essere genitori serenamente imperfetti

Ogni genitore desidera essere perfetto, ma l’ambizione è esagerata. Converrebbe seguire il suggerimento del grande psicologo infantile Bruno Bettelheim e puntare a essere “quasi perfetti”, un obiettivo che è più alla nostra portata. «Il desiderio di migliorarsi è sano, ma facciamo attenzione a non pretendere troppo a ogni costo» commenta Maria Vittoria Giusti, psicologa e psicoterapeuta.

«Capita di sbagliare, di non riuscire a farsi obbedire, ma questo non fa di noi dei cattivi genitori. Anzi, mettere in evidenza i risultati positivi, più che le mancanze, aiuta ad affrontare con maggiore serenità anche i piccoli fallimenti». E forse concederci un po’ di tolleranza permette di capire cosa non ci piace di noi come genitori e di correggere i nostri difetti. Per riuscire ad essere serenamente imperfetti.

3 consigli per essere un genitore migliore

Meno severi con noi stessi, più disposti a riflettere sui nostri errori ricorrenti. Due esperti spiegano come diventare mamme e papà quasi perfetti

Se hai l’impressione che la situazione ti stia sfuggendo di mano prova a ripeterti “Sono un bravo genitore, la prossima volta andrà meglio”. Funziona!

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1. Impara a non perdere la pazienza

LA SCINTILLA

«Il più delle volte a farti perdere il lume della ragione non è il gesto in sé, ma la situazione di tensione in cui si inserisce» spiega la psicoterapeuta Monica Morganti.

«La sfuriata non è un fulmine a ciel sereno e neppure segno del tuo “cattivo carattere”. Nasce da una rabbia, un’insoddisfazione o una frustrazione che avevi già dentro e che hai lasciato montare, senza accorgertene. Un caso classico? La mattina quando sei di corsa, pronta a schizzare al lavoro, e tuo figlio fa storie per andare a scuola: l’effetto è quello della goccia che fa traboccare il vaso. E tu vai in escandescenze».

LA REAZIONE

«Quando senti che stai per perdere le staffe, fermati e chiediti “perché mi arrabbio? Perché fa i capricci lui o perché sono stanca io? Perché così deve fare un bravo genitore o perché così facevano i miei genitori con me?”» consiglia la psicoterapeuta Monica Morganti. Capire la rabbia è il primo passo per smontarla. Il secondo è non lasciare che cresca. «Prova a intervenire subito, prima che da un livello 1 arrivi a 100. Altrimenti è inevitabile esplodere. E poi pentirsene. Non è un caso se poi ci maceriamo nel rimorso: è come se fosse stato qualcun altro a infuriarsi, perché quella scenata non nasce dentro di noi, ma da fattori esterni che ci sono sfuggiti di mano».

C’è un ottimo esercizio anti-rabbia da fare proprio nel momento in cui senti che la situazione ti sta per sfuggire di mano. «Prova a dirti “sono una brava mamma”, “sono un bravo papà”. Ripetiti “Ok, questa volta non mi dà retta, ma la prossima andrà meglio”» aggiunge Maria Vittoria Giusti. «Capiterà che tuo figlio non ti ascolti, ma questo non vuol dire essere cattivi genitori. Mettere in evidenza i risultati ottenuti, più che le mancanze aiuta ad affrontare con più serenità anche i piccoli fallimenti. E a tenere alla larga la collera» assicura Maria Vittoria Giusti.

IL LATO POSITIVO

«Essere in grado di gestire le proprie emozioni, anche le più forti, è un insegnamento fondamentale di un genitore e sarà assorbito dal figlio come modello di comportamento da imitare» conclude Monica Morganti.

2. Impara a dire no

LA PREMESSA

«Mettere dei paletti ai figli non è facile, richiede tempo ed energie. Molto più semplice darle tutte vinte, il più delle volte sicuri di farlo per amore» spiega la psicoterapeuta Monica Morganti. «Quando i bambini sono piccoli fin verso i 6 anni, temiamo che dire no significhi voler meno bene ai nostri figli. E  invece è il contrario. A questa età è molto importante fissare divieti, perché è il momento in cui si sviluppa il senso del limite, dote indispensabile per vivere bene in mezzo agli altri, rispettare gli spazi altrui e difendere i propri».

Ma il problema si presenta di nuovo intorno agli 11 o 12 anni. «Qui a trattenerci è il timore che dire no possa avere una conseguenza terribile: i nostri figli smetteranno di amarci perché ci vedono come genitori cattivi».

LA TATTICA

«Dire di no è faticoso? La buona notizia è che puoi farlo poco, ma bene» suggerisce Maria Vittoria Giusti. «Scegli le questioni sulle quali è fondamentale tenere il punto e privilegia i no legati a un valore. Ad esempio, se il piccolo strappa di mano il gioco alla sorella intervieni con un “non si fa” deciso, perché è basilare che non manchi di rispetto agli altri. Mentre su questioni meno importanti puoi negoziare: “Vuoi usare il tablet? Ok, ma stabiliamo insieme che hai mezz’ora: metti il timer e, dopo 30 minuti, spegni”».

IL LATO POSITIVO

«Ricorda che saper dire no è un modo per alleggerire la vita dei nostri bambini. Se decidiamo che non possono guardare la tv tutto il pomeriggio o che devono essere a casa entro una certa ora togliamo loro il peso e la responsabilità di una scelta che, alla loro età, non sono ancora in grado di fare» spiega la psicoterapeuta Giusti.

3. impara ad ascoltare

L’EQUIVOCO

«Tuo figlio è ancora piccolo e a te non sembra ancora necessario dargli ascolto. Lo consideri una scatola vuota che è tuo dovere riempire, ma magari con “contenuti” che rispecchiano la tua personalità e i tuoi gusti non i suoi» fa notare Monica Morganti. «È così che lo iscrivi a quel corso di scherma anche se a lui non interessa, lo vesti di blu anche se adora il rosso». Ma attenta: il meglio rischia di essere nemico del bene!

«Solo perché tuo figlio non sa fare grandi discorsi non significa che non sappia già cosa gli piace e lo soddisfa. Considera che a 3 anni il cervello è al massimo del suo sviluppo, quindi un bambino di quell’età è perfettamente in grado di capire se quel colore o quello sport lo fanno felice o meno. Tu, forse, no. Ma tranquilla: ci penserà lui a farti arrivare il messaggio con un capriccio o un’impuntatura che a te sembra inspiegabile».

L’ESPERIMENTO

«Per capire che il suo punto di vista è diverso dal tuo, chiedigli di scattare una foto della sua camera o dei suoi giochi. Dai dettagli che coglie, dall’inquadratura che sceglie, da quello che mette in primo piano ti accorgerai che avete due modi di vedere la realtà» dice la psicologa Maria Vittoria Giusti. «E poi attiva tutti i sensi: ascolta la sua voce, segui il suo ritmo, che sicuramente è più lento e meno nevrotico di quello di un adulto. E soprattutto dagli il tempo di fare, riflettere, parlare, rispondere».

IL LATO POSITIVO

«Un figlio non è il biglietto da visita dei genitori, ma un individuo a se stante con gusti e idee personali. La sua autonomia va accolta e incoraggiata. Infine tieni presente che sapere cosa pensa, cosa lo fa stare bene è fondamentale per aiutarlo a crescere felice» conclude Monica Morganti.

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