Dopo l’aggressione del pitbull di casa alla bambina di due anni e mezzo a Sesto San Giovanni (la piccola è sopravvissuta ma è molto grave in ospedale) si riparla di questi cani e della loro aggressività. Poche settimane fa un bimbo di 13 mesi era morto nel salernitano e, scorrendo le cronache, pare proprio che i protagonisti di questi episodi siano sempre loro: i pitbull. 

Tante aggressioni ad opera dei pitbull perché sono tanti

È un semplice dato numerico, che dipende dalla diffusione massiccia di questo tipo di cane, o i pitbull sono davvero più aggressivi di altri? «Il pitbull è un cane di moda, come tempo fa il pastore tedesco o il dobermann» spiega Chiara De Martini, presidente della scuola cinofila Garu, la più antica d’Italia, che nel 2025 festeggerà i suoi primi 50 anni. «In Italia ce ne sono moltissimi, solo negli allevamenti ne nascono 300 all’anno. Nell’immaginario comune sono abbinati ad ambienti e personaggi al limite con la malavita, e in questi casi la scelta è del tutto consapevole, anzi: esibita con sfrontatezza. In altri, invece, finiscono in case dove non si ha la minima idea del carattere e del tipo di animale che entra nella propria famiglia. Spesso si sceglie senza informarsi e purtroppo, dall’altra parte, si vende, o si affida, questi cani senza informare a sufficienza le famiglie». 

Il pitbull è aggressivo con gli altri cani, non con l’uomo

Quindi il pitbull è un cane più aggressivo di altri? «Il pitbull è un cane chewing-gum, sempre attaccato al padrone, molto affettuoso, selezionato per essere aggressivo con gli altri cani. In questo senso è un cane pericoloso, molto più dei doberman o dei rottweiler. Ma non è aggressivo con gli esseri umani. Può essere assimilato alle razze da difesa e utilità, come il dobermann, lo schnauzer, il boxer e tutti i cani pastore che, in più, sono orientati verso la guardia. Tutti questi cani potenzialmente mordono perché, appunto, da difesa. Sono quindi a rischio di incidente tutte le razze da difesa e utilità, come appunto Rottweiler, Dobermann, Schnauzer giganti.

Dai terrier il pitbull ha preso la tempra dura del cane da tana, tant’è che è difficile distinguerlo dal suo cugino “di razza”, lo Staffordshire terrier. Il pitbull ha quindi l’istinto predatorio presente anche nei cani da caccia ma la sua aggressività è rivolta soprattutto ai cani piccoli, come il cane da caccia fa col fagiano e la lepre. Nessun segugio, se ci pensiamo, è un cane feroce, quindi neanche il pitbull. La sua ferocia piuttosto si rivolge agli altri cani, infatti è un animale da combattimento, come il dogo argentino, ma chiediamoci: quanti dogo ci sono in Italia? Circa una decina: per questo non se ne parla mai». 

Altri cani sono più aggressivi del pitbull

Ci sono altre razze più aggressive del pitbull, per esempio il pastore maremmano, che è nato per fare il cane da pecore nel suo eremo e per mordere se arriva il lupo, e per questo in città può letteralmente impazzire. Molto aggressivi anche i lupi cecoslovacchi, ancora in parte selvatici e i pastori del Caucaso. Ma quanti ce ne sono in Italia? Le aggressioni ad opera dei pitbull sono prima di tutto una questione numerica, data appunto dalla larga diffusione di questo tipo di cane. E giustamente colpiscono quando riguardano i bambini, ma i pitbull sono responsabili di moltissime aggressioni agli altri cani, solo che non se ne parla: è questo il loro istinto, e anche a questo dovrebbero stare attenti i padroni. Non si corre al parco con un pitbull in libertà, e non si lascia libero in area cani se ci sono altri animali».

Perché i pitbull aggrediscono i bambini

Considerando la diffusione dei pitbull, gli episodi cruenti alla fine sono pure pochi. Certo anche solo una vittima sarebbe troppo, ma non è questo il punto. Il punto è capire perché certi episodi accadono. «Nessun cane va lasciato con i bambini piccoli, tranne quelli – come il Golden Retriever, per esempio – selezionati per la pet therapy» prosegue l’esperta. «Qualsiasi cane, se svegliato all’improvviso, oppure interrotto mentre mangia, o a cui viene sottratto il cibo, può reagire in modo aggressivo. Il problema è che il pitbull ha una mascella potentissima che esercita una pressione per centimetro quadrato tra le più alte, ma comunque non diversa da quella del pastore tedesco, il belga o il rottweiler». Ogni episodio con i bambini come protagonisti andrebbe quindi studiato con attenzione. «Cosa stavano facendo i piccoli? La reazione del cane è un crescendo: se viene svegliato, reagisce per difesa perché si sente attaccato e, di fronte alla giusta agitazione dei bambini, si innervosisce ancora di più, attaccandoli. In questi casi, anche se ovviamente è normale, più ci si agita e più si eccita l’istinto predatorio del cane» prosegue Chiara De Martini. 

Con i pitbull ci vuole un padrone capobranco

La verità è che con cani come i pitbull occorre un padrone molto deciso, che sia un capobranco con l’animale ma anche con i bambini. «Con bambini molto piccoli non si può essere sicuri che imparino e capiscano, quindi che non provochino il cane, o che non si trasformino in prede da cacciare» spiega l’esperta. «L’unica soluzione è non lasciare i bambini soli con i cani, anche se questi non hanno mai dato segni di aggressività. A meno che non si possa sorvegliare in modo molto attento, cosa pressoché impossibile. Qualsiasi cane, insomma, reagisce in modo aggressivo in certe situazioni: ma un conto è il morso del barboncino, un conto quello del pitbull». 

Il patentino servirebbe?

Da tempo si parla del patentino per i padroni dei cani. Ma neanche questo è la soluzione, per lo meno oggi. «Chi lo rilascerebbe? Chi farebbe i controlli successivi, peraltro indispenabili? Già la confusione nell’ambiente cinofilo oggi è massima, figuriamoci se arrivasse anche quest’altra burocratizzazione della professione» dice l’esperta. Professione che comunque da anni è al centro di polemiche, visto l’altissimo numero di corsi e scuole per diventare psicologo o educatore del cane: «Un conto è la specializzazione del veterinario, un conto l’improvvisazione di corsi a suon di weekend. E comunque, in generale, alla teoria deve sempre affiancare la pratica, cosa in cui anche i veterinari spesso sono carenti».