Sei disoccupata? Qui trovi abiti usati per ricominciare

Per chi ha perso il lavoro, sorgono associazioni e network che forniscono l'abito e la divisa per un nuovo colloquio, ma anche supporto per sostenere il colloquio online, formazione e coaching per ritrovare fiducia

Chi si è ritrovato escluso dal mercato del lavoro ed è alla ricerca di una chance per ripartire, può avere difficoltà a trovare l’abito giusto per il colloquio. Stanno nascendo anche in Italia associazioni che ritirano abito usati pochissimo e li donano a chi sta cercando il look giusto per un colloquio, in cambio di altri abiti o qualche ora di volontariato. Alcune si sono strutturate in veri e propri centri per l’orientamento e la riqualificazione professionale, in particolare per le donne.

Abito, orientamento e formazione per donne disoccupate

Dress for success si rivolge esclusivamente alle donne in difficoltà economica e disoccupate da più di 4 mesi. L’abito professionale per il colloquio di lavoro diventa il primo step di un percorso che mira a far ritrovare fiducia in se stesse e raggiungere l’indipendenza economica. L’associazione, che ha sede anche a Roma e Milano, è una no-profit internazionale nata a Manhattan nel 1996 dall’idea di Nancy Lubin, all’epoca una studentessa universitaria che usò l’eredità ricevuta dal nonno per lanciare un progetto a supporto dell’autonomia economica delle donne. Il suo primo negozio esponeva abiti usati, donati da privati e aziende, a disposizione delle donne con meno possibilità economiche alla ricerca di un nuovo impiego. Nel giro di pochi anni quel negozietto si è trasformato in un network di 145 uffici sparsi in 25 paesi, conta su una rete mondiale composta da oltre 12mila volontari e ha supportato oltre 1.200.000 di donne. Il programma si basa su tre pilastri: il Career Center che offre orientamento professionale alle donne disoccupate, il Personal shopper che dona l’abito adatto al colloquio di lavoro, il Professional Women Group che crea occasioni di dialogo fra gruppi di donne e corsi di formazione offerti da aziende o liberi professionisti.

Nonostante la pandemia, le sedi di Milano e Roma non hanno mai cessato le loro attività. «Ci siamo reinventati a livello digitale – spiega Francesca Jones, CEO e fondatrice di Dress for Success a Roma – abbiamo fatto l’orientamento professionale on line, la consulenza sul tipo di abito da indossare al colloquio è diventata digitale e gli abiti sono stati spediti a casa. Abbiamo collaborato con una scuola di consulenti di immagine che hanno donato delle consulenze on line alle beneficiarie del programma. L’iniziativa più recente è la partnership con l’associazione internazionale Lean In che organizza incontri per modificare il mindset tipico che a volte porta le donne ad autosabotarsi». Nel 2020 la sede romana di Dress for Success ha seguito 58 donne, di cui 14 hanno intrapreso percorsi formativi e 25 hanno trovato lavoro.

Anche la sede di Milano ha proseguito on line tutte le sue attività: «Siamo sempre operative per la donazione abiti che vengono sanificati e abbiamo continuato a supportare le donne organizzando webinar su vari temi, ad esempio come gestire un colloquio di lavoro on line, a cui hanno assistito oltre 200 partecipanti» spiega Ilaria Granati, responsabile external relations & fundraising di Dress for Success a Milano. Nel 2019 l’antenna milanese ha seguito una cinquantina di beneficiarie, di cui 10 sono state assunte dopo il colloquio di lavoro. Il supporto non si limita all’abito: l’associazione ha recentemente avviato collaborazioni con start up orientate all’empowerment femminile.

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A Torino: doni un abito e ne ritiri un altro

Un armadio di lavoro, emporio sociale aperto a Torino nel febbraio 2021, dona abiti “formali” a chi deve fare un colloquio di lavoro. La sostenibilità ambientale va a braccetto con l’inclusione sociale: chi ne ha bisogno può prendere abiti eleganti nuovi o quasi nuovi, chi li dona rimette in circolo (anziché gettarli) indumenti che spesso giacevano inutilizzati negli armadi e che, nella maggior parte dei casi, sono stati usati pochissimo. A questo si aggiunge il valore della reciprocità: chi prende un abito elegante dona a sua volta altri abiti, anche non formali, oppure dona qualche ora di volontariato o semplicemente si impegna a fare passaparola per diffondere la conoscenza dell’emporio. L’iniziativa fa parte del più ampio progetto “Abito” del Consiglio Centrale di Torino della Società di San Vincenzo De Paoli, che vuole scardinare gli stereotipi tipici dell’assistenza sociale. «Si tratta di un negozio vero e proprio – spiega Giorgio Ceste, coordinatore e co-fondatore del Progetto Abito – da noi vengono anche persone che hanno improvvisamente perso il lavoro, che non avrebbero mai pensato di dover indossare abiti e accessori usati. Il fatto che sia strutturato proprio come un negozio attenua il loro disagio». Puntare sulla donazione di abiti eleganti non è semplice: «Fatichiamo a far combaciare domanda e offerta – aggiunge Ceste – Gli abiti formali adatti a un colloquio di lavoro vengono donati perlopiù da persone anziane e quindi hanno un taglio obsoleto, cosa che mal si sposa con le esigenze di giovani ai primi colloqui di lavoro». La pandemia non ha fermato il lavoro di “Armadio di lavoro” e di “Abito”, che hanno fatto accordi con lavanderie che sanificano gli abiti donati. Al negozio ora si accede solo su prenotazione.

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Il guardaroba di via Aldini a Milano

Ha una sezione tutta dedicata agli abiti formali da colloquio di lavoro anche il guardaroba della Fondazione Progetto Arca, che raccoglie abiti nuovi e usati e li distribuisce in via Aldini 74 a Milano. «Il nostro guardaroba è stato inizialmente allestito per vestire e fornire dei cambi alle persone senza dimora che rientravano nei nostri servizi di accoglienza, da subito è stato organizzato con stand di abiti divisi per taglie e sesso – racconta Costantina Regazzo, direttrice dei servizi di Fondazione Progetto Arca – ma nel tempo abbiamo notato le necessità cambiare: molte persone si rivolgevano a noi alla ricerca di un vestito adeguato e pulito per lavorare. Siamo andati incontro a queste nuove esigenze allestendo così un settore del magazzino dedicato solo agli abiti da lavoro: da un lato giacche e tailleur per i colloqui, dall’altro divise professionali, come quelle da cuoco o idraulico, necessarie per intraprendere il nuovo impiego con sicurezza e dignità».

All’estero

Anche oltralpe ci sono progetti simili. La cravate solidaire (la cravatta solidale) è un progetto nato all’ombra dell’Arco della Défence, il quartiere professionale per eccellenza di Parigi. Fondata nel 2012 da Nicolas Gradziel, Yann Lotodé e Jacques-Henri Strubel, l’associazione aiuta i disoccupati ad affrontare i colloqui di lavoro partendo dall’abito. Ha cominciato con un piccolo magazzino di abiti eleganti che i tre fondatori avevano raccolto nel loro network di conoscenze e fra i professionisti degli uffici della Défence per donarli a persone indigenti prossime a un colloquio di lavoro. Un anno dopo l’associazione è decollata e, oltre al vestiario e alla cura dell’immagine, ora propone la correzione del curriculum, la simulazione del colloquio, il coaching per acquisire fiducia in se stessi. Oggi la La cravate solidaire ha sedi in moltissime città francesi e in Belgio e si è attrezzata con un camper che gira per l’Ile de France.

Oltreoceano la realtà più rinomata di questo genere è Career Gear, impresa sociale presente in molte città statunitensi e che progetta di sbarcare presto in Europa. Fondata nel 1999 da Gary Field, che aveva sperimentato sulla sua pelle la povertà, il disagio sociale e la difficoltà di trovare un impiego, l’associazione offre l’abito per il primo colloquio, un supporto per correggere il curriculum e varie attività di crescita personale e professionale.  

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