«Io sotto il 4 non lo sento più!». Alessandra, Alessia, Ludovica, Ilenia, Giada,Giulia e Clara raccontano il loro terremoto. Chiacchierano fra di loro come tutti i bambini: con schiettezza, senza barriere. Sono bambine di prima e seconda media, le alunne rimaste ad Amatrice con la professoressa Cecilia, nella scuola Romolo Capranica. In questi giorni le aule sono chiuse per neve. Probabilmente le ultime scosse, quelle del 18 gennaio, Alessandra e le sue amiche le hanno sentite mentre erano a casa con la famiglia. E probabilmente lo hanno vissuto come l’ultimo episodio di un’emergenza che si è trasformata in una strana normalità.
Io le ho incontrate prima di quest’ultimo terremoto e abbiamo passato la mattinata insieme nel centro costruito da Save The Children a ridosso delle aule di campo Trentino.
Il loro è un lungo racconto, come la maggior parte dei resoconti infantili, ma di un’intimità e un’immediatezza difficili da trovare negli adulti. Discutono, ricostruendo l’esperienza che ha devastato i loro paesi. Un paio di loro vivono in casa “ma solo il giorno. Perché casa mia è AF”. Che significa? Chiedo io. “Che la casa di per se è A, agibile, ma ci sta un pericolo che incombe sull’edificio: è la stalla…”
Poi proiettano la fantasia sul futuro: ora hanno poco più di dieci anni, e loro saranno i primi adulti a godere di un’ipotetica Amatrice ricostruita.