Entro nella hall e provo una sensazione di spaesamento; l’albergo è il classico hotel da vacanze al mare, pensato per ospitare le famiglie in estate. Immagino la reception affollata di mamme e bambini in costume da bagno, invece davanti a me ci sono solo persone imbacuccate in abiti pesanti.
E poi c’è quella sensazione che avverto subito e che mi mette a disagio. Qui si conoscono tutti. Ma non come capita alle persone che fanno amicizia in vacanza: fra gli ospiti c’è una conoscenza profonda, di lunga data. Mi sento un intruso, proprio come se fossi arrivato in una casa privata, unico a non essere stato invitato. Mi avvio verso la camera lasciandomi alle spalle un gruppo sdraiato sui divani a guardare la partita, mentre i bambini sciamano dalla sala da pranzo e ai tavolini del bar le donne anziane chiacchierano fra loro.
La mattina seguente mi alzo alle 5 e scendo a prendere un caffè, prima di avviarmi verso la montagna. Le porte dell’ascensore si spalancano e la hall è piena di gente, proprio come l’avevo lasciata la sera prima; ora però è notte fonda e le persone sono avvolte in pesanti coperte di lana. Si sono sdraiati dove possono; qualcuno dorme addirittura sulle sedie del bar, con la testa appoggiata al tavolino.
Mi rivolgo al portiere di notte, a bassa voce: «Gli sfollati sono così tanti che non avete camere sufficienti?» «Una camera l’hanno tutti! Stanno qui perché hanno paura… dopo le ultime scosse molti non riescono più a dormire in un letto. Hanno bisogno di stare vicino alle uscite».
Esco dall’albergo. Subito oltre la porta c’è un piccolo salottino di arredi da giardino. Nonostante il freddo, anche lì è pieno di persone: hanno passato la notte fuori, per loro ormai è un problema anche stare sotto un tetto.