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Frattura del femore: cosa c’è da sapere

Nonostante sia l’osso più robusto dello scheletro, il femore è sede frequente di fratture. Ecco cosa ci ha spiegato l’esperto

Situato nella coscia, il femore è l’osso più lungo e più forte del corpo umano. A grandi linee, questo osso è composto da una parte lunga e diritta chiamata asta femorale, dall’estremità superiore (testa o collo del femore) che costituisce i due terzi dell’articolazione dell’anca, e dall’estremità inferiore che comprende alcune formazioni anatomiche che fanno parte dell’articolazione del ginocchio.

Pur essendo molto robusto, il femore è sede frequente di fratture, causate molto spesso da incidenti automobilistici o motociclistici oppure, soprattutto negli anziani con fragilità ossea, dalle cadute da posizione eretta.

Ecco cosa ci ha spiegato il dottor Roberto Abba, Responsabile Unità Ortopedia I, Istituto Clinico Beato Matteo, a proposito di questo evento traumatico.

Perché la frattura del femore fa più paura rispetto ad altre tipologie di fratture?

Le fratture sottocapitate del femore, quelle che consideriamo più frequenti nei pazienti adulti rispetto a quelle dei grandi anziani, sono intracapsulari (avvengono cioè all’interno della capsula articolare dell’anca) e possono danneggiare la vascolarizzazione della testa del femore.

Una frattura scomposta della testa del femore interessa infatti tutte quelle strutture che normalmente la mantengono vascolarizzata: danneggia i vasi sanguigni del collo femorale, lacera i vasi sanguigni della capsula articolare e del legamento rotondo.

Ciò aumenta il rischio di osteonecrosi della testa del femore: ovvero se non si interviene rapidamente può mancare un corretto apporto di sangue e ossigeno all’osso, la frattura non può saldarsi e la struttura ossea può deteriorarsi irrimediabilmente.

Qual è il protocollo terapeutico seguito in caso di frattura al femore?

Occorre considerare il tipo di frattura. Se la frattura non è scomposta, le indicazioni chirurgiche diventano conservative e si interviene tramite un’osteosintesi metallica: il chirurgo, cioè, grazie ad alcuni dispositivi come placche o viti, stabilizza la frattura: una volta rimesse in contatto le parti ossee, si formerà un “callo osseo” che le rinsalderà. Nei casi invece di frattura scomposta si deve ricorrere alla sostituzione protesica.

Solitamente, l’intervento che più frequente si utilizza è l’endoprotesi di anca cementata (è costituita solo da uno stelo e da una sfera che va a sostituire la testa del femore), la quale garantisce un recupero più rapido nel postoperatorio: il paziente può cominciare a deambulare già due o tre giorni dopo l’intervento, cosa molto importante nei pazienti anziani, in cui l’allettamento può causare diverse complicanze.

In alcuni casi si può ricorrere anche alla protesi totale (comprende sia la parte di femore, sia l’acetabolo, cioè l’incavo dove la testa del femore si inserisce), preferita nei pazienti di età più giovane, data la loro migliore qualità ossea.

Quali sono i tempi di recupero? 

Il decorso post operatorio prevede la scomparsa praticamente immediata del dolore legato alla frattura e la possibilità di una mobilizzazione precoce. L’uso delle stampelle in pazienti non anziani può essere “in carico”, appoggiando cioè il piede, e può durare anche solo 30 o 35 giorni.

La mobilizzazione dell’articolazione dell’anca non richiede particolare fisioterapia, ma l’aiuto della cyclette rimane una componente integrante per il recupero del movimento.

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