Acquasanta Terme è un paese lungo la vecchia Salaria fra Ascoli e Arquata. I due Carabinieri forestali mi aspettano qui. Il maresciallo Davide Rossi è responsabile della Stazione di San Martino d’Acquasanta e coordina il servizio di monitoraggio frane. Passerò la giornata con lui e col suo compagno Gian Mario De Angelis. Partiamo subito. La località che dobbiamo raggiungere si chiama Pito, ed è in pieno Parco Nazionale. Arriviamo in meno di una mezz’oretta di macchina e parcheggiamo in un piccolo piazzale a ridosso delle case.
Il paese è deserto. Quando è arrivata la frana fortunatamente questo piccolo centro abitato fra le montagne era stato già evacuato perché inagibile. Era rimasto un solo abitante, che è stato portato via.
Il terreno erboso è dilaniato da un enorme solco di fango che comincia nella parte più alta della montagna e scende a valle, fino al torrente. Il fango si è trascinato dietro un capanno, gli alberi e ha lambito il centro abitato, fino a tracimare nel torrente e l’acqua ora scorre sulla strada.
Davide e Gian Mario risalgono a piedi fra le case: c’è odore di gas: lo smottamento di terreno potrebbe aver rotto qualche conduttura. Prendono le coordinate e le trasmettono ai Vigili del Fuoco in modo che possano risalire alla perdita. Mentre camminiamo Davide mi spiega come l’abbandono delle campagne sia all’origine di molte di queste frane. «Le sorgenti venivano controllate dagli allevatori ma senza le cure di chi viveva qui, le fonti si sono degradate. Questa è un’area ricca di argilla e arenarie, soggetta di per sé a rischio franoso: i continui terremoti non hanno fatto altro che accelerare i processi».
Davide e Gian Mario cominciano il rilievo di campo: a intervalli regolari misurano con una bindella la larghezza della frana, la pendenza e il perimetro della zona coinvolta. Georeferenziano ogni dettaglio significativo della frana e riportano lutto su una scheda che passeranno all’Autorità del bacino idrografico del Tronto. I dati raccolti serviranno, per quanto possibile, a individuare le zone a rischio e decidere gli interventi per tutelare la popolazione.
Dopo un paio d’ore di rilievi ripartiamo in auto: c’è una seconda segnalazione.
«Quello che ci troveremo davanti adesso è diverso» mi anticipa Gian Mario. «È una frana da distacco e ribaltamento di massi di grandi dimensioni». Quando parcheggiamo l’auto sul ciglio a monte della strada, sul lato a valle un masso alto 4 o 5 metri si è appoggiato appena fuori dalla carreggiata, dopo averla attraversata come un meteorite. Scendendo a valle ha distrutto tutto quello che ha trovato lungo la sua strada: le piante sono divelte, rami e tronchi dappertutto.
Ci arrampichiamo verso la parete rocciosa, nel silenzio si sentono solo i nostri passi.
Poco più in là si vede il punto da cui il blocco di roccia si è staccato, tutto d’un pezzo: la montagna, verso la cima, è orfana di una sua parte. Altri massi si sono staccati più in basso. Insieme si sono trascinati via la linea telefonica. «Questo è frutto delle continue scosse» mi dice Gian Mario «La realtà a volte supera la fantasia».