Tumore alle ovaie: l’importanza di conoscere i fattori di rischio e di prevenzione

La familiarità incide in 2 casi su 10, a causa della presenza nel corredo genetico della paziente della mutazione del gene BRCA. Ne parliamo con l'esperto

In Italia ogni anno 5700 donne si ammalano di cancro alle ovaie. Un dato che corrisponde al 30% delle neoplasie dell’apparato riproduttivo e al 3% di tutti i tumori maligni femminili. Il picco si registra tra i 50 e i 70 anni, anche se l’incidenza comincia a crescere dopo i 40 anni.
Tra i fattori di insorgenza la familiarità gioca un ruolo rilevante. «Si stima che circa il 20% dei casi di cancro alle ovaie trovi origine ereditaria, a causa della mutazione di uno dei due geni BRCA (BRCA 1 e 2), cioè i geni che controllano la capacità delle cellule di riparare i danni del DNA. La familiarità è sicuramente la principale causa di rischio di questa malattia» – dice il dottor Sandro Pignata, Direttore dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS – Fondazione Pascale di Napoli.

Quali sono gli altri fattori di rischio del tumore ovarico?
Sono stati individuati fattori ormonali: una comparsa precoce del ciclo mestruale, una menopausa tardiva e il non avere avuto figli. Un aumento di rischio è stato osservato anche in donne in menopausa sottoposte a terapia ormonale sostitutiva per almeno 10 anni. Al contrario, l’aver avuto uno o più figli, l’allattamento al seno e un utilizzo prolungato di contraccettivi orali sono risultati protettivi dal rischio di insorgenza di tumore all’ovaio.

Possono esporre al rischio di ammalarsi, inoltre, i cosiddetti fattori ambientali, relativi cioè allo stile di vita, in particolare l’esposizione prolungata all’amianto e al talco, l’abuso di alcol, l’obesità e una dieta eccessivamente ricca di grassi.

La prevenzione: dalla visita ginecologica al Test BRCA

La prevenzione del tumore all’ovaio passa in prima battuta dalla visita ginecologica effettuata regolarmente, che è capace di individuare i primi segnali di neoplasie, riducendo così l’incidenza delle forme avanzate. «È il caso del tumore della cervice uterina, il cui impatto è stato sensibilmente ridotto proprio grazie agli screening regolari – precisa il dottor Pignata – Tuttavia, il carcinoma dell’ovaio è più subdolo, in quanto in molti casi, non dà in molti segni premonitori rilevabili alla visita ginecologica. Per questa ragione, il tumore alle ovaie viene diagnosticato in fase avanzata nell’80% dei casi».

Cosa si suggerisce di fare, allora? «Innanzitutto, invito tutte le donne a rivolgersi al ginecologo qualora dovessero riscontrare qualsiasi sintomo anomalo relativo alla sfera ginecologica. Anche se l’unica reale modalità di prevenzione è l’identificazione delle famiglie a rischio per la presenza della mutazione genetiche» – sottolinea il medico.

Come individuare tale presenza che espone al rischio del tumore ovarico? Attraverso il test BRCA, che serve a capire se una donna è più predisposta ai tumori prettamente femminili, e cioè quello del seno e quello ovarico.Va specificato che avere nel proprio corredo genetico le mutazioni dei geni BRCA 1 o 2 non vuol dire ammalarsi con certezza, ma indica solo un aumentato rischio.

Di solito il test BRCA viene proposto nell’ambito di un percorso di consulenza genetica, «ed è raccomandato a tutte le donne che si ammalano di tumore ovarico, anche in assenza di familiarità. È stato rilevato che circa il 30% delle donne con mutazione non hanno in anamnesi una rilevante storia familiare. Nonostante ciò, possono trasmettere alla discendenza la mutazione con il conseguente rischio di sviluppare il cancro» – puntualizza l’esperto, che aggiunge: «oltre che all’ovaio, la mutazione del BRCA espone anche all’insorgenza di altri tumori, come il carcinoma della mammella, del pancreas, della prostata, delle vie biliari. I soggetti a rischio devono effettuare prevenzione e sorveglianza per tutti questi tumori» – conclude il dottor Pignata.

Con il contributo non condizionato di MSD e con il supporto di AstraZeneca.


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