto farlo in circa 3 anni. Come detto, questo avanzamento rapido (o, se vogliamo, invecchiamento precoce) è simile ai cambiamenti che avvengono nel cervello degli adolescenti che sperimentano brutte esperienze in età infantile», prosegue l’esperto.

La routine può ringiovanire il cervello

A rassicurare soprattutto i genitori di teenagers che hanno vissuto i mesi di isolamento sociale, è però ancora l’esperto, che conferma: «Il processo è certamente reversibile, se si parla di giovani in pieno sviluppo, quindi per quel che concerne l’assottigliamento del mantello corticale». Significa che le funzioni cerebrali superiori non sono “perse”: «In questo caso, quindi quando i sintomi sono “limitati” e non si presentano disturbi psichici più severi, cioè nella maggior parte dei casi, è sufficiente il ritorno ad una normale e buona routine quotidiana», aggiunge ancora Gennaro Barbato.

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