Fico d'India

Fico d’india: una pianta bella e buona, ma un po’ fastidiosa

Una imponente succulenta di origine centro-Americana, così di buon carattere che si è naturalizzata anche nel Mediterraneo. Giustissima per i pollici diversamente verdi perché highlander, è anche una grande risorsa per le altre piante meno autosufficienti

Fico d’India: una storia di amore e odio

Con il Fico d’India, più precisamente Opuntia (Opuntia ficus-indica), parto in retromarcia, cioè con una premessa doverosa: amo tutte le piante, tutti gli esseri viventi che con me popolano il pezzo di paesaggio che, adottandomi, ha deciso di accettare le mie cure (sì, per chi se lo sta chiedendo non voglio male neppure ai cinghiali che da oltre una settimana hanno scoperto la strada verso il Giardino Felice, dove il cancello è davvero aperto per tutti). Amo tutte le piante perché riconosco sempre una forma di intelligenza in ogni azione che adottano, quindi non ce ne sono di più o meno cattive, di più o meno antipatiche: loro sono sempre e solo più o meno smart (e anche su questo ci battono, sempre).

Dico così perché vi sto scrivendo reduce da una raccolta di fichi d’India… Nonostante le mille precauzioni i loro aculei invisibili ed aerei sono atterrati su di me nell’unico posto che non avevo protetto con strati di vestiti, l’avambraccio: un fastidio quasi insopportabile che durerà per giorni, fino a quando non si decomporranno nella mia pelle, non lasciando traccia alcuna del fastidio che mi hanno provocato.

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Raccolta dei frutti

E continuo comunque ad amare la pianta, l’Opuntia, e a raccoglierne i suoi gustosissimi frutti proprio perché in cuor mio so che i suoi “spilli” minuscoli e volatili servono a proteggerla da chi -come me- la saccheggia tentando di impedire (invano perché la sua riproduzione è facilissima) la propagazione della specie. Se non è intelligenza questa, voi come la definireste?

Opuntia: pregi e difetti

Visto che sui suoi lati positivi c’è molto da dire, togliamoci subito il fastidio (leggi: la spina) di raccontare cosa di lei non va, soprattutto se ospitata in piccoli spazi. I suoi aculei sono davvero fastidiosi e volano ovunque: mai maneggiare la pianta senza guanti doppi, vestiti spessi e in giornate ventose, potreste diventare un involontario puntaspilli. Altra nota positiva/negativa dell’Opuntia da valutare: è una pianta invasiva, diventa enorme e in condizioni ideali si riproduce molto rapidamente. Quindi se volete contenerla e non farvi troppo male collocatela in un vaso e lontana da punti di frequente passaggio.

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Pianta di origine messicana ma naturalizzata nei nostri paesaggi

Detto ciò, se ancora la vorrete ospitare, vi farà compagnia per sempre, perché per vivere e regalarvi bellezza in tutte le stagioni le basta davvero poco: calore e tanto sole. L’Opuntia non ha bisogno di potature, di cure, di rinvasi, di concime, di irrigazione: ovviamente più è felice del luogo che avete scelto per lei, più ve lo farà capire con pale turgide e sane, vistose fioriture multicolor e tanti gustosi frutti a fine estate.

Ricordatevi che in piena terra può raggiungere altezze importanti (diversi metri) e nonostante la sua mole è una finta robusta: anche se le pale più vecchie lignificano alla base, resta sempre piuttosto fragile e si può spezzare se collocata in luoghi di vento violento.

La pianta, seppur super resiliente, è molto fragile se maneggiata

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Tanto rustica quanto fragile; pianta spezzata dopo una forte tempesta

Fico d’India: il frutto naturale per eccellenza

Proprio perché l’Opuntia è una succulenta così sana e rustica, non ha bisogno di nessun trattamento per fruttificare: lo fa copiosamente in luoghi impensabili, e non ha certo bisogno di noi e della nostra chimica per produrre frutti belli e sani. Quindi, mangiando un fico d’India, siamo (quasi sempre) sicuri di cibarci in modo naturale. Sapete che sono eduli anche le giovani pale, raccolte piccine, ancora super tenere? Da noi non c’è grande tradizione ma in Messico le ricette sono davvero tante.

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Una pala in fiore (manipolare sempre con guanti)

Opuntia e aridocultura: una manna per i climi aridi

Il fico d’India non solo è in grado di vivere in totale autosufficienza, ma con le sue pale può aiutare a calmare la “sete” e il bisogno di nutrimento di piante che hanno necessità idriche maggiori. Il metodo, che si sta riscoprendo negli ultimi anni anche a causa dei cambiamenti climatici, è piuttosto antico e da sempre usato nelle aride isole siciliane, laddove portare acqua nei campi era missione impossibile.

Pale pronte per esser sminuzzate e utilizzate nell’orto per donare e trattenere acqua

Come fare? Basta sminuzzare a dadini le pale, riducendole in pezzi molto piccoli perché non possano germinare, e inserirne una generosa quantità nel terreno di impianto. Il gel contenuto nella pianta rilascerà umidità e nutrienti a piccole dosi, decomponendosi poi naturalmente nel terreno. Questa tecnica è ottima sia in orto che per piante ornamentali, sia a terra che in vaso (e permette anche di smaltire le pale cresciute in eccesso, trasformandole in valore). Io nel mio orto felice uso le pale sminuzzate ad ogni nuovo impianto: pomodori, zucchine, melanzane, cetrioli e meloni ringraziano (e ringrazio pure io, che bagno con meno frequenza e mi godo il tramonto senza la canna da irrigazione sempre in mano).

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Le pale possono esser utilizzate nell’orto coltivato in aridocultura

Fico d’India: come raccogliere il frutto in sicurezza

Mi ricordo che mia nonna, grande ricamatrice ma pessima insegnate, ad ogni puntura di spillo-su-dito mentre io, seienne, provavo ad imitarla mi diceva: “ago che punge, amore che giunge”. Ecco, la nonna era padana e nella sua lunga vita non si scontrò mai con l’Opuntia, nonostante amasse le piante. Perché altrimenti sarebbe stata per il poliamore. Per evitare dolore e promiscuità (non c’è nulla di male, ma non fa per tutti) proviamo a maneggiare il fico d’India seguendo questi piccoli accorgimenti:

  • Mai raccogliere in giornate ventose (perché il concetto di sottovento/sopravvento con i micro-aculei non funziona)
  • Se possibile bagnare la pianta con un forte getto d’acqua prima di avvicinarsi
  • Non lasciare nessuna parte del corpo scoperta e usare sempre i guanti spessi
  • Raccogliere i frutti con un barattolo di metallo o di plastica (io uso una bottiglia grande tagliata a metà) e immergerli direttamente in un catino pieno di acqua prima di toccarli (io vi consiglio di toccarli direttamente in bocca, una volta sbucciati e messi in frigorifero per qualche ora, mai prima!)
  • Pelare i frutti con coltello e forchetta, senza mai sfiorarli con le dita

Nota bene: no, non sono una signora di città neofita della wilderness: se tutto ciò vi sembra eccessivo, significa che non vi siete mai scontrati con una Opuntia e che i suoi frutti, a casa vostra, sono arrivati dal banco del supermercato (leggi: qualcuno ha fatto per voi il lavoro più duro, e quelli di città siete voi, non io).


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– Frutti pronti per essere raccolti


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– Frutti e pale


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– Frutti di Opuntia pronti per il raccolto e melograno in maturazione


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– Il frutto piace anche ad uccelli e roditori


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– Con fichi ed uva, è il frutto di fine estate


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– Il raccolto di settembre


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– I frutti si mangiano freddissimi


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– Prima di sbucciarli, passare sotto un getto vigoroso di acqua corrente per eliminare le fastidiosissime spine invisibili ed aeree

Pillola verde 1: fico d’India, il frutto di Natale

Sebbene la maturazione naturale avvenga a fine estate, esiste un metodo “contadino” per far fruttificare la pianta più tardi, ad inizio inverno: occorre eliminare i fiori manualmente, a primavera, per stimolare la pianta ad una rifioritura che sposterà di settimane anche la maturazione dei frutti. Ecco il perché arrivano freschi sulle nostre tavole anche a Natale.

Pillola verde 2: come moltiplicare (gioie e spine)

Il mio boschetto di Opuntie (nel mio giardino felice ne ospito decine tutte riunite su una piccola terrazza inaccessibile) deriva da una sola pala prelevata spontanea quasi 10 anni fa in un giro di foraging. La pianta attecchisce con una facilità estrema, e proprio per questo è l’ideale per un neofita green: una volta staccata una pala, basta lasciarla riposare per un paio di giorni in un luogo ombreggiato in modo che la ferita si cicatrizzi, per poi inserirla per metà della sua lunghezza in un vaso (o direttamente a terra). Non occorre bagnarla. Se volete viziarla un po’, aggiungete sabbia al terriccio perché l’Opuntia teme i ristagni idrici e preferisce terreni poveri e molto sciolti. Infine, preoccupatevi di coprirla o ritirarla in inverno se abitate in climi rigidi: se le piante già cresciute non amano il gelo, quelle più piccole e in fase di attecchimento proprio non lo tollererebbero.

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Le piante circondate dai fiori blu dell’ipomea

Curiosità: ma le foglie dove sono?

Le pale dell’Opuntia (chiamate più propriamente cladodi) si occupano della fotosintesi ma non sono le “vere” foglie della pianta, che invece hanno forma conica e sono piccolissime, parlo di pochi millimetri, e crescono sulla superficie delle pale insieme alle spine.


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– fiori, nuove piante e primi frutti in formazione


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– Contrasto cromatico tra pale e frutti


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– Fioritura multicolor


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– In abbinamento con yucca, banano e strelitzia nicolai


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– Pala gigante


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– Miss Little Red tra le opuntie


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– Insieme Opuntia e Melograno: hanno gli stessi fabbisogni


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– In piena produzione


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– Pianta piena di frutti


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– Perfette per delimitare i confini (come si fa in sardegna) e come dissuasore per animali di grossa taglia (e umani)


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– Perfette con esposizione a pieno sole


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– Resilienza


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– Ritratto in giardino con opuntie di circa 7 anni

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