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Se lei mantiene lui

Succede, oggi, che la moglie guadagni più del marito o sia addirittura l’unica a lavorare. E così lei mantiene lui, in un capovolgimento dei ruoli che spesso mina l’equilibrio di coppia, perché gli stereotipi legati ai soldi sono i più duri da scardinare

L’eccezione conferma la regola. E il pregiudizio. Capita quando, sovvertendo una tradizione millenaria, nella coppia è lei quella che porta a casa lo stipendio o, almeno, lo stipendio più pesante.

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Puoi ascoltare questo articolo anche in podcast su Giornale Radio nella puntata del 5 maggio 2023.

Oggi spesso lei mantiene lui

In teoria non ci sarebbero ostacoli: oggi le donne lavorano e alcune fanno carriera, è possibile quindi che sia lei a mantenere il coniuge o il compagno oppure a “superarlo” finanziariamente. Nella pratica succede a volte, ma con frequenza sempre maggiore, vuoi perché i costumi seppur lentamente si modificano, vuoi soprattutto perché la crisi impone a tante famiglie di tenersi stretta l’unica busta paga che ancora arriva e che, magari, è quella della moglie. 

Le ripercussioni sulla coppia se lei mantiene lui

Spesso, però, né lui né lei e neppure chi li circonda sono emotivamente attrezzati per accettare con scioltezza un simile cambio di paradigma. L’economista Azzurra Rinaldi, direttrice della School of Gender Economics dell’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza e autrice di Le signore non parlano di soldi. Quanto ci costa la disparità di genere (Fabbri) racconta, ancora stupita, la prima osservazione che la madre le fece quando scoprì che aveva fondato una sua impresa: «Mia mamma disse: “Attenta a non dirlo a tuo marito se guadagni più di lui, sai che gli uomini non la prendono bene questa cosa”».

Il denaro è il parametro con cui l’uomo viene valutato

«È un tema molto radicato legato al denaro, che è il canone di adeguatezza con cui l’uomo valuta se stesso e viene valutato anche dagli altri uomini. Già nei primi testi di economia si definisce chi può produrre e gestire i soldi: solo il maschio; la donna no perché uterina, il bambino e l’anziano no perché fragili. Il nostro sistema si basa sul potere maschile e per gli uomini non avere soldi significa non avere potere. L’ambito che invece cultura e storia hanno assegnato a noi donne è quello della casa e della cura, ma ora dobbiamo muoverci anche in una dimensione nuova: essere detentrici di denaro».

Più soldi uguale più potere

Che il ruolo chiave lo giochi il binomio soldi-potere lo conferma la psicoterapeuta Silvia La Barbera: «Nella vita a due l’uomo è abituato a essere quello che esercita il potere e pochi si sono svincolati da questa visione di mascolinità. Ho conosciuto coppie in cui lui ha perso il lavoro e la partner lo ha mantenuto, ma questa situazione è stata accettata dall’uomo solo perché percepita come temporanea. Studi che hanno seguito per anni migliaia di coppie disegnano una parabola emotiva rivelatrice: quando in famiglia guadagna solo lui, è sottoposto a un forte carico di stress; quando lei comincia a guadagnare, lui si sente sollevato; quando però il guadagno di lei si avvicina al suo o addirittura lo supera, lui torna preda di una crescente tensione e frustrazione».

Lo stereotipo di lei che mantiene lui

Le dinamiche che poi vengono messe in atto sono variegate, ma a pilotarle è quasi sempre lo stereotipo. «Ho fatto supporto psicologico a una coppia di 40enni dove lei guadagnava almeno il triplo di lui e lui, a parole, ne era felice e la aiutava in casa» continua La Barbera. «Durante una seduta si è però reso conto che, tutte le volte in cui sosteneva che non voleva fare la lavatrice o stirare perché non lo sapeva fare, in realtà lo diceva perché quello era il limite che si era posto. Ha infatti ammesso: “Già mia moglie guadagna più di me, se io mi metto a fare anche queste cose, divento io la moglie”. Un’altra paziente 50enne, che veniva in terapia individuale ed era professionalmente molto più brillante del marito, voleva rifiutare una promozione perché si riteneva già fortunata per il fatto che lui non le creasse problemi. Come lei, ci sono donne che per non far apparire debole il compagno, cercano di “rimpicciolirsi”».

La concezione di virilità legata allo stipendio

Anche familiari e amici spesso fomentano i pregiudizi. «Le situazioni in cui lui davvero rinuncia alla carriera per favorire quella di lei sono una nicchia. E nel mio stesso giro di conoscenze sento commenti del tipo: “Allora lui non si realizza?”. Una considerazione simile non viene mai fatta se è la donna che lascia tutto per seguire il marito» osserva Ivana Pais, professoressa di Sociologia economica all’Università Cattolica di Milano. «In un Paese come il nostro, con un tasso di occupazione femminile basso, se lei è l’unica percettrice di reddito in famiglia, di solito significa che non c’è alternativa». Certo è che le visioni stereotipate sono trasversali a tutte le classi sociali. «Se la sua compagna ha un impiego che permette di sbarcare il lunario, lui è, sì, contento, ma si sente in conflitto rispetto alla concezione di virilità che ha interiorizzato» dice la psicoterapeuta La Barbera. «E ci sono casi in cui l’uomo cerca di “recuperare” quella mascolinità di cui si sente privato con il tradimento».

Gli uomini mantenuti che chiedono l’assegno di separazione

Ma non solo. «Ho visto matrimoni andati in crisi per ammanchi finanziari enormi, salvo poi scoprire che il marito aveva perso il lavoro ma si vergognava a dirlo in famiglia. Simulava di andare in ufficio e per mantenere lo stesso tenore di vita ha bruciato tutti i risparmi. Un uomo è arrivato a ipotecare la casa» dice l’avvocato Armando Cecatiello, autore di Patrimoni, famiglie e matrimoni. Conoscere i propri diritti e doveri per scelte consapevoli e serene (Bek Boooks in collaborazione con Forbes). «Conosco anche donne manager in ruoli apicali con i mariti che hanno lasciato la loro carriera per dedicarsi alla famiglia e le hanno seguite in giro per il mondo. Nei casi in cui poi la coppia è andata in crisi, lui si è trovato a chiedere il mantenimento nella fase di separazione per potersi rimettere in gioco dal punto di vista professionale. Questo per tanti è ancora difficile da accettare. Lavoro molto con gli Stati Uniti e là, così come in Nord Europa, la situazione è diversa, ma anche qui in Italia le cose stanno cambiando grazie ai più giovani».

L’esempio dei giovani è importante per i figli

È d’accordo Selina Zipponi, avvocata esperta di privacy e diritto dei dati e autrice di Io che non amo solo te. I nuovi confini dell’infedeltà (il Saggiatore). «Vedo tante coppie di 30enni e 40enni dove è normale che lei possa guadagnare di più e che il papà si occupi dei bambini. Tutto ciò era impensabile per la generazione dei miei genitori. Secondo l’articolo 143 del Codice Civile, “entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”. Quel testo si riferisce alle coppie sposate ed è nato in base a una visione molto stereotipata della famiglia, ma oggi può venire interpretato in modo più libero, con lui e lei che condividono o si scambiano i ruoli professionale e casalingo». E Azzurra Rinaldi commenta: «È positivo che i figli percepiscano che il binomio potere-denaro non è associato a un genere solo». 

La parità costa ancora molta fatica

Ma è bene non cedere all’entusiasmo. «Una mia laureanda ha fatto una tesi sulla divisione del lavoro di cura tra i coniugi. Per redigerla ha effettuato interviste a varie famiglie, selezionando quelle dove gli adulti avevano almeno il diploma di scuola superiore» spiega Ivana Pais. «Una delle domande poste ai figli adolescenti era: “Se uno dei tuoi genitori dovesse perdere il lavoro chi preferiresti che fosse, la mamma o il papà?”. La risposta di una ragazzina mi ha particolarmente colpita: “Spero che lo perda la mamma, perché altrimenti – poverina! – deve andare a lavorare, tornare, prendersi cura di tutti noi e, come se non bastasse, il papà che è stato a casa tutto il giorno a quel punto ha sporcato anche di più». Tanto disilluso pragmatismo suggella una sensazione che ci assale di fronte a certe conquiste: la parità richiede alle donne tanta fatica e ha ancora, troppo spesso, un retrogusto impari.

Le storie delle coppie

Lei farmacista mantiene lui

Tiziana, 60 anni, farmacista, provvede al marito che ha deciso di lasciare il lavoro. «Quando lui ha deciso di mollare il suo lavoro gli ho detto: «Io adoro il mio e per ora non voglio smettere, ma appoggio la tua decisione”. Non siamo più dei ragazzini, non abbiamo figli e non dobbiamo investire su altro se non il nostro futuro. A stupirmi sono stati però alcuni conoscenti perplessi per questa nostra scelta. Alcuni amici e amiche del nostro Circolo Canottieri mi hanno detto che ho sbagliato a caricare solo sulle mie spalle le spese per la sua bella vita. Confesso che queste considerazioni mi mandano un po’ in crisi, ma resto convinta che ogni coppia debba trovare un proprio equilibrio, anche finanziario, e che non ci sia una ricetta valida sempre e per tutti».

Lui ingegnere per alcuni mesi non guadagna

«Mi vergognavo» racconta Andrea, 48 anni, ingegnere, che per alcuni mesi ha vissuto a carico della moglie. «La società per cui lavoravo 5 anni fa ha chiuso la filiale italiana e io ho perso il lavoro. All’inizio non mi sono preoccupato perché pensavo che con la mia laurea in Ingegneria avrei subito trovato un altro posto, ma non è stato così. Per fortuna mia moglie un lavoro ce l’aveva, ma io ho vissuto con disagio la situazione. Quando è stata organizzata una rimpatriata dei compagni di liceo, ho trovato una scusa e non ci sono andato: mi vergognavo di dire che non ero più il brillante professionista che conoscevano e che il pranzo me lo pagava mia moglie. Dopo quasi un anno sono stato assunto in una nuova ditta. Viaggio spesso per lavoro, ma non mi pesa. Ho ritrovato entusiasmo e lo trasmetto anche in famiglia».

La separazione dopo il tracollo di lui

«Provavo rabbia» Alda, 52 anni, segretaria, ha mantenuto l’ex marito per 2 anni. «Lui faceva il restauratore. Le offerte di lavoro sono via via diminuite finché si è trovato fuori dal giro. Si è chiuso nello studio a dipingere. Era bravo, ma non vendeva molti quadri e prosciugava i nostri risparmi andando anche all’estero alla ricerca di gallerie e acquirenti. L’ho sostenuto a lungo però, quando ho cercato di convincerlo a fare altri lavoretti, mi ha accusata di frenare la sua arte. In realtà – lo ha confessato a un amico – si sentiva un fallito e viveva male la dipendenza economica da me. Non avevamo detto nulla ai nostri genitori che stanno lontano da noi. Abitavamo sotto lo stesso tetto, ma eravamo diventati due estranei arrabbiati. A dicembre, dopo 2 anni di questa vita, ci siamo separati».

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