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Il meraviglioso potere del camminare

  • 30 05 2017

Percorrere lunghe distanze a piedi regala energia, dà equilibrio e ti insegna a stare al mondo. Ce lo racconta una giornalista che ha trovato la cura al mal di vivere un passo dopo l’altro

Camminare occupa sempre meno spazio nelle nostre vite. Nella mia, di sicuro sì. Lavoravo seduta, prendevo l’auto o il motorino per andare ovunque, ogni occasione era buona per sprofondarmi sul divano a leggere o guardare la tv. Perfino quando uscivo col cane cercavo di stare a spasso il meno possibile. Ero pigra? Forse. Ero stanca? Sì. O meglio: mi sentivo stanca. L’alibi era che non avevo tempo.

Mi sono messa in cammino perché volevo andare altrove. Perché cercavo qualcosa di diverso dalla strada segnata, illuminata e perfetta che era la mia vita. Un buon posto di lavoro, un futuro discretamente prevedibile. No: io volevo continuare a sorprendermi, a provare emozioni. Ho cominciato a camminare per più giorni. Il cammino di cui parlo non è un’escursione, una passeggiata. Non è andare da A a B. Non è il trekking.


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Come si combatte l’infelicità? Secondo Io cammino da sola (Ediciclo), il libro di Alessandra Beltrame, giornalista e autrice del nostro pezzo, la cura è il cammino. A metà tra autobiografia e guida per chi ama camminare, questo racconto è un viaggio interiore dove ogni passo è diretto non a una meta ma alla scoperta di sé. In cui camminare diventa la strada per cercare il proprio posto nel mondo e dare un senso alla vita.


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Il cammino come educazione sentimentale (Laterza): il percorso vero, quello che sfianca, è anche un percorso in cui  emergono con forza inaudita sentimenti profondi. Un viaggio dentro le emozioni della viandanza e dentro se stessi, per imparare a conoscersi in modo nuovo.


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Nati per camminare (Effetà editrice): un manuale che ti insegna a costruire un programma di cammino-terapia. E una sezione speciale dedicata alla “walking talking therapy”, il nuovo metodo statunitense che aiuta a combattere l’ansia e a migliorare l’umore.


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Andare a piedi – Filosofia del camminare (Garzanti): le riflessioni delle vite di grandi camminatori, ci insegnano quello che possiamo ottenere, libertà di pensiero e dialogo con se stessi. Perché camminare è l’opportunità di tornare a godere dell’intensità del cielo e della forza del paesaggio.

Il mio cammino è un percorso di lenta esplorazione di un luogo, che poi diventa anche una esplorazione di sé, delle proprie forze e delle proprie debolezze. Per questo mi piacciono le antiche vie, i cammini di pellegrinaggio. Non perché ho fede, ma perché mi riportano echi del passato. Il cammino, se fatto per più giorni, rigenera, purifica. Ha il meraviglioso potere di accendere le tue energie, perché ti sollecita, ti stimola, ma lo fa al ritmo giusto, che è il ritmo del tuo cuore, del tuo respiro. Il giorno che ho cominciato a camminare ho scoperto che la vita, quella che volevo, non era ripetizione di gesti, rigidità, riti e noiose abitudini.

La vita è altro: è brividi, sorpresa. Cominciando a camminare ho rivendicato il mio diritto ad andare lenta, a prendere il mio tempo per godere della natura, scoprirla, conoscerla, dare il giusto nome alle piante, vedere gli animali selvatici, annusare un fiore, accettare gli elementi. Camminare ti insegna a stare al mondo. Ora la pioggia, il freddo non mi fanno più paura, so che posso affrontarli. Mi sento più forte, mi ammalo di meno. Per camminare bene, però, bisogna imparare a farlo. Io ho cominciato con brave guide, in gruppo. Mi sono iscritta a un corso per conoscere la meteorologia, per saper leggere una mappa e trovare la direzione.

Poi ho dovuto camminare da sola. Sì, proprio così. Ho dovuto. Perché accettare la solitudine è un atto di coraggio: la devi guardare negli occhi, sviscerarla, affondarci le mani. Non è un percorso facile. Nel cammino in solitaria devi bastare a te stessa, sei il tuo motore e il tuo riparo. I piedi ti devono condurre in tempo al luogo dove sosterai per la notte, devi tenere la schiena diritta e la testa alta, stare attenta alla strada e a ogni passo. Te ne basta uno in fallo ed è finita. Sbagli la postura e il giorno dopo non riesci più a portare lo zaino. In cammino devi stare bene, devi essere in equilibrio. Per questo stai attenta, ti curi, mangi quel che ti serve e non di più, non di meno. Nella vita frettolosa che facciamo, invece, anche se stai male tiri avanti, perché sei circondata di ausili e distrazioni che ti supportano e ti portano comunque a destinazione. Nel cammino, invece, è tutto ridotto all’essenziale, non c’è il superfluo. Allora cadono le maschere, misuri davvero quanto vali, trovi dentro di te forze che non sapevi di avere. Cominci a pensare al tuo benessere. La ripetizione dei passi per ore, per giorni ha il potere di tirarti fuori i pensieri, di portare alla luce i ricordi. La condizione di viandante ti toglie le certezze, ti lascia nuda, però in cambio ti insegna ad accettare l’altro, te stessa, l’imprevisto, a fare i conti con il passato.

Ti senti dire: io camminare? No, è troppo faticoso. La pensavo anch’io così. Non è vero. Nella vita di tutti i giorni fai più fatica che in cammino. Ma non te ne accorgi. Camminando io imparo a vivere meglio. Applico alla vita le regole che il cammino mi impone: sobrietà, pazienza, curiosità, accettazione. Camminare cioè vivere, rivendicare con forza la necessità di pensare con la propria testa, fare quello che si desidera, stare con chi ci piace. Stare con se stessi. Perché noi siamo la nostra migliore compagnia, dobbiamo esserlo. Se non ci piaciamo è perché non ci conosciamo abbastanza. Camminare da sola aiuta a conoscersi nel profondo, accettarsi, volersi bene.

QUANTI ITALIANI SI METTONO IN MARCIA L’Associazione europea delle Vie francigene stima che dal 2012 il numero di camminatori su questi antichi sentieri sia cresciuto del 10 per cento ogni anno. Oggi sono 40 mila, di cui il 46 per cento donne. In grande aumento i giovani dai 20 ai 35 anni (26%). Gli italiani sono sempre di più: nel 2016 hanno percorso il Cammino di Santiago 277 mila pellegrini, 23 mila provenienti dal nostro Paese, il gruppo straniero più numeroso dopo gli spagnoli. Le donne sono state quasi la metà (il 48%).

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