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Quando abbiamo deciso di cercarlo, siamo andati in ospedale dal solito medico, volevamo sapere se ce lo sconsigliava. Ma lui ha detto che la patologia di Giulia ed Elena era compatibile con la vita, quindi non vedeva motivo di rinunciare al terzo figlio. Da parte nostra, abbiamo messo in conto che avrebbe potuto nascere come le sorelline: nel frattempo le bimbe, nonostante i divieti alimentari, crescevano bene. Appena nato Matteo, stessa trafila: subito i prelievi per gli accertamenti, e la lunga attesa. Quando ho saputo che era sano, ne sono stata felice per lui, ma ho pianto: era l'inizio della mia crisi. Mentre lo crescevo, mi rendevo conto di com'era tutto più facile con lui, meno stressante per me, che finalmente non su quello che poteva o non poteva mangiare, sulle cautele da prendere quando lo lasciavo a qualcuno, sull'esame capillare delle etichette che entravano nella dispensa. Un po' meno panzer, un po' più mamma, mi abbandonavo facilmente alle tenerezze. E il tarlo della preoccupazione per come sarebbe stata la vita sociale delle mie bimbe continuava il suo lavoro. È vero, non erano malate gravi, potevano vivere bene, ma io le vedevo comunque diverse dagli altri bambini.