Foto di Lorenzo Santagada

Foto di Lorenzo Santagada

La Genova degli Ex-Otago sul palco di Sanremo 2019

La band si presenta con il brano "Solo una canzone" in attesa del nuovo album e del tour. Con il cuore a Genova: «Il territorio per noi è importante. Adoriamo essere tipici»

Gli Ex-Otago vengono da Genova. All’anagrafe sono Maurizio Carucci, Francesco Bacci, Simone Bertuccini, Olmo Martellacchi e Rachid Bouchabla. Francesco è il più giovane, ha 29 anni, Maurizio e Simone 38. Amici, fidanzati, ognuno di loro con un secondo lavoro, arrivano a Sanremo 2019 con “Solo una canzone”, ballad romantica che parla di quell’amore nel mezzo, il più difficile forse da far vivere ogni giorno.

L’8 febbraio esce il loro nuovo album Corochinato”, che dall’11 al 20 presenteranno in giro per l’Italia con un in-store & cinema tour, tanti live acustici e la proiezione del documentario “Ex Otago – Siamo come Genova”, ad anticipare il vero e proprio tour, in partenza il 30 marzo. Nella serata dei duetti salgono sul palco dell’Ariston con Jack Savoretti.

Ci raccontate “Solo una canzone”?

Maurizio: È nata due anni fa. Parla di un momento preciso dell’amore. Di solito si canta di quando ci si innamora o di quando ci si lascia. Noi cantiamo l’amore nel mezzo, di quando devi rinnamorarti della persona con cui stai da dieci anni. Come me.

Per Baglioni il tema di questo festival è l’armonia. Cos’è per voi l’armonia?

Francesco: L’armonia è una delle cose più alte alle quali si può ambire. Quando la raggiungi hai l’equilibrio. In termini “otaghi” siamo sempre stati abbastanza equilibristi, perché ognuno di noi ha un altro lavoro, altre pulsioni. Tutti noi abbiamo rapporti secolari con le nostre compagne. Avere un rapporto lungo è una forma di equilibrismo. Andare a Sanremo è equilibrismo.

Un altro lavoro?

Francesco: Abbiamo un altro lavoro non per necessità economica. Non siamo ricchi ma potremmo farne a meno, eppure crediamo sia una buona strada. Fare musica non è semplice, a volte non ti sopporti. Ecco, quando riesci ad essere due cose diverse, rimbalzi nell’altro te. Quando io non mi sopporto mi butto nel mio essere ricercatore di storia dell’architettura.

Maurizio: io ho un’azienda agricola da quando ho 20 anni, i miei compagni di viaggio sono alberi invece che palazzi. Abito in una borgata del 1600 trovata in Piemonte. Le cose e le case costano poco. Coltivo cereali, legumi, vino naturale, come si faceva nell’800. Mi alzo, ho le galline, un asino. Due asine femmine, Nina e Pioggia. E un cavallo da tiro, Nicola. Poi anatre, tre cani, tre gatti.

Come concili le due vite?

Maurizio: Sono due mondi molto lontani, se li metti insieme. Ma sono la terra e il cielo. Ho bisogno che qualcuno mi dica “devi aspettare” e la terra lo fa. Sono una persona che vuole vedere le cose concretizzate un secondo dopo. Invece la terra ti fa aspettare, pianti l’aglio con la luna calante di ottobre e la raccoglierai a luglio. Devo aspettare.

Come mai Sanremo?

Francesco: È un altoparlante. Siamo persone concrete, andiamo a suonare, il messaggio viene diffuso.

Francesco: Siamo tranquilli, non abbiamo bisogno di grandissime conferme. Certo, danquando mio zio ha saputo che andavo a Sanremo crede finalmente che io faccia un lavoro “serio”. I musicisti fanno fatica a essere presi sul serio, purtroppo.

Di cosa vi piace parlare?

Maurizio: Con la nostra musica ci piace parlare di tante cose, siamo circondati un po’ troppo spesso da dischi che parlano sempre d’amore. Hanno anche un po’ stufato. Vogliamo parlare di tutto, noi esseri umani siamo esseri complessi, vogliamo raccontare questa complessità. Ci piace fare domande, tenere sempre presente questa grande risorsa che è il dubbio.

Sanremo, anche grazie alla vostra presenza, quest’anno ha aperto le porte a un nuovo pop. Che ne pensate?

Maurizio: La musica sta cambiando ed è normale che cambi anche Sanremo. E il pop può essere contenitore di messaggi forti che fanno pensare. È quello che ci piace, ma non vogliamo essere pesanti.

Qual è la vostra caratteristica più grande?

Francesco: La leggerezza “otaga”. Siamo semplici ma non banali. Significativi, ma non pesantoni.

Che cos’è il Corochinato, la parola che dà il titolo al vostro album?

Maurizio: È un vino aromatizzato della tradizione genovese. Viene prodotto dalla fine dell’800. Guai a chiamarlo liquore. Si chiama così perché si produceva a Coronata, un piccolo comune separato da Genova, ai tempi. Era un vino contadino, grammo. Un vino semplice.

Francesco: Chinato significa allungato con queste erbe. E si beve come aperitivo. Il produttore è minuscolo, fa cinquemila bottiglie all’anno. Si è spaventato quando abbiamo chiamato l’album così. “E se arriva gente che non conosciamo?”, ci ha detto.

Tenete molto alla vostra terra?

Maurizio: Moltissimo. Il territorio per noi è importante. Adoriamo essere tipici. Per noi le cose uniche non sono omologate.

È facile trovare il nome a un disco?

Dovrebbe essere illegale, per noi è sempre molto difficile.

Chi scrive i testi delle canzoni?

Maurizio: Io.

Francesco: Quello che abbiamo sempre fatto e che troviamo molto utile è prenderci una settimana di ritiro “otago”, incui stiamo in una casetta tutti insieme. A Sestola, per il nostro album Marassi, ad Apricale per questo. Ci chiudiamo, raffiniamo, facciamo la spesa e cuciniamo. E nasce la musica.

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