Le origini raccontate da Joan Didion

Le origini raccontate da Joan Didion

Poche donne come la giornalista e scrittrice americana Joan Didion sono riuscite a inquadrare le potenzialità del “vecchio” movimento femminista. Nel 1972, lei stessa puntualizzava “Per fare una frittata servono non solo le uova rotte, ma una persona oppressa che le rompa: ogni rivoluzionario dovrebbe saperlo, e anche ogni donna, il che potrebbe fare del 51 per cento della popolazione degli Stati Uniti una classe potenzialmente rivoluzionaria”. La Didion solleva però allo stesso tempo anche i limiti del femminismo anni ’60 e ’70, denunciando come le donne “alla fine ottennero l’attenzione, ma quell’attenzione era impantanata nelle banalità più triviali”.

Le cose da sapere sul nuovo femminismo

Grazie all’aiuto delle tante celebrity che ne stanno facendo la propria bandiera, oltre al consolidarsi di una rinnovata coscienza sociale e di un’inaspettata solidarietà tra donne, il femminismo sta vivendo una seconda – e più splendente – giovinezza

Femminismo: se di fronte a questa parola vi vengono in mente gruppi di donne infuriate e urlanti, unite dall’odio e dal rifiuto per gli uomini, siete fuori strada.

Il “nuovo” femminismo è senza dubbio più pacato, assai più cerebrale, colto, intelligente, e si batte per il riconoscimento di diritti basilari, quali la parità salariale, il rifiuto di adeguarsi a immagini e stereotipi precostituiti e – in generale – contro ogni forma di sessismo e disuguaglianza.

C’è aria di rivoluzione, nel mondo ma anche a Hollywood, dove sempre più celebrity fanno sentire la propria voce unendosi alla causa femminista: ecco tutto quello che c’è da sapere e riguardo, e chi sono le protagoniste di questa “nuova primavera”.

I limiti del “vecchio” femminismo

I limiti del “vecchio” femminismo

Sempre la Didion, sottolinea come “anche le donne più intelligenti del movimento si trovavano coinvolte in noiosi colloqui sull’ingiustizia di lavare i piatti e l’intollerabile umiliazione di essere guardate dai muratori sulle Sesta Avenue. (…) Questa litania di banalità all’inizio era cruciale per il movimento, una tecnica di fondamentale per la politicizzazione di donne che forse erano state condizionate a nascondere il proprio risentimento anche a se stesse”. La giornalista, insomma, accusava le femministe di non aver compiuto quel salto basilare dal personale al politico, di non aver completamente compreso l’ideologia del movimento e di utilizzare le loro teorie soltanto per colpire “il crostone psichico denso di superstizioni, piccoli cavilli, sogni a occhi aperti e fantasie amare”.

Le principali conseguenze

Le principali conseguenze

Dalle parole della Didion emergono quelli che furono i tratti salienti del “vecchio” femminismo dell’epoca: su tutti, una rabbia generalizzata nei confronti del sesso maschile, che spesso si traduceva in un bieco rifiuto per gli uomini e anche per la maternità, colpevoli in entrambi i casi di negare alle donne le proprie libertà. Ciò nascondeva in realtà l’odio per un’immaginaria “Donna Comune” con cui le adepte fin troppo spesso si identificavano, vittima di chiunque e – inconsapevolmente – anche di se stessa. E così, altrettanto spesso, ci si accontentava di proteste in fondo sterili, di rivoluzioni edulcorate e (quel che forse è peggio) della mancanza di una forte visione comune, che trascendesse l’affrancamento dall’incombenza delle faccende domestiche, e che affermasse il valore intellettivo di ciascuna donna, disposta a battersi per una rinnovata coscienza sociale e una solidarietà volte a riconoscerne i diritti inalienabili.

L’evoluzione del femminismo

L’evoluzione del femminismo

Da qualche anno a questa parte, grazie alla nuova accezione del termine (e probabilmente anche alle molte celebrity che ne stanno facendo la propria bandiera), il femminismo sta vivendo una seconda – e più splendente – giovinezza. Non ci si batte più contro gli uomini per negarli, non si urlano più frasi prese in prestito da saggi scritti a riguardo, senza però comprenderne appieno la portata ideologica: le donne, oggi chiedono, e pretendono, la parità, intesa come stessa retribuzione, uguali diritti e medesima protezione dalle molestie sessuali. Fanno sentire la loro voce sui social, attraverso i loro blog, organizzando iniziative, creando newsletter, ricorrendo ad accorati appelli, e (soprattutto) mostrando di aver fatto pace con loro stesse. Se da un lato infatti abbracciano la loro femminilità senza compromessi o riluttanze, dall’altro però vogliono battersi affinché queste non venga strumentalizzata, ignorata o, peggio, calpestata.

Beyoncé, l’icona

Beyoncé, l’icona

Icona suprema del nuovo “girl power” – che forse sarebbe meglio definire “woman power”, nella sua accezione più adulta e consapevole – Queen Bey non ha mai fatto mistero della sua lotta femminista, e le sue canzoni, così come le sue dichiarazioni pubbliche, sono intrise di messaggi rivolti alle donne, soprattutto afroamericane. Il nuovo femminismo, infatti, a differenza del movimento degli anni ’60 e ’70 ha perfettamente compreso che la battaglia non deve essere intrapresa singolarmente da ogni minoranza, ma che la ghettizzazione è un mostro comune da combattere insieme, sfruttando una solidarietà produttrice di forza, identificazione e valori comuni. Sicurezza e determinazione sono le chiavi per vincere una battaglia difficile, ma non impossibile: “Non mi piace giocare d’azzardo, ma se c’è una cosa sulla quale scommetto, quella sono io”. E si tratta di un mantra che andrebbe ripetuto ogni giorno, come una specie di preghiera.

Lena Dunham, da Girls alla lotta femminista

Lena Dunham, da Girls alla lotta femminista

La mente di “Girls”, (ex) enfant prodige dell’intellighenzia di matrice hipster newyorkese, è cresciuta, e non ha preteso di rimanere ancorata a quel ruolo che le ha regalato un successo planetario. In primis, ha annunciato che la sesta stagione della serie tv da lei ideata (in onda nel 2017) sarà l’ultima: le ragazze di cui ci ha raccontato le infinite vicissitudini senza alcun filtro ormai sono diventate delle donne, e se un ciclo si chiude, occorre avere il coraggio di ammetterlo e di mettersi in gioco in altri progetti, più adulti. Ecco allora “Lenny Letter”, newsletter fondata dalla stessa Dunham e da Jennifer Konner, produttrice esecutiva del suo show: la redazione, fatta di sole donne, attraverso articoli e interviste affronta con sguardo femminile temi come moda, salute, politica, amicizia e razzismo. “Vogliamo creare uno spazio dove le nuove voci si sentano sicure di parlar forte delle tematiche che le interessano. Vogliamo che queste voci vi ispirino, vi coinvolgano, vi facciano anche arrabbiare”, dichiarano le due creatrici, e i 400.000 abbonamenti solo nei primi sei mesi sono la conferma che ci stanno riuscendo.

Lena Dunham e la battaglia contro Photoshop

Lena Dunham e la battaglia contro Photoshop

Lena Dunham non si è mai adeguata – né ha mai desiderato adeguarsi – agli stereotipi estetici imposti dall’industria cinematografica. Il suo corpo, tatuato e lontano dagli standard di magrezza a cui siamo fin troppo abituati, è stato esibito senza vergogna nella sua completa nudità in diverse puntate di “Girls”, a dimostrazione del fatto che la Dunham antepone sempre l’essere vera e fedele a se stessa al desiderio di apparire calata in un personaggio che non le appartiene. Da sempre si batte contro l’utilizzo di Photoshop da parte delle tante riviste che le dedicano dei servizi: un utilizzo avvilente perché mira soltanto a sottolineare l’imperfezione e l’inadeguatezza del soggetto fotografato, un utilizzo avvilente perché non rende giustizia ai lettori, presi in giro da un’immagine che nulla ha a che vedere con la realtà. “Voglio vivere in questo mondo, giocare la mia partita e mostrare a tutti il lavoro che faccio, ma allo stesso tempo voglio anche essere onesta a proposito di chi sono e dei valori che difendo”: già solo con questa frase, la sceneggiatrice, attrice e regista statunitense fissa un importante punto fermo nel manifesto del nuovo femminismo.

Amber Rose e la “Slut Walk”

Amber Rose e la “Slut Walk”

Amber Rose è ancora poco conosciuta in Italia, ma negli Stati Uniti l’attrice, modella e stilista – nota alle cronache per il suo personalissimo stile e per occupare le pagine di gossip delle principali testate – ha conquistato il podio della celebrità. La Rose si unisce alla causa femminista grazie a (o, meglio, a causa di) un fatto di cronaca datato aprile 2011, quando, in risposta a una serie di molestie sessuali avvenute nel campus della York University in Canada, un poliziotto affermò che “se le donne non si vestissero da prostitute, non verrebbero molestate”. Da lì, le “Slut Walk” (“marcia delle prostitute”) iniziano a diffondersi in tutto il mondo: milioni di donne in lingerie o in abiti molto succinti scendono nelle strade per difendere il loro diritto di indossare ciò che vogliono, senza che questo le debba rendere oggetto di violenze sessuali. Amber Rose di fa promotrice della Slut Walk organizzata a Los Angeles lo scorso 3 ottobre 2015, dove – tra molti sostenitori e altrettanti detrattori – ha manifestato contro le oppressioni, le violenze, e difeso i diritti delle donne, dei transgender, delle minoranze etniche e di tutti coloro che lavorano nell’industria del sesso, più volte emarginati e ingiustamente ghettizzati.

Le ragazze di Broad City

Le ragazze di Broad City

È una delle serie (prima web, poi tv) più acclamate degli ultimi anni, le cui protagoniste Abbi e Ilana, legate da una profonda amicizia, sono state definite “un vero ideale femminile” dal Guardian, mentre il Wall Street Journal ha parlato di “femminismo da imboscata”. Il suo merito? Quello di ribaltare gli stereotipi con cui vengono rappresentate le donne in tv senza forzature, come ammette la stessa Abbi Jacobson: “Se guardi un nostro episodio non c’è un gran messaggio dietro. Ma se li guardi tutti credo che accrescano il potere femminile”. Amy Poehler, produttrice della serie, ha detto: “Non ci sono abbastanza ragazze come loro in tv: sicure di sé, attive sessualmente, schive, delle amiche che prima di tutto si amano reciprocamente”. Non esiste infatti competizione tra Abbi e Ileana, nessun conflitto, ma una totale solidarietà e una naturale accettazione: quegli stessi valori, insomma, di cui si fa portatore il nuovo femminismo 2.0.

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