Le Mamme Coraggio di Acerra

L’inquinamento uccide i nostri figli: le denunce delle mamme d’Italia

Nasce Storie resilienti, un progetto multimediale per la tutela della salute e dell’ambiente, realizzato dalla giornalista autrice di questo articolo, che abbiamo pubblicato tempo fa. Vi invitiamo a rileggerlo e a sostenerla grazie al crowdfunding

Storie resilienti è un bel progetto multimediale che racconta le lotte “dal basso” per la tutela della salute e dell’ambiente. La giornalista Rosy Battaglia, fondatrice dell’associazione Cittadini reattivi, ha documentato per 4 anni l’impegno degli abitanti di Brescia e di Casale Monferrato per bonificare le loro città da diossine e amianto.

Finora ha realizzato 2 video (si possono vedere su YouTube), ma le storie da raccontare sono tante e importanti. Da qui l’idea di una campagna di crowdfunding per raccogliere 15.000 euro necessari a produrre 2 documentari e un ebook. Anche voi potete sostenere il progetto, facendo una donazione minima di 5 euro sulla piattaforma Produzioni dal basso. Il link è www.produzionidalbasso.com/project/storieresilienti- duedocumentari-un-ebook-un-festival.

Ecco le storie delle Mamme Coraggio che la giornalista ha raccolto girando l’Italia. Mamme che lottano per la tutela dell’ambiente e la salute dei loro figli, in un paese in cui ci sono ben 15mila siti inquinati.  


Quando si mobilitano non ce n’è per nessuno. Attive 24 ore su 24, dal Nord al Sud Italia si moltiplicano i gruppi di mamme che da qualche anno hanno deciso di metterci la faccia per tutelare la salute dei propri figli e l’ambiente in cui vivono. In modo fermo e pacifico, con fantasia e fermezza hanno attirato l’attenzione dei media su temi per cui la società civile attiva si batte da decenni, spesso inascoltata. Usano Facebook e scendono in piazza. Fanno informazione, studiano e si documentano. Con un obiettivo preciso: salvaguardare il futuro delle nuove e delle future generazioni e chiedere conto ai sindaci, prima autorità sanitaria per i cittadini, enti di controllo e politici. Perchè le “Terre dei fuochi”, nel Bel Paese contaminato tra impianti industriali attivi e dismessi, discariche, centrali a carbone, acciaierie e petrolchimici, sono tante, troppe.

Di oltre 15 mila siti inquinati sparsi per tutta la penisola, ben 57, i cosidetti “SIN”, “Siti di Interesse Nazionale” e SIR “Siti di Interesse regionale” individuati dal Ministero dell’Ambiente con appositi decreti, dovrebbero avere una priorità di bonifica, sulla base della grave contaminazione ambientale, del rischio e dell’impatto sanitario e dell’allarme sociale conseguenti. Aree su cui vivono, secondo il Ministero della Salute, almeno  oltre cinque milioni e mezzo di persone. Un milione di essi sono minori. Ma come ha ricordato l’Istituto Superiore di Sanità proprio “i bambini sono particolarmente vulnerabili rispetto all’inquinamento ambientale”. Dato ribadito dalll’Organizzazione Mondiale della Sanità in un recentissimo rapporto che conferma la forte correlazione tra salute mancata delle nuove generazioni e inquinamento.

Una migliore gestione dell’ambiente potrebbe salvare la vita ad almeno un milione e 700 bambini, al di sotto dei cinque anni, nel mondo. Bambini che, secondo lo Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti esposti a rischio da inquinamento, detto SENTIERI Kids, progetto in attesa di finanziamenti ad hoc dal Ministero della Salute, curato dallo stesso ISS e da AIRTUM, l’Associazione Italiana Registri Tumore, hanno un rischio di mortalità del 4-5% più elevato, rispetto ai rispetto ai loro coetanei che non vivono su siti inquinati.

Le Mamme Coraggio di Acerra

Le Mamme Coraggio di Acerra

Ad Acerra, nel mezzo di quell’area vastissima soprannominata “Terra dei Fuochi”, che comprende oltre 55 comuni nelle province di Napoli e Caserta, nell’area del SIN – SIR Litorale Domizio-Flegreo e Agro Aversano, nel 2014 sono nate le Mamme Coraggio. Si sono mobilitate sia contro i “fuochi”, i roghi tossici alimentati dal traffico di rifiuti illecito gestito dalla camorra, sia per evitare che le ecoballe tossiche di Eboli, effetto snaturato dell’emergenza rifiuti campana, vengano bruciate nella loro città, nel più grande inceneritore del Sud Italia. Il paradosso è che Acerra è un comune “riciclone”, con una raccolta differenziata al 65%, ma l’aria che si respira è davvero pesante. Tra cementifici e roghi, i valori delle micropolveri, dal PM2,5 al PM10 sono spesso alle stelle. Una situazione ambientale che ha ricadute sulla qualità della vita soprattutto dei più piccoli, secondo i dati dell’ISS del 2014. “dall’eccesso di ricoveri del 51% per tutti i tumori e del 45% per la leucemia per i bambini nel primo anno di vita e l’incidenza dei tumori del sistema nervoso centrale più che raddoppiata per i ragazzi fino a 14 anni”.

“Ma noi non vogliamo essere vittime, soffrire in silenzio e vedere ammalare i nostri figli, vogliamo riprenderci la nostra città” raccontata Giovi Altobelli, mamma di due bimbi rispettivamente di due mesi e due anni, 40 anni, agente di commercio. Anche durante la gravidanza non ha esitato a scendere in strada per raccogliere i pneumatici abbandonati.  E i bambini ne seguono l’esempio “Mio figlio fa già la raccolta differenziata”. Con la fantasia e tanto colore le Mamme Coraggio hanno trasformato bottiglie di plastica in addobbi per gli alberi di Natale e gomme d’auto abbandonate in rastrelliere per le bici e fioriere, arredando così il giardino della scuola di Acerra. “E siamo state perseguibili di reato perché abbiamo raccolto per strada rifiuti pericolosi abbandonati”. Non sono state denunciate, anche perché così facendo hanno riutilizzato materiali destinati ad alimentare, altrimenti, i roghi delle ecomafie. Per questo continuano imperterrite: “Impossibile non fare nulla, quando in un comune di 60 mila abitanti l’incidenza di un tumore raro e maligno come il medulloblastoma, che può colpire il cervello dei bambini dai due ai sette anni, è triplicata- denuncia Giovi. Ad Acerra si sono contati tre casi in un anno, contro gli stimati 0,5 casi ogni 100.000 bambini.

“Mia figlia è una piccola guerriera come me- racconta con il sorriso sulle labbra e una forza radiosa Antonella Moccia, 53 anni, due figlie di sette e quindici anni- e continua a combattere, dopo aver affrontato chemio, radioterapia e due trapianti di midollo.

Cosa chiedono le mamme Coraggio? Bonifiche, prevenzione e indagini epidemiologiche. “Vogliamo vivere con i nostri figli in un ambiente pulito, non sentirci abbandonate dalle istituzioni: possiamo aumentare ancora la raccolta differenziata e smettere di incenerire” conclude Giovi. “Già mobilitandoci con il nostro gruppo di sedici mamme siamo riuscite a innescare una presa di coscienza collettiva e finalmente siamo ascoltate anche dal nostro sindaco: come diciamo sempre, anche nei momenti di difficoltà cia putimm fa’”.

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Le Mamme di Castenedolo - Brescia

Le mamme di Castenedolo

Anche il nord Italia ha la sua “Terra dei fuochi”: la provincia di Brescia, dove sono interrati quasi 60 milioni di metri cubi di rifiuti e veleni. Un territorio ricolmo di discariche autorizzate e abusive, impianti industriali ad alto impatto ambientale e il più grande inceneritore d’Europa attivo dal 1998. Qui sono attive, tra i tanti movimenti antinocività, le Mamme di Castenedolo. “Siamo state soprannominate le Mamme Volanti – racconta Raffaella GIubellini, decana del gruppo, 46 anni,  mamma di due ragazze di 13 e 15 anni – per via dell’aereo che abbiamo utilizzato per riprendere dall’alto cosa avveniva nella nostra pianura, tra cave he troppo spesso diventano discariche”.

In realtà, sono una decina di donne e cittadine con i piedi ben piantati per terra e impegnate in un’opera costante di sensibilizzazione, che va dall’organizzazione di cineforum sui temi ambientali alla promozione della raccolta differenziata. Vogliono che il loro diventi un Comune Virtuoso “Tutto è iniziato nel 2010 quando l’amministrazione comunale si ritrovò a tagliare in modo consistente le ore di assistenza ad-personam ai bambini disabili nella scuola, dall’altro a caldeggiare la creazione di una nuova discarica per poter rimpinguare le casse comunali, a cui ci siamo opposte, cercando di capire come non svendere il nostro territorio”.

Da allora non si sono mai fermate, alla ricerca di buone pratiche da importare nel loro paese. “Abbiamo tantissima “carne al fuoco”- precisa Rosa Cerotti, 52 anni, madre di due ragazzi di 13 e 10 anni – siamo impegnate nel tavolo di lavoro “BASTA VELENI” che ha coinvolto oltre 40 comitati, associazioni e gruppi della società civile bresciani, per chiedere una moratoria alla Regione Lombardia contro discariche ed emissioni nocive”. In questa parte della provincia, oltre veleni e rifiuti interrati, la qualità dell’aria è pessima per via di impianti industriali e il più grande inceneritore d’Europa, che dovrebbe arrivare a bruciare quasi un milione di tonnellate di rifiuti urbani e speciali. Così per l’acqua: la falda acquifera è contaminata da metalli pesanti come il cromo esavalente: metallo cancerogeno utilizzato per i bagni galvanici di molte lavorazioni (armi, pentole, rubinetti) proveniente dagli scarichi delle fabbriche della Val Trompia. Sia a Brescia sia in provincia i bambini hanno dovuto ciclicamente bere acqua in bottiglia, fino agli interventi di depurazione che hanno riportato i limiti entro la norma. Diossine e PoliCloroBifenili (PCB), poi, sostanze organiche anch’esse cancerogene, prodotte dall’industria Caffaro, hanno contaminato due interi quartieri di Brescia, tra cui i terreni di parchi pubblici e scuole. Veleni che venivano scaricati nelle rogge che andavano ad irrigare i campi e che sono entrate nel ciclo alimentare di animali e umani, come attestano diversi studi internazionali, fino a contaminare il latte materno.

Secondo una serie di campionamenti di ARPA Lombardia nel 2015, la falda acquifera freatica continua ad alzarsi di livello e a entrare in contatto con i terreni avvelenati dalle sostanze cancerogene, dentro e fuori città. Ma se la Caffaro è stata designata dal 2002 Sito di Interesse Nazionale per la bonifica dal Ministero dell’Ambiente, il processo di risanamento vero e proprio va al rilento. Un disastro ambientale che ha ricadute sulla salute di bambini e adulti, per lungo tempo negato dalle stesse istituzioni sanitarie locali. Non dall’Istituto Superiore di Sanità e dell’Associazione Italiana dei Registri Tumori, che nel  2014 nel rapporto SENTIERI hanno ribadito eccessi su diversi tipi di tumore, tra cui l’incremento di quelli che sono legati all’esposizione a diossine e ai PCB come melanomi cutanei (uomini + 27%, donne + 19%), i linfomi non-Hodgkin (uomini + 14%, donne + 25%) e i tumori della mammella (donne + 25%).

Anche per questo, da vere mamme reattive non demordono. “Abbiamo progettato insieme agli insegnanti, agli esperti e ai medici dell’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (ISDE) un percorso didattico-scientifico per far comprendere in cosa consiste l’inquinamento, per i ragazzi delle prime medie” conferma Rosa Cerotti. “Usiamo i Social Network, siamo entrate in contatto con gli altri gruppi di mamme sparse per tutta la penisola- continua. Abbiamo visto la forza della mobilitazione dei cittadini campani e ci piacerebbe che anche nella nostra martoriata regione si possa  raggiungere un livello di partecipazione così alto. Dobbiamo far sentire la nostra voce”. E il 10 aprile a Brescia ci sarà la manifestazione nazionale per dire “basta veleni”.

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Genitori tarantini

I Genitori Tarantini

“I bambini di Taranto vogliono vivere”. La scritta stampata sullo sfondo la veduta dei fumi notturni dell’acciaieria ILVA è apparsa tra gennaio e marzo sui cartelloni pubblicitari nelle strade più trafficate della città. L’iniziativa è nata del gruppo dei Genitori Tarantini, attivi dallo scorso anno. Un movimento trasversale a tutta la società civile tarantina, composto da oltre 80 mamme e papà, impegnata da lungo tempo nel denunciare i danni del polo industriale che ha portato diossine e metalli pesanti nel ciclo alimentare, come denunciò già nel 2008 Peacelink, storica associazione impegnata da sempre sui temi della pace, dell’ambiente e monitoraggio civico, portando in Procura un campione di pecorino alla diossina, provocando l’inizio delle indagini che poi sfociarono nel 2012 nel sequestro dello stabilimento ILVA per disastro ambientale e diedero il via al processo “Ambiente Svenduto” contro i proprietari dell’acciaieria, la famiglia Riva, e controllori dei ministeri, politici ed amministratori pubblici.

Le diossine vengono prodotte durante processi termici industriali, così come avviene in ILVA,  trasportate dal vento si vanno a depositare sull’erba, sul terreno e nell’acqua. Dal terreno e dalle piante, le diossine risalgono la catena alimentare accumulandosi nel tessuto adiposo degli animali e dell’uomo. Le ricadute sanitarie sono fortissime su tutta la popolazione e soprattutto sui più piccoli. Danni irreversibili documentati dal Rapporto Sentieri dell’ISS che le cosiddette opere di “bonifica e ambientalizzazione”, cioè di ripristino ambientale delle aree più contaminate, a ridosso dell’acciaieria, come il quartiere Tamburi, non possono cancellare. I bambini di Taranto si ammalano di cancro il 54% in più rispetto ai loro coetanei del resto della Puglia, e la mortalità in età pediatrica (0-14 anni) è aumentata del 21% rispetto alle medie regionali. Eppure le emissioni tossiche continuano. Dati confermati dalla stessa ILVA, ad ARPA Puglia il 24 febbraio 2016,  con uno studio del Politecnico di Torino. A novembre 2014, all’insaputa della popolazione, la centralina del quartiere Tamburi, il più vicino all’impianto siderurgico, ha registrato un valore medio giornaliero di 791 picogrammi al metro quadro rispetto a un ‘valore soglia’ che si attesta tra 15 e 20 picogrammi.

Alla Scuola Grazia Deledda ai Tamburi, dove il parco scolastico è coperto ancora da teloni che dovrebbero isolare i bambini dal contatto con il terreno contaminato, continua a depositarsi veleno. “Con il nostro manifesto abbiamo dichiarato una cosa apparentemente ovvia: ma non è così. Cosa vuol dire essere mamma a Taranto oggi? Vuol dire vivere nell’angoscia, tra la polvere metallica che resta appiccicata ai piedini dei bambini e il terrore di una malattia. Chi lo guarda, deve capire la nostra sofferenza” afferma Alessandra Chiusco,43 anni insegnante, madre di quattro bambini tra i due e gli sette anni. “Io abito in centro a Borgo, d’estate non posso chiudere le finestre per il caldo. La sensazione è quella del veleno che entra impertubabile nelle nostre case e non possiamo fare nulla per proteggere i nostri figli”.

E così mentre la magistratura ha rinviato a giudizio 47 imputati per il processo “Ambiente Svenduto” lo scorso 29 febbraio, l’appello delle mamme e dei genitori tarantini è unanime: “Vogliamo la riconversione, vogliamo sapere se possiamo allattare i nostri bambini senza avvelenarli”.  Secondo la  prescrizione AIA numero 93 doveva essere esaminato il contenuto di diossine e PCB nel latte materno, ma come conferma a Donna Moderna la pediatra Anna Maria Moschetti, “siamo ancora in attesa dei risultati”.  Intanto, sui valori anomali di diossina, il sindaco di Taranto, Ipazio Stefano ha chiesto un’indagine ministeriale, lo scorso 7 marzo.

La rabbia è esplosa anche tra chi, fino a poco tempo fa, non si interessava di salute e ambiente. “Nel 2012 con l’iniziativa giudiziaria e il sequestro dell’impianto, molti hanno iniziato a capire”. Così la storia di Mariadelia Picuno, 46 anni, casalinga madre di tre ragazzi di 18, 14 e 11 anni. “Nel 2012 mio figlio maggiore si è ammalato di sarcoma. Ha fatto chemio e radioterapia ma a Bologna, perchè questo tipo di protocollo oncologico pediatrico non era possibile a Taranto, In quel momento Mariadelia ha capito che non era un “caso della vita”. “Proprio a Bologna i medici mi hanno confermato che il tipo di tumore è associato all’esposizione di diossine e in reparto con Leoluca c’erano tanti bambini provenienti da Brescia”. Oggi Leoluca è maggiorenne, ha superato l’asportazione del polpaccio, ma sta bene e affronta con il sorriso i controlli medici ogni sei mesi. E alle sue parole non c’è niente da aggiungere: “Se davvero le istituzioni hanno a cuore il nostro futuro, la fabbrica dovrebbe chiudere e dovremmo puntare all’oro di Taranto: la nostra cultura, la nostra bellezza”.

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Le Mamme no MUOS a Caltagirone

Le Mamme No Muos

“Siamo seriamente preoccupate per il futuro dei nostri ragazzi”. La voce unanime è di tre Mamme No MUOS da Caltagirone: Samanta Cinniriella, Monia La Iacona, Marianna Garofalo. Mamme impegnate nella mobilitazione siciliana contro il  M.U.O.S. (Mobile User Objective System) il sistema di telecomunicazioni satellitare della marina militare statunitense, dotato di tre grandi parabole del diametro di 18,4 metri e due antenne alte 149 metri, installato in Sicilia. L’impianto dovrebbe essere utilizzato per il coordinamento di tutti i sistemi militari statunitensi dislocati nel globo, in particolare i droni, aerei senza pilota che hanno preso a volare dalla base di Sigonella ed è stato costruito in base ad un accordo tra il Ministero della Difesa Italiano e Dipartimento della difesa degli Stati Uniti d’America. “Inizialmente l’impianto era stato previsto a Sigonella, ma proprio uno studio americano ha attestato come le onde rischiassero di far esplodere gli armamenti presenti nella base americana: figuriamoci le conseguenze per la salute umana” ribadisce Marianna, riportando il parere dei periti di parte del Movimento No Muos.

“Un impianto enorme che vi invitiamo a vedere con i vostri occhi” dicono le mamme. Loro lo hanno fatto e, arrampicandosi sulla collina della Sughereta di Niscemi, hanno capito che dovevano fare qualcosa.  Dopo il blocco stradale popolare del 2013 sono passate anche alle “carte bollate”. Hanno scritto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo scorso settembre. “Appellandoci ad uno Stato che dovrebbe proteggerci, tutelarci e tenere vivi i valori della nostra Costituzione”. A febbraio hanno presentato un esposto contro gli autori della perizia, su carta intestata dell’Università di Palermo che nel 2011 aveva affermato che il sistema di trasmissione MUOS situato a Niscemi non comportava condizioni di rischio per la salute dell’uomo. Intanto le onde elettromagnetiche ad alta frequenza irraggiano già il territorio tra Niscemi e Caltagirone, in quanto sono già attive 46 antenne sempre di proprietà della Marina statunitense, oltre una a bassa frequenza. La sughereta di Niscemi è stata rasa al suolo. “Certo, a volte mi sembra di essere una marziana, rispetto a tante altre madri, perché lotto verso un nemico invisibile- racconta Marianna, 40 anni con due figli di 13 e 5 anni e un lavoro come grafica- ma proprio i nostri ragazzi sono orgogliosi di quanto stiamo facendo”.

“Siamo state denunciate per aver manifestato pacificamente contro questa installazione- racconta Samanta, educatrice di 46 anni e madre di una ragazza di 13 anni- per l’occupazione della base americana- e la pressione psicologica è fortissima”.

Pressione che abbiamo constatato recandoci in contrada Ulmo, dove è installato il M.U.O.S. insieme a Marianna Garofalo. Fermo immediato e controllo documenti durato due ore da parte dell’Esercito Italiano e della Polizia di Stato. “Ma noi insistiamo, abbiamo diritto alla mobilità e allo sviluppo sano del territorio, così come alla pace e alla nostra sicurezza”.

“Qui ci conoscono tutti- ribadisce Monia Lo Iacono- segretaria di uno studio legale, 40 anni e due figli uno di 13 e uno di 5 – e ci sostengono. Anche per questo andiamo avanti”.  Intanto per effetto della decisione della sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa di Palermo, il M.U.O.S è stato acceso per la prima volta dal 9 all’11 marzo, accogliendo il ricorso del Ministero della Difesa contro Regione Sicilia, il Comune di Niscemi, Ragusa, Modica e Gela, le stesse Mamme No Muos , Legambiente e Wwf e tanti altri comitati, proprio per misurare l’intensità delle onde elettromagnetiche. Sulla carta gli impianti non dovrebbero superare i livelli consentiti dalla legislazione italiana in materia di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici. Ma allo stato dei fatti, ricostruiti dalla magistratura, l’impianto è stato costruito illegalmente e, come anche lo studio dell’ISS ha riportato, su misurazioni teoriche da verificare. A ribadire che i lavori del Muos sono stati realizzati senza la necessaria autorizzazione in un’area di inedificabilità assoluta e in violazione del decreto che ha istituito la riserva Sughereta di Niscemi, è stata la Procura di Caltagirone, che il 7 marzo 2016 ha chiuso le indagini preliminari, citando in giudizio sette persone. E dal 10 marzo il M.U.O.S: è ufficialmente sotto sequestro per effetto della sentenza della Corte di Cassazione di Caltanissetta con cui ha rigettato il ricorso presentato dall’Avvocatura dello Stato, per conto del Ministero della Difesa, che rileva il verdetto, è stato disposto “con finalità di salvaguardia dell’ambiente e della salute degli abitanti”.

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Le Mamme del Passeggino Rosso di Brindisi

Le Mamme del Passeggino Rosso

“Ci si alza al mattino, il primo pensiero è: che vento c’è?”  Ornella Tarullo, 58 anni e due figli grandi di 31 e 27 anni, già attivista nelle mamme del Passeggino Rosso, che si sono battute a lungo contro le emissioni fuori controllo del Petrolchimico di Brindisi e della Centrale a Carbone Federico II di Cerano, parla con profonda consapevolezza di un territorio devastato, contaminato. Mostra sulla cartina un’area vastissima, grande cinque volte la città di Brindisi, proprio a ridosso del centro storico. L’area del petrolchimico è Sito di Interesse Nazionale, con una discarica di rifiuti tossici che l’immagine del satellite restituisce bianca, desertica. “E’ la discarica di Micorosa, 44 ettari di rifiuti tossici”. Accanto il Parco naturale Riserva delle Contesse. “In queste zone sacrificate all’industria, nessuna donna ha mai messo piede. Io invece l’ho fatto e ho documentato nel mio blog le “spiagge sequestrate”, la bellezza di un territorio sottratto ai brindisini, forse, per sempre”.

“Quello che vedete nel paesaggio si trasforma in malattia. La torcia di emergenza del Petrolchimico (Versalis, la società del gruppo Eni) dovrebbe sfiammare solo sporadicamente. Invece così non è. Abbiamo documentato con immagini e foto episodi giornalieri, fino a sporgere denuncia alla Digos, noi come le altre associazioni brindisine. Ad oggi siamo inascoltate”. Paola, sorella di Ornella, 54 anni, un figlio di 18 anni, risiede in centro storico in linea d’aria a ridosso del Petrolchimico e fa da vedetta. “Ogni volta le centraline non danno nessun rilievo, ma quello che noi vediamo, è spaventoso, sono fiamme alte fino a venti metri”.

Una terra che a dispetto della sua bellezza ha una pressione ambientale fortissima: “Se ogni azienda ha le sue emissioni in regola, non si è mai calcolata la pressione totale, così come una valutazione complessiva del Danno Sanitario” sottolinea Ornella. Intanto, però, gli studi dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Lecce e Pisa, hanno stabilito “prove dell’associazione tra l’esposizione materna all’anidride solforosa (SO2) e difetti cardiaci” il 17% in più rispetto al dato riportato dal registro europeo EUROCAT. E le anomalie cardiovascolari in eccesso sono ben il 49%.

“Abbiamo fondato un movimento di mamme molto attivo, credevamo che un movimento femminile avesse una forza comunicativa maggiore. Abbiamo cercato un confronto con le istituzioni ma siamo state tradite. Il sindaco Consales aveva preso degli impegni, ma oggi è in carcere, per un’indagine su tangenti e rifiuti”.

Intanto, la sovraesposizione del Salento ai fumi industriali dell’Ilva di Taranto e della centrale Enel di Brindisi ha portato per la prima volta l’Asl di Lecce, lo scorso febbraio, a mettere per iscritto la necessità di non usare più carbone. “Nessuno ci chiede cosa vorremmo avere: noi vorremmo una riduzione delle emissioni, oltre un sostegno alle cure– l’appello accorato di Ornella e Paola- Ma senza le prime tutto il resto è inutile. Abbiamo bisogno di un progetto per il futuro, anche per evitare la fuga dei nostri figli”.

Le Mamme per la vita di Saponara, Milazzo

Le Mamme per la Vita

“Siamo Mamme per la Vita, non abbiamo interessi politici ed economici, se non la salute dei nostri figli”.  Rossana Giacobbe, 34 anni, mamma di due bimbi di cinque e tre anni vive nel paese di Saponara, in provincia di Messina. A poche centinaia di metri dalla sua casa sono stati installati da Terna i piloni della nuova linea elettrica che dovrebbe collegare Rizzìconi (Reggio Calabria) con Sorgente (Messina), dove c’è la vecchia grande centrale A2A di San Filippo del Mela, a Milazzo..

“La nuova linea elettrica è stata tracciata sui nostri Monti Peloritani, Riserva Naturale e Sito di Interesse Comunitario” racconta Rossana. Un piccolo angolo di paradiso naturale in una zona fortemente compromessa dal polo industriale di Milazzo, già sito di interesse nazionale. Violato, ignorando i vincoli del Piano Paesaggistico approvato dalla Regione Siciliana. Motivo per cui è in corso un processo presso il Tribunale di Messina contro Terna e per gli ex dirigenti della Soprintendenza di Messina, per le “presunte violazioni commesse in relazione alla costruzione dell’elettrodotto”.  La prossima udienza sarà il 3 maggio 2016.

La paura delle mamme e delle associazioni locali è quella che le linee ad alta tensione possano violare i limiti già previsti dalla legge italiana per l’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, visto che è stato collocato a pochi metri da acquedotti, a poca distanza da scuole, asili nido, impianti sportivi, abitazioni civili e sovrasta terreni agricoli. Una paura che si accompagna al già alto tasso di tumori, in questa parte della Sicilia. A Saponara non mancano i casi di bambini: “Mia figlia si è ammalata di leucemia, ma è stata fortunata, perchè ha subito il trapianto del midollo donato dal fratellino” ci racconta Caterina Cardullo, 45 anni e due figli di 17 e 15 anni anche lei attiva nel gruppo delle Mamme per la Vita.“La Valle del Mela è già stata decretata dal Ministero dell’Ambiente, Sito di interesse nazionale e dalla stessa regione Zona ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale- ricorda Rossana- paghiamo già un prezzo altissimo per respirare quest’aria inquinata”.  

Uno studio di biomonitoraggio dell’Università di Messina, ha rilevato la contaminazione di metalli pesanti come il cromo e il cadmio, in grado di interferire sullo sviluppo endocrino, proprio tra i bambini di Milazzo e della Valle del Mela.

A quindici minuti di auto, la Raffineria di Milazzo, la centrale termoelettrica ad olio combustibile e una serie di industrie a rischio di incidente rilevante. Ed è proprio sul sito della centrale elettrica Edipower a San Filippo del Mela che si sta pensando di costruire un mega impianto di incenerimento, a cui un referendum tra le popolazioni dei comuni della Valle ha già detto no. Ma le Mamme per la Vita non stanno a guardare. “A Saponara si fa la raccolta differenziata e stiamo progettando i laboratori nelle scuole per insegnare ai bambini l’arte del riciclo”. Non si sentono tutelate dalle istituzioni che dovrebbero proteggerle ma non si arrendono. “Combattiamo la rassegnazione. Non ci stiamo a veder ammalare i nostri figli”.

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Le Mantua Mothers di Mantova

Le Mantua Mothers

A Mantova, intanto, piccoli tecnici ambientali crescono. L’idea di trasformare i bambini della scuola primaria e della prima media in “cittadini monitoranti” è venuta alle Mantua Mothers, gruppo di sette mamme attive dal 2013 nella città capitale di cultura, ma tra le più inquinate d’Italia, per il suo comparto industriale, sede anch’essa di un Sito di Interesse Nazionale ancora tutto da bonificare.

“Con il progetto “ImpARIAmo” realizzato dal nostro braccio operativo Informamy, sei scuole mantovane hanno avuto in dotazione un apparecchio portatile per misurare il particolato– racconta Eliana Francescon, 39 anni e mamma di una bimba di sei anni- da un lato per capire la qualità dell’aria intorno alle scuole, dall’altra per rendere i bambini più consapevoli del problema”. Così i ragazzi insieme alle insegnanti rilevano tutti i giorni le concentrazioni di PM2,5 e PM10.  “Ogni classe può scaricare i dati raccolti su PC e realizzare grafici per capire la qualità dell’aria

Una collaborazione tra mamme, ragazzi, scuole e un’impresa (la B2F di Mantova) nel segno dell’innovazione sociale e ambientale, nella città che sempre secondo lo Studio Sentieri KIDS ha visto, tra industrie metallurgiche, cartarie, petrolchimico, discariche, salire l’incidenza di mortalità dei bambini nel primo anno di vita del 64% e del 23% in età pediatrica fino ai 14 anni, come già denunciato anche da AIRTUM, l’associazione nazionale Registri Tumori. Dati drammatici alla quale le madri mantovane tentano di rispondere con buone pratiche concrete, come la mobilità sostenibile. Andare a piedi a scuola è una piccola rivoluzione e aiuta a migliorare sensibilmente la qualità dell’aria. “A distanza di tre anni dal nostro progetto pilota “Millepiedini”, oggi il pedibus è stato adottato e coordinato dalla stessa amministrazione comunale, una piccola soddisfazione”.  Avanti tutta, quindi, e alla preoccupazione si sostituisce la speranza: “Bambini e ragazzi sono la nostra forza, il loro entusiamo è contagioso”

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